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Osteoporosi. Donne italiane sono informate, ma non tutte sono coscienti della sua complessità


Cinque società scientifiche che promuovono la Campagna “Stop alle Fratture”, hanno commissionato un’indagine su un campione di donne tra i 50 e i 79 anni. I risultati dicono che a livello generale, l’osteoporosi non è estranea alla popolazione femminile italiana. Permane però un 21% che dichiara di non conoscere questa patologia, o di averne una conoscenza vaga.

26 GIU - Prosegue anche quest’anno la Campagna “Stop alle Fratture”, iniziativa nazionale di informazione e di sensibilizzazione sulla fragilità ossea da osteoporosi severa e sulle conseguenze più preoccupanti, come le fratture vertebrali e di femore. Ma qual è il percepito e il vissuto delle donne Italiane su questa patologia? I risultati dell’indagine condotta sulle donne in età a rischio, commissionata dalle 5 Società Scientifiche che firmano la Campagna, documentano come, a fronte di una generale e diffusa conoscenza dell’osteoporosi, continuano invece ad essere ancora troppo sottovalutati i rischi di frattura e il loro impatto sulla salute.
 
L’osteoporosi è, in generale, una patologia il cui nome è ormai entrato a far parte del linguaggio comune delle donne italiane, specialmente nella fascia over 50 anni che è, di fatto, quella maggiormente a rischio. Quello che, invece, non si conosce ancora abbastanza è che proprio l’osteoporosi, nella sua forma severa, può diventare causa di dolore cronico per fratture, come lo schiacciamento delle vertebre, la frattura del polso, dell’omero e, soprattutto, del femore, alterando così in negativo la qualità di vita di chi ne soffre.
 
Proprio per verificare qual è la conoscenza delle italiane in merito a questa patologia che, si stima, nel mondo interesserebbe oltre 200 milioni di donne, le 5 principali Società Scientifiche nell’ambito delle malattie metaboliche dell’osso Siommms (Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro), Siot (Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia), Sir (Società Italiana di Reumatologia), Ortomed (Società Italiana di Ortopedia e Medicina) e Gisoos (Gruppo Italiano di Studio in Ortopedia dell’Osteoporosi Severa) che, dal 2011, promuovono la Campagna “Stop alle Fratture”, hanno commissionato a Pepe Research un’indagine demoscopica condotta su un campione di 401 donne, tra i 50 e i 79 anni, rappresentativo dell’universo di riferimento per classi di età e area geografica, dal titolo: “La fragilità ossea: conoscenza e percezioni delle donne over 50”.
 
Osteoporosi è conosciuta
La ricerca ha restituito un quadro molto definito della situazione italiana: da un lato, l’osteoporosi è ben conosciuta da 8 Italiane su 10, è diffusa la percezione che si tratti di una patologia seria (ad essa, su una scala da 1 a 10, è attribuito, infatti, un livello medio di gravità superiore all’8), come pure la consapevolezza che, con l’avanzare dell’età, le ossa diventino più fragili, come sostengono 9 donne su 10.
 “Possiamo dire che, a livello generale, l’osteoporosi non è affatto estranea alla popolazione femminile italiana – dichiarano Paola Merulla edElena Salvi, partners di Pepe Research – anche se stupisce che, ad oggi, ancora permanga una fascia, pari al 21% delle intervistate, che dichiara di non conoscere questa patologia, oppure di averne soltanto una conoscenza vaga. Chiaramente, la percezione della gravità è molto legata al livello di conoscenza della malattia: l’OP è, infatti, ritenuta molto grave soprattutto da chi soffre personalmente di fratture ricorrenti e dalle donne anziane (tra i 70 e i 79 anni). Una donna su quattro (25%), però, non la ritiene grave, una percezione soprattutto diffusa tra chi dichiara di non avere una particolare conoscenza dell’osteoporosi. Inoltre, la ricerca ha rivelato con certezza che molte donne non sono consapevoli di essere a rischio, quindi la sensibilizzazione sulla malattia diventa fondamentale”.
 
Fattori di rischio
Rispetto ai fattori di rischio, 1 Italiana su 2 non ha dubbi, indicando la menopausa precoce (51%) come possibile, principale, causa dell’OP severa, che addirittura ‘supera’ il fisiologico avanzare dell’età (42%) e l’alimentazione sbilanciata (37%). “La predisposizione del sesso femminile alla fragilità ossea dipende innanzitutto dal fatto che le donne possiedono una minore massa ossea rispetto al sesso maschile – spiega la dott.ssaGiuseppina Resmini, del Board scientifico della Campagna Stop alle Fratture – e la carenza degli estrogeni, caratteristica della menopausa, determina nella popolazione femminile una perdita di massa ossea anticipata e maggiore rispetto agli uomini. Per questo, sono sicuramente più a rischio le donne in menopausa precoce, un target decisamente molto più giovane rispetto alla signora anziana  dal dorso curvo con dolore diffuso a cui, invece, tendiamo subito a pensare. Nei nostri ambulatori, spesso ci confrontiamo con pazienti anche giovani che arrivano in condizioni  già abbastanza critiche, ovvero in presenza anche di una o più fratture, spesso anche completamente asintomatiche, come quelle vertebrali. Comprensibilmente, il principale timore di queste pazienti, a fronte di un’aspettativa di vita di altri 30/40 anni, è quello di una possibile perdita parziale o totale dell’autonomia nelle comuni attività della vita quotidiana. Ecco, allora, perché è assolutamente necessario individuarle precocemente per avviare un adeguato iter diagnostico- terapeutico finalizzato a ridurre significativamente il rischio fratturativo”.
 
Storia personale o famigliare
Un altro dato importante che emerge dalla ricerca, riguarda la percentuale di donne con una storia, personale o famigliare, di fratture ricorrenti: problematica che riguarda il 31% dell’intera popolazione femminile. Tra chi ne soffre personalmente (17% del campione), sono soprattutto le over 70 anni ad essere più coinvolte (28%), rispetto alla fascia delle 50-59enni (11%) e delle 60-69enni (13%). “La fragilità ossea è difficile da riconoscere in quanto generalmente è asintomatica ed esordisce con la frattura anche in assenza di traumi – continua Giuseppina Resmini – ma dobbiamo sottolineare come una donna giovane che presenti una frattura da fragilità sarà maggiormente esposta al  rischio di incorrere in ulteriori fratture. Fondamentale è, certamente, la conoscenza dei fattori di rischio, per poterli individuare ed eventualmente modificare, ma soprattutto è importante che tutte le donne che abbiano riportato una prima frattura da fragilità siano considerate ad elevato rischio di ri-frattura e, per questo, inserite in un programma di monitoraggio e trattamento. Come prova la nostra ricerca, invece, nel nostro Paese  il problema è ancora ampiamente sottovalutato e di conseguenza, pur potendo disporre di farmaci estremamente efficaci nel prevenirne le conseguenze fratturative, molte pazienti non hanno ancora accesso ai trattamenti”.
 
Gestione della frattura
Molta confusione c’è, inoltre, anche sulla gestione di una frattura. Fa riflettere, infatti, che, a seguito di essa, solo un terzo delle over 50 (30%) avrebbe un atteggiamento reattivo, considerando una valutazione clinica della situazione; mentre la maggioranza relativa (42%) tenderebbe ad essere arrendevole, attribuendo alla propria disattenzione e all’avanzare dell’età la “colpa” di quanto accaduto. Addirittura 3 Italiane su 10, inoltre, non darebbero peso all’evento perché “può capitare”. In quest’ambito, il target più a rischio sembra essere quello delle 60-69enni, tra le quali solo 1 su 4 dichiara di prendere in considerazione che ci può essere un problema dietro la comparsa di una frattura.
 
“La prima arma per fronteggiare l’osteoporosi severa e il rischio di fratture – precisa Alfredo Nardi del Board scientifico della Campagna ‘Stop alle Fratture’ – è sicuramente la prevenzione della fragilità ossea attraverso una corretta informazione. Questa condizione deve essere ben nota alle pazienti che vanno informate su come si possano evitare le fratture che, fatalmente, si ripercuoterebbero sulla loro qualità di vita riducendone l’autonomia e, soprattutto in quelle di femore, aumentando la disabilità. Noi specialisti, anche attraverso un’iniziativa quale la Campagna “Stop alle fratture” abbiamo la responsabilità di sensibilizzare la popolazione femminile soprattutto sulle fratture vertebrali, le più comuni dovute alla fragilità ossea, ma ancora ampiamente sotto diagnosticate e non trattate. Basti pensare che, ogni 22 secondi, nel mondo si verifica una nuova frattura vertebrale e che, addirittura, il 50% delle donne ultraottantenni subisce una frattura vertebrale. Non possiamo dimenticare che una frattura vertebrale è causa di un’altra, e così via, con un vero e proprio effetto domino. Una donna su cinque con una frattura vertebrale, infatti, nell’arco di 12 mesi, andrà incontro ad una nuova frattura. Inoltre le fratture vertebrali sono buoni ‘predittori’ di future fratture osteoporotiche di ogni sito”.
 
Medico di famiglia interlocutore preferito
In caso di sospetto di osteoporosi, è il medico di famiglia risulta l’interlocutore preferito per i due terzi delle donne intervistate (66%), specie tra coloro che dichiarano di avere una scarsa o nulla conoscenza della patologia. Quando, invece, l’osteoporosi risulta conclamata, la maggior parte delle intervistate (9 donne su 10) si appoggerebbero al consulto di uno specialista e al supporto dei farmaci consigliati; mentre una quota più contenuta (6 intervistate su 10) adotterebbero strategie di prevenzione, come la ginnastica per irrobustire la muscolatura, la riduzione degli ostacoli potenzialmente pericolosi nella propria abitazione (tappeti e spigoli) o si doterebbero di un bastone per camminare. “A questo proposito – prosegue Alfredo Nardi – sono tre sono i consigli che mi sento di dover dare alle pazienti con osteoporosi severa Il primo è che si rivolgano con fiducia ad uno specialista di riferimento nell’ambito delle malattie metaboliche dell’osso e assumano correttamente i farmaci loro prescritti in grado di dimezzare, in tempi relativamente brevi, il rischio fratturativo. Il secondo è che eliminino le situazioni che possono favorire le cadute, come, ad esempio, quelle legate all’ambiente in cui si vive (pavimenti scivolosi, scarsa illuminazione, calzature non idonee…) ed evitino l’assunzione di farmaci in grado di alterare l’equilibrio. Il terzo, infine, è quello di praticare con regolarità una ginnastica dolce e camminare, per almeno un’ora, tutti i giorni allo scopo di preservare il tono e il trofismo muscolare e migliorare di conseguenza anche l’equilibrio”.

26 giugno 2014
© Riproduzione riservata


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