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“La complessità che cura, un nuovo approccio all’oncologia”. Il nuovo libro di Cavicchi e Numico


Il testo scritto da un filosofo "per" la medicina e da un primario oncolgo ha l’ambizione di proporsi come una piattaforma culturale per rinnovare l’oncologia. Il compito del filosofo diventa quello di aiutare l'oncologo a pensare nella complessità. E, in quest'ottica, l'oncologia diventa il paradigma di tutta la medicina. Ne abbiamo parlato con Ivan Cavicchi

03 GIU - Il nuovo libro di Ivan Cavicchi, scritto come filosofo “per” la medicina, insieme a Gian Mauro Numico, primario oncologo, ha l’ambizione di proporsi come una piattaforma culturale per rinnovare l’oncologia. Il volume è appena stato stato pubblicato dalle Edizioni Dedalo e di come è nato e di quali scopi si propone, ne abbiamo parlato oggi con Cavicchi
 
La prima domanda spontanea che ci viene è chiederle cosa vuol dire rinnovare quando sappiamo che l’oncologia soprattutto negli ultimi decenni ha fatto progressi giganteschi. Progresso e rinnovamento non sono la stessa cosa?
Il progresso si riferisce alla scienza, quindi ai farmaci e ai trattamenti, quindi mezzi e tecniche per la cura del cancro. Il rinnovamento si riferisce alla cultura della cura, quindi ai modi come la si intende, come la si concepisce e quindi come andrebbe agita. Il rinnovamento culturale dell’oncologia, che poi interessa l’intera medicina, riguarda i soggetti curanti che sono essenzialmente il malato e l’oncologo e il sistema sanitario. In questo senso oggi progresso e rinnovamento in oncologia ma direi in medicina, salvo qualche eccezione, non coincidono. Ad un notevole progresso scientifico sussiste un modo di curare che è difforme dai mutamenti sociali del nostro tempo e dalle nuove esigenze dei malati e anche dai problemi del sistema curante.

Ci puoi spiegare meglio. Terapie e mezzi per la cura del cancro si possono usare in modi diversi al punto da risultare per fino efficaci in modo diverso?
I malati non sono esattamente come delle lavatrici per le quali basta leggere il libretto di istruzioni. Le istruzioni nel nostro caso si riferiscono alla conoscenza scientifica. Naturalmente le istruzioni scientifiche che accompagnano una terapia e i vari trattamenti, vanno rispettate perché sono il risultato di un lungo percorso empirico sperimentale, ma il loro uso non è semplicemente esecutivo. Il modo di usare il bastone decide alla fine cosa è il bastone oltre la sua oggettiva materialità. L’uso di una terapia è fatto da una parte sostanziale e da una parte culturale. La prima è invariante la seconda è variante in funzione di tanti fattori. La prima è fisica ed è la malattia biologica la seconda è qualcosa che sta sopra la malattia biologica. La prima agisce in modi deterministici, semplici, lineari, meccanici, la seconda non agisce ma interagisce in modi circolari, relazionali, situazionali. Un conto è considerare il malato un corpo e un conto è considerarlo una persona con un corpo o avere con lui delle relazioni terapeutiche, un conto è considerare un farmaco solo un principio attivo, cioè il prodotto della sintesi chimica e un conto è considerarlo un riferimento terapeutico in relazione con una individualità ecc. Oltre la disponibilità delle terapie diventano importanti le capacità di chi le usa quindi l’oncologo e le capacità di chi se ne giova cioè il malato. Sono costoro che decidono “come” fare terapia, cioè le modalità più giuste e più pertinenti.

Se lei sostiene che a parità di terapie vi sono modi diversi per curare, pone implicitamente la questione di quale modo sia migliore, cioè più efficace. Parlando di cancro non ci pare sia una questione secondaria.
Intanto chiariamo che oggi il problema principale dell’oncologia, a parte guarire il malato dalla malattia quando è possibile, è accrescere soprattutto il suo grado di sopravvivenza. L’ultimo rapporto Favo ci dice che aumentano gli italiani che ‘vivono’ con il cancro (+17% in cinque anni), che cinque anni fa i malati di cancro erano 2 milioni e mezzo, e che oggi sono più di 3 e che 1 malato su 4 è completamente guarito. Quindi una cosa è la curabilità e una cosa è la guaribilità. Detto questo è evidente che oggi il problema principale dell’oncologia è, a incremento costante della malattia e a bassa guaribilità, accrescere il più possibile i margini di curabilità perché da essi viene a dipendere il grado di sopravvivenza del malato di tumore. In questo contesto il modo di curare diventa una variabile importante della curabilità e quindi della sopravvivenza.

A proposito di Favo ci sembra che l’accento del suo rapporto sia stato posto sostanzialmente su due questioni: l’accesso ai farmaci innovativi e il post trattamento, cioè la questione della riabilitazione. E' così?
Credo di sì ma i problemi della cura restano primari e sbaglieremmo a sottovalutarli. Se si pensa che la cura sia solo funzione dei farmaci disponibili allora si crede che le terapie disponibili siano funzione della sopravvivenza o della eventuale guarigione. Da qui la grande questione dei farmaci innovativi. E questo è indiscutibilmente vero. Ma l’esperienza ci dice che non è detto che le terapie adottate garantiscano, per uno specifico individuo malato, il grado di sopravvivenza massimamente possibile perché tantissimi sono i problemi che si accompagnano alla curabilità e tantissimi sono i fattori che abbassano il grado di efficacia ottimale delle terapie. Quindi si pone un problema che i marginalisti definirebbero di ottimalità dell’impiego delle terapie, ma l’ottimalità si accresce solo curando il malato con i giusti mezzi e nel modo più appropriato.

Ma come? In termini concreti cosa vuol dire per un malato di cancro il suo discorso?
Il vizio più grande dell’oncologia come del resto dell’intera medicina coincide anche con la sua virtù. Inevitabilmente essa per essere scientifica ed applicarsi al maggior numero di malati deve essere impersonale, cioè codificata in standard, indicatori, parametri, protocolli e quindi riferirsi ad un certo modello di malato. E questa è la virtù. Ma nella realtà tra il modello di malato della scienza e il malato reale c’è sempre uno scarto, una difformità che soprattutto per il malato di cancro spesso si traduce in inconseguenza cioè le terapie che non funzionano, per altri in effetti collaterali insopportabili, per altri ancora in effetti terapeutici insufficienti e per alcuni, i più fortunati, in buone performance terapeutiche. E questo è il vizio. Io sostengo che nel setting di cura è l’oncologo che sul campo deve mediare i problemi dell’impersonalità delle terapie con quelli della personalità delle cure e che questa mediazione non è possibile senza un ruolo di coterapeuta del malato e meno che mai senza una vera relazione di cura tra di loro e al di fuori di una buona organizzazione dei servizi sanitari. Questo non ha niente a che fare con le banalità sull’umanizzazione, sulla centralità del paziente, sulla comunicazione. Queste cose al massimo pongono agli oncologi problemi deontologici. La relazione di cura è un altro modo di curare, di conoscere, di giudicare le necessità del malato, di decidere, cioè è un altro genere di clinica, da quella osservazionale si passa a quella relazionale. Una terapia impersonale considera uguali tutti i malati che sono affetti da un certo tipo di cancro. Una cura personale considera ogni malato una individualità. Sul piano filosofico l’oncologo dentro la relazione con il malato media tra la generalizzazione (induttivismo) e la specificazione (deduttivismo).

E quindi quale oncologia viene fuori da questa concezione?
L’oncologia all’origine nasce come “oncologia medica” quindi come una disciplina specialistica e nel tempo diventa “medicina oncologica” cioè sempre più plurispecialistica, con questo libro, essa è spinta ancora più avanti aprendo la strada ad una specie più avanzata di clinica nella quale alla conoscenza oncologica dei trattati si aggiungono conoscenze ontologiche, relazionali, linguistiche, pragmatiche, situazionali, cognitive, logiche. Quella che nel libro è definita “onto-oncologia”. Gianni Bonadonna, il vero grande maitre a pensér dell’oncologia italiana, è colui che quale oncologo, è autore del trattato di oncologia più studiato nelle scuole di specializzazione, ma è anche colui che quale malato ha scritto libri con i quali dimostra che il suo trattato, nei confronti della complessità del malato resta culturalmente inadeguato, senza, però, mai ripensare come malato l’oncologo e come oncologo ripensare il malato. Ecco noi vorremmo ripensare l’oncologo con il malato e viceversa.

Veniamo al titolo del libro, cosa vuol dire la complessità che cura?
Se i modi della cura fossero più adeguati alle complessità del malato di cancro la cura potrebbe essere più efficace. Questo è il postulato di base da cui parte il libro. La complessità è una idea diversa da complicazione, il cancro è una complicazione biologica che riguarda un organo del nostro corpo.. la complessità riguarda il malato considerato un mondo a molti mondi. Si tratta di considerare tale complessità non come un problema ma come una risorsa da usare. La nuova frontiera passa quindi per un genere di cura che assume un più alto livello di complessità .Il tumore è sempre un “essere” malato di tumore nel divenire della sua esistenza cioè il cancro è sempre una complicazione biologica e una complessità ontologica.

Vuole forse dire che l’oncologia ancora oggi è soprattutto una scienza della complicazione biologica ma non della complessità della persona malata?
In un certo senso si come del resto è tutta la medicina di matrice positivista. La complessità alla quale mi riferisco attualmente sia in medicina che in concologia non c’è, nel senso che non è prevista, in nessun protocollo terapeutico, e meno che mai nella formazione di un medico o di un oncologo, perché sino ad ora in ossequio ad una certa idea di scienza, essa è stata vista come un intralcio, mentre a saperla usare è esattamente il contrario: essa può addirittura migliorare gli esiti dei trattamenti disponibili fino a decidere il grado di sopravvivenza del malato.

E' per conoscere e imparare ad usare questa complessità che ci vuole il filosofo?
Il governo della complessità, l’uso ottimale della conoscenza cioè l’epistemologia, i problemi della relazione, quelli del linguaggio, le grandi questioni della comprensione dell’essere, cioè l’ontologia, le questioni del contesto, i problemi legati alla contingenza e alla situazione e tante altre cose, sono tutte questioni che decidono come curare, ma che non rientrano in quella scatola definita “scienza” o nello specifico definita “oncologia”. Ancora non c’è una scatola riconosciuta dall’accademia nella quale mettere tutte queste cose. Ne per l’oncologia, ne per la medicina in generale, per cui l’unica scatola disponibile ad ospitare queste problematiche oggi è quella che si chiama genericamente “filosofia”. Il filosofo in questo caso non è quello del senso comune, cioè uno che si occupa di speculazioni teoriche, è un oncologo in carne ed ossa che non ha studiato solo la storia naturale del cancro ma anche ontologia, epistemologia, logica, uso del linguaggio ecc. Il filosofo in questo caso non cura il cancro ma si occupa degli oncologi che curano il cancro, occupandosi del loro modo di pensare e del loro modo di fare, cioè aiutandoli a pensare nella complessità. Da questo punto di vista mi preme dire che questo libro usa l’oncologia come frontiera ma le sue analisi le sue proposte valgono per tutta la medicina. Per cui consiglio a tutti di leggerlo.

In chiusura ci vuole sintetizzare con degli slogan il libro?
Al volo gli slogan potrebbero essere questi:
• se conosco poco il malato è possibile che con quello di cui dispongo per curarlo che lo curi meno di quello che potrei;
• se lo conosco meglio è possibile con quello di cui dispongo che lo curo al massimo delle possibilità ragionevoli;
• la relazione con il malato non è un problema di amabilità, di buone maniere, di rispetto, ma è un altro modo di conoscere la malattia, cioè è un altro genere di clinica;
• la relazione tra persone è complessità e se la complessità cura allora la relazione è una possibilità di cura in più, quindi un grado maggiore di sopravvivenza.
 
(Red.)


“La complessità che cura, un nuovo approccio all’oncologia” 
Ivan Cavicchi e Gian Mauro Numico 
Edizioni Dedalo Bari 2015
Euro 17.50


03 giugno 2015
© Riproduzione riservata


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