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Eurispes: italiani sempre meno soddisfatti del Ssn; cresce il gradimento per il privato


Solo il 35,8% degli italiani è soddisfatto del Ssn. La qualità delle strutture ospedaliere è carente e insoddisfacente per il 66,1%. Apprezzata la competenza di medici e infermieri, anche se meno dello scorso anno. Cresce invece il gradimento per il settore privato. Questi i principali dati della sanità raccolti nel Rapporto Italia 2011 pubblicato oggi dall’Eurispes.

28 GEN - Ecco i principali risultati per la sanità del Rapporto Italia 2011 dell’Eurispes. In allegato la sintesi completa.

Il Servizio sanitario nazionale: soddisfatto solo il 35,8% degli italiani (31,9% abbastanza e 3,9% molto soddisfatto), contro il 44,3% dei “poco soddisfatti” è il 44,3%. Se a questi si somma il 17,1% che dichiara di non essere affatto soddisfatto, il parere negativo si attesta dunque complessivamente al 61,4%. La maggior parte, dunque. E una quota del 5,1% in più rispetto allo scorso anno.
Maggiore soddisfazione per il nostro sistema sanitario si registra nel Centro (41,3%), seguito da Nord-Ovest (39,1%), Nord-Est (38,6%), Isole (26,4%) e Sud (26,3%). esprimono malcontento il 71,2% degli abitanti delle Isole, il 70,7% del Sud, il 58,5% del Nord-Est, il 58,2% del Nord-Ovest e il 55,6% del Centro.

L’assistenza ospedaliera peggiora. È poco e affatto soddisfatto rispettivamente il 40,9% e il 15,1% dei cittadini che hanno avuto un esperienza ospedaliera (per un totale del 56%), contro il 37,2% e il 4,8% di chi si dice abbastanza e molto soddisfatto (per un totale del 42%). Il confronto con l’anno 2010 mostra un aumento del grado di insoddisfazione dell’8,1%.
Le strutture ospedaliere sono carenti per due terzi dei cittadini. Qualità insoddisfacente per il 66,1% contro il 31,8% che esprime gradimento. Rispetto al 2010 il sentimento di apprezzamento sui requisiti che un ospedale dovrebbe avere passa dal 39,2% al 31,8% (-7,4%), quello di insoddisfazione cresce dell’8,5% (dal 57,6% del 2010 al 66,1%).

Tempi di attesa intollerabili per il 44,9% dei pazienti che si sono rivolti a un ospedale per risolvere i loro problemi di salute. A questi si somma un 34,5% che si dice essere poco soddisfatto, facendo registrare un totale che sfiora i quattro quinti degli italiani (79,4%). I parere positivi si attestano invece a quota 17,9%.
Considerando che la situazione disegnata nel 2010 esprimeva già delle condizioni pessime (il 74,5% si era detto insoddisfatto contro il 21,3% che affermava il contrario), il peggioramento registrato fa segnare un +4,9% tra coloro che criticano l’eccessiva lunghezza dei tempi di attesa all’interno degli ospedali presenti sul territorio e un -3,4% tra quanti invece non esprimono lamentele al riguardo.

Largamente apprezzata la competenza di medici e infermieri. Sono infatti il 64,2% i cittadini che si dichiarano abbastanza (52,1%) e molto (12,1%) soddisfatti della preparazione dei medici, valore che tuttavia si attestava nel 2010 al 71,6%, facendo registrare un calo del 7,4%. I critici sono invece il 33% che, se messi a paragone con lo scorso anno (24,8%), mostrano come il dato sia cresciuto.
Un altro dato positivo riguarda la valutazione relativa alla professionalità del personale infermieristico: il 60,2% esprime infatti gradimento verso la categoria e il suo operato, contro il 37,5% di quanti si dicono insoddisfatti. Rispetto all’anno passato la situazione è stabile: è diminuito il gradimento soltanto dello 0,2% ed è aumentato il malcontento dell’1,3%.

Ticket troppo esosi per 6 cittadini su 10. Il malcontento per i costi della compartecipazione alla spesa sono cresciuti del 5,2% rispetto al 2010. Nel 2011, infatti, l’insoddisfazione raccoglie il 60,3% delle indicazioni, contro il 33,7% di chi ritiene tutto sommato questo costo equo.

Malasanità: per il 18,4% è colpa delle carenze strutturali. In linea con i risultati ottenuti sulla rilevazione del 2010, interrogati sulla responsabilità dei casi di malasanità avvenuti all’interno di alcuni ospedali pubblici italiani, il 18,4% ne fa risalire la causa alle carenze strutturali degli ospedali pubblici, quali il mancato rispetto delle norme igieniche e il sovraffollamento, il 14,5% sostiene che il problema principale sia costituito dai medici, il 12,5% imputa la responsabilità ai tagli alla sanità, il 3,9% ritiene che i colpevoli siano gli infermieri, mentre la maggior parte, il 47%, sostiene che a dar vita ai casi di malasanità sia l’insieme congiunto dei fattori citati.

Cresce il gradimento per il privato. Per usufruire di cure specialistiche o affrontare interventi chirurgici, gli italiani preferiscono affidarsi, nel 41,4% dei casi, alle strutture ospedaliere pubbliche, mentre si attestano su livelli simili coloro che preferiscono rivolgersi agli ospedali privati (26,1%) e quanti invece, pur volendo optare per i privati, che rappresentano la loro prima scelta, sono costretti a ripiegare sul servizio pubblico a causa dei costi troppo elevati (24,2%). Questa categoria è aumentata del 3,8% rispetto all’anno precedente, così come chi predilige le cure e i servizi erogati dalle cliniche private ha fatto registrare un aumento del 3,3%. In drastico calo rispetto al 2010 invece (-10,1%) le preferenze accordate alle strutture sanitarie pubbliche.

Eutanasia: favorevole il 66,2% degli italiani, ma in diminuzione nel corso degli anni. I due terzi del campione intervistato (66,2%) si dice favorevole alla pratica dell’eutanasia, facendo registrare un -1,2% rispetto al 2010, in cui era il 67,4% a schierarsi in favore della pratica, un -1,8% rispetto ai dati raccolti nel 2007 (68%) e un +6,7% rispetto al 2004. Rispetto al 2010 aumenta nel 2011 la quota dei contrari passando dal 21,7% al 24,2%.
Allo stesso tempo diminuiscono gli indecisi (dal 10,9% al 9,6%). A rispondere di essere favorevole alla possibilità di concludere la vita di un’altra persona, dietro sua richiesta, ricorrendo alla pratica dell’eutanasia è il 67,9% degli uomini, contro il 64,6% delle donne, mentre, invece, queste ultime si dicono contrarie nel 26% dei casi, contro il 22,3% degli uomini che fanno la stessa dichiarazione (con una differenza del 3,7%). Tra i favorevoli all’eutanasia il 75,3% appartiene alla classe d’età dei 18-24enni, il 70,9% a chi ha un’età compresa tra i 25 e i 34 anni, il 67,5% agli adulti che hanno un’età che va dai 35 ai 44 anni, il 67,7% ai 45-64enni e il 53,7% a chi ha 65 anni e oltre. L’appartenenza politica fa registrare un picco dell’82% di favorevoli alla pratica della “buona morte” a sinistra e soltanto l’11,7% dei contrari. Chi non si riconosce in alcuna posizione politica afferma di essere d’accordo per il 69,6% e contrario per il 19,4%. I votanti di destra fanno registrare un 66% a favore e un 27,7% contro l’eutanasia. Tra i militanti del centro-sinistra il 63,1% si dice favorevole e il 26,7% contrario. Nelle fila del centro ritroviamo un 57,9% di favorevoli e un 31,6% di contrari e infine tra coloro che si riconoscono nel centro-destra, il 54,5% dichiara la propria aderenza allo spirito che si cela dietro la pratica e il 37,2% si tiene invece su posizioni opposte.
Il 48,6% degli italiani pensa che l’eutanasia venga praticata ugualmente negli ospedali. Mentre nel 2007 di fronte alla domanda “secondo lei negli ospedali pubblici viene praticata di nascosto l’eutanasia per i casi irrisolvibili anche se la legge non lo consente?” quasi la metà del campione (47,3%) non riusciva a dare una risposta netta a favore del sì o del no, con il passare degli anni i dubbi vanno diminuendo, interessando il 25,4% degli intervistati nel 2010 e il 21,4% nel 2011. Se nel 2007 a rispondere “sì” è stato il 26,3% degli italiani, nel 2010 tale percentuale è salita al 45,2% (+18,9%) e ancora al 48,6% nell’anno in corso (+22,3% rispetto al 2004 e +3,4% rispetto al 2010). Minori variazioni ha subìto invece la percentuale di quanti ritengono che non venga praticata in sordina all’interno delle strutture ospedaliere pubbliche: erano il 26,4% nel 2004, il 29,4% nel 2010 e sono oggi il 30%. Nonostante l’opinione diffusa che l’eutanasia venga praticata illegalmente negli ospedali, la maggior parte degli intervistati afferma di non essere mai venuti a conoscenza di episodi di eutanasia praticata di nascosto da parte di familiari, amici o conoscenti: essi rappresentavano l’87,4% nel 2007, il 91,4% nel 2010 (+5%) e l’82,4% nel 2011. Al contrario, il 5,9% nel 2007, il 7,7% nel 2010 e il 7,4% di quest’anno hanno risposto affermativamente.

Testamento biologico: il 77,2% la libertà di scegliere, ma in diminuzione negli anni. A proposito di una legge che istituisca in Italia il testamento biologico, già nel 2007 si diceva favorevole il 74,7% degli italiani (contro il 15% dei contrari), diventati l’81,4% nel 2010 (contro il 10,9% dei non favorevoli). I dati di quest’anno dimostrano però un’inversione di tendenza, dal momento che rispetto all’anno precedente coloro che si dicono favorevoli al testamento biologico sono diventati il 77,2%, facendo registrare un calo del 4,2%, mentre sono aumentati al 14,2%, il 3,3% in più nel giro di un anno, coloro che si schierano contro la sua istituzione a mezzo di un’apposita legge. La maggior parte di coloro che sono favorevoli al testamento biologico appartiene alla sinistra (87,5% contro il 7,8% dei contrari), seguiti da chi non ha alcuna appartenenza politica (80,1%), da quanti si riconoscono nei valori del centro-destra (76%), del centro-sinistra (75,6%) e del centro (64,9%). Nel caso fosse introdotto il testamento biologico, secondo l’opinione del 72,8% degli italiani, il medico non potrebbe ignorare la volontà in esso espressa, solo il 14,8% (13,9% nel 2010) ritiene invece che il medico potrebbe agire in maniera difforme dalla richiesta espressa dal paziente. Ad avere dato una risposta negativa è stato il 74,5% degli intervistati nel 2010, diventati il 72,8% nel 2011 (-1,7%), mentre a rispondere affermativamente è stato il 13,9% nel 2010, diventato il 14,8% nel 2011 (0,9%).
 
La crisi economica costringe a risparmiare ed adattarsi. Risulta in aumento la percentuale degli italiani che ha indicato un elevato (46,3%, 45,6% nel 2010) ed un eccessivo (15,5%, 13,6% nel 2010) aumento del costo della vita. Diminuisce di contro la quota di chi asserisce che l’aumento dei prezzi sia stato contenuto e non superiore al 3%: 32,3% contro il 34,5% del 2010. L’aumento elevato dei prezzi (tra il 3% e l’8%) è particolarmente accentuato nell’Italia insulare (55,6%), in quella meridionale (50%) e nell’area Nord-Est (49,1%). La crescita eccessiva dei prezzi, ossia superiori all’8%, è stata avvertita in modo particolare dai residenti del Sud (17,7%) seguiti da quelli del Nord-Ovest (16%) e del Nord-Est (15,3%).
In questa situazione, continua la tendenza all’adattamento per i consumi e comportamenti d’acquisto. Si tagliano le spese superflue e si riducono i beni non essenziali, prima fra tutte la spesa per i regali (77,8%, 75,3% nel 2010), per i pasti fuori casa (73,5%) ma anche per i viaggi (70%, +4,8%) e il tempo libero (69,3%, +8,8% rispetto al 2010). Un ulteriore punto fermo in clima di recessione economica, l’acquisto dei prodotti in saldo (74,5%, 68,3% nel 2010) o comunque presso punti vendita più economici come grandi magazzini, mercatini o outlet (71,3%, +0,4%). Grandi accortezze anche per l’acquisto di prodotti alimentari: il 67,8% cambia marca di un prodotto se questo è più conveniente ed il 55,6% sceglie punti vendita più economici come i discount. Nel 25,5% dei casi ci si rivolge per gli acquisti al mercato dell’usato (+7,2% rispetto al 2010). L’e-commerce è sempre più diffuso: ben il 36,2% degli italiani ha acquistato prodotti online essenzialmente per risparmiare o per aderire ad offerte speciali.

Assicurarsi? Solo il 21,1% lo fa per la salute. La maggioranza degli intervistati dimostra di affidarsi poco ai vari tipi di servizi offerti dalle compagnie. Solo il 21,1% ha stipulato una assicurazione sanitaria; bassa anche la percentuale di coloro che hanno scelto una pensione integrativa (19,3%). Il bene ritenuto per eccellenza più importante per gli italiani, la casa, risulta essere stato assicurato soltanto nel 22,7% dei casi, superato dal numero di assicurazioni stipulate sulla vita (25,5%). È invece l’auto a raggiungere la quota più elevata di polizze stipulate contro il furto (42%).
 
Il piacere di vivere in Italia. Quasi due terzi dei cittadini (62,9%) sostengono che vivere in Italia sia una fortuna, contro il 33,9% di quelli che la considerano una sfortuna e il 3,2% che è indeciso sulla risposta da dare. Rispetto al 2006, anno in cui l’Eurispes ha interrogato la popolazione italiana sulla stessa tematica, la percentuale di quanti ritengono che vivere in Italia sia una fortuna si è leggermente affievolita (-4,7%). Ad essere maggiormente contenti di poter vivere in Italia sono gli anziani che hanno più di 65 anni (72,2%), a seguire il 63,9% degli adulti di 35-44 anni, il 62,9% dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni, il 59,2% di quanti hanno un’età compresa tra 45 e 64 anni e il 56,6% dei 25-34enni. A rispondere, al contrario, che vivere in Italia è una sfortuna sono, in ordine, i giovani fino a 34 anni (il 39,4% dei 25-34enni e il 37,1% dei 18-24enni), seguiti dal 36,6% di coloro la cui età varia dai 45 ai 64 anni, dal 32% di chi ha tra i 35 e i 44 anni e infine dal 26% della popolazione di 65 anni e oltre.
Precarietà, mancanza di senso civico e corruzione i mali dell’Italia. Il 29,1% indica come motivi per i quali è una sfortuna vivere in Italia la precarietà lavorativa, il 20,6% riscontra una mancanza di senso civico, il 19,1% giudica troppo pesante il livello di corruzione, il 15,2% attribuisce la colpa alla classe politica, l’8,6 alle condizioni economiche generali, il 3,9% sostiene che il tasso di criminalità sia troppo elevato e l’1,3% giudica inaccettabili le prestazioni di welfare.

Quattro italiani su dieci si trasferirebbero all’estero. La possibilità di andare a vivere in un altro paese viene accolta dal 40,6% degli intervistati. Era 37,8 la percentuale di coloro che nel 2006 si dicevano favorevoli a cambiare paese. La variazione più interessante riguarda però coloro che affermano di voler continuare a vivere in Italia, passati dal 58% del 2006 al 47,7% (-10,3%) e soprattutto gli indecisi, passati dal 4,2% all’11,7% (+7,5%). Disposti a cambire paese sono soprattutto gli uomini (42,9% contro il 38,4% delle donne). e i giovani tra i 25-34 anni (50,9%).
 
Francia, Usa e Spagna i paese più gettonati per “rifarsi un vita”. Se proprio dovessero lasciare la Penisola, la maggior parte degli italiani (16,5%) andrebbe in Francia, negli Stati Uniti (16,1%), in Spagna (14,3%), in Inghilterra (11,9%) e in Germania (10,1%), mète da sempre preferite dai connazionali emigranti. A seguire, tra i paesi preferiti troviamo la Svizzera (7%), l’Australia (4,8%), la Svezia (3,2%), Canada e Olanda (1,7%), Brasile, Danimarca e Sud America (1,5%), Norvegia (1,4%) e Africa (1,1%). Operando un confronto tra le mète indicate nel 2006 e nel 2011 è diminuita l’attrazione verso paesi quali l’Austria (-1,9%), la Svizzera (-0,8%), il Nord Europa (-0,7%) e l’Africa (-0,3%). Le maggiori adesioni riguardano: Germania (+6,4%) e Stati Uniti d’America (+8,8%). Tra i migliori paesi in cui trasferirsi fa capolino la Francia con un +4,5%. L’Inghilterra fa registrare un +2,9%, seguita dal +2,6% dell’Australia, dalla Svezia (+2,2%) mentre invariato resta il fascino dei nostri concittadini per la Spagna (+0,1%). Tra le motivazioni che spingerebbero gli italiani a preferire un altro paese dove vivere sono indicate al primo posto le maggiori opportunità di lavoro (35,7%), seguite, a più di 20 punti di differenza, dalle maggiori opportunità per i figli (12,7%). Seguono poi una maggiore sicurezza (9,1%), un clima politico migliore (7,8%), maggiore libertà di opinione e di espressione (7,5%), il costo minore della vita (7,5%), un clima culturale più vivace (6,9%), semplice curiosità (5,6%) e un maggior contatto con la natura (4,3%).

In tavola solo frutta e verdura: vegetariano e vegani sono il 6,7%. L’amore e il rispetto per gli animali a volte finiscono per influenzare anche le abitudini alimentari dei soggetti che, per tutelare l’ambiente e proteggere la biodiversità, rinunciano a carne, pesce e talvolta anche a uova e latte. Che si chiamino vegetariani o, nell’accezione più estrema, vegani, essi costituiscono ormai anche nel nostro Paese un fenomeno sociale sul quale è opportuno soffermarsi ad indagare. Mangiare esclusivamente vegetali è un’abitudine per il 6,3% della popolazione che ha eliminato dalla propria dieta carne e pesce, lo 0,4% ha optato per una decisione ancora più drastica che prevede l’esclusione anche del latte e delle uova: il veganismo. A preferire uno stile alimentare di tipo vegetariano o vegano sono in prevalenza le donne (rispettivamente 7,2% vs 5,3% degli uomini; 0,5% vs 0,3%), i giovanissimi tra i 18 e i 24 anni (13,5%) e, a sorpresa, tra gli over 65 (9,3%).

Vegetariani e vegani soprattutto per la salute. Ma da dove nasce la spinta ad abbandonare la dieta mediterranea, con la sua varietà di alimenti e sapori, e rivolgere il proprio interesse esclusivamente verso determinate tipologie di cibo? Nel 48% dei casi questa scelta dipende fondamentalmente dal fatto che mangiare esclusivamente frutta e verdura arrechi benefici alla salute. Molto alta appare, poi, la percentuale di coloro che sono mossi in tal senso da ideologie animaliste (44%) che mal sopportano l’uccisione di animali per la macellazione delle carni. A questo risultato si associa la parte degli intervistati che scelgono la via del vegetarismo per ragioni di tipo ambientalista (2%). Pare infatti che questo tipo di dieta comporti un minore spreco di risorse e provochi meno danni al territorio.


 

28 gennaio 2011
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