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In Italia 1,7 milioni di donne straniere in età fertile, ma solo una su cinque va dal ginecologo. Lo studio al Congresso della Sigo


I dati presentati in vista del congresso 2016 dei ginecologi italiani dedicato alla società multirazziale. Un parto su cinque in Italia è svolto da una donna di origine straniera. Il 26% è originaria dell’UE, il 25% dell’Africa. Seguono l’Asia (18%) e il Sud-America (8%). L’età media delle madri è di 29 anni contro i 32 delle italiane. E infine resta alta la percentuale di IVG: il 34% riguarda donne straniere

04 DIC - Soltanto il 20% delle under 20 d’origine straniera, che risiede in Italia, è andata almeno una volta dal ginecologo. Il 70% delle loro coetanee italiane invece si è sottoposta alla visita con lo specialista. E il 34% degli aborti è praticato da un’immigrata. Nel nostro Paese vivono più di 1 milione e 700mila donne di origine straniera in età fertile, che provengono da tutti e cinque i continenti e spesso hanno una diversa cultura per quanto riguarda sessualità, maternità o il ruolo della donna all’interno della società e famiglia. E’ il quadro tracciato oggi dalla Società Italiana della Ginecologia e Ostetricia (Sigo) durante la conferenza di presentazione del 91° congresso della Società scientifica dal titolo ‘La Salute al Femminile Tra Sostenibilità e Società Multietnica che si svolgerà a Roma dal 2 al 5 ottobre 2016’.

Oltre 155mila straniere presenti sul territorio nazionale hanno meno di 20 anni - osserva Paolo Scollo, presidente nazionale della Sigo - Nella stragrande maggioranza dei casi queste ragazze si rivolgono a noi quando è già troppo tardi. Per esempio ci chiedono la pillola del ‘giorno dopo’ o di altri contraccettivi d’emergenza. Alla base manca una corretta cultura della prevenzione”. Le giovani straniere “sono una delle categorie più esposte al rischio di comportamenti sessuali non responsabili - sostiene Giovanni Scambia, Direttore del Dipartimento Tutela della Salute della Donna della Cattolica di Roma e presidente del prossimo congresso Sigo – Il loro tasso di abortività è più del doppio di quello registrato tra le italiane di pari età. Per invertire questa pericolosa tendenza bisogna aumentare il livello di informazione avviando corsi specifici di educazione alla sessualità ed affettività”.

“E’ possibile realizzarli rafforzando la rete dei consultori - prosegue Scollo -. Grazie a queste strutture negli ultimi 40 anni milioni di cittadini hanno ricevuto assistenza. Adesso però è necessario migliorare la loro situazione qualitativa e quantitativa. Tutti gli abitanti del nostro Paese, italiani e non, hanno un grande bisogno di una corretta informazione sulla preservazione del proprio benessere”.

“Le differenze culturali non favoriscono l’afflusso di donne nei nostri ambulatori - spiega Enrico Vizza, segretario nazionale Sigo e presidente del prossimo congresso - Il primo problema della lingua. Il 13% degli stranieri afferma di avere difficoltà nello spiegare correttamente in italiano i propri disturbi ad un medico. Per avvicinare a noi questi strati della popolazione dobbiamo puntare sulle ‘seconde e terze generazioni’ di immigrati. Sono cittadini a tutti gli effetti nati e cresciuti nel nostro Paese e che parlano correttamente la nostra lingua. Spesso e volentieri fanno da tramite per la traduzione, la comunicazione e l'informazione e non solo in ambito medico-sanitario. Sono dunque un’importante risorsa insostituibile, imprescindibili per accrescere la cultura di accesso al Ssn in termini di vaccinazione e screening”.

“L’Italia è un Paese sempre più multi-etnico – fanno notare Scollo, Vizza e Scambia - I cittadini d’origine straniera rappresentano ormai più del 8% di tutta la popolazione. Noi ginecologi dobbiamo aggiornare le nostre conoscenze alla luce di questi fenomeni. Per questo la nostra società scientifica ha deciso di mettere al centro del suo prossimo congresso nazionale il benessere e la salute delle immigrate”.

La Sigo conta circa 6.000 soci e oltre 30 società e associazioni federate (tra cui l’Aogoi, Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani e Agui, Associazione Ginecologi Universitari Italiani). In base a quanto rilevano, negli ospedali del nostro Paese un parto su cinque è svolto da una donna di origine straniera. Il 26% è originaria dell’Unione Europea, il 25% proviene invece dall’Africa. Seguono l’Asia (18%) e il Sud-America (8%). L’età media delle madri è di 29 anni contro i 32 delle italiane.

“L’immigrazione ha portato al confronto culture molto differenti per quanto riguarda la sessualità, maternità o il ruolo della donna all’interno della società e famiglia - sottolinea Vito Trojano, presidente nazionale dell’Aogoi -. Tra i vari medici specialisti noi ginecologi siamo quelli che più di tutti hanno a che fare con queste diversità. Dobbiamo imparare a gestire questo delicato aspetto della nostra professione. L’integrazione dei nuovi cittadini può cominciare nei reparti materno-infantili dove sempre più neonati vengono al mondo con nomi e cognomi non italiani”. Per migliorare questi processi “è fondamentale coinvolgere organicamente i medici di medicina generale e garantire la riconversione dei piccoli ospedali in realtà territoriali di prevenzione e di prima accoglienza”.

“Il 48% delle straniere che partoriscono da noi hanno una scolarità medio-bassa - evidenzia Nicola Colacurci, presidente nazionale Agui -. Una su due è una casalinga che non lavora. Si tratta dunque di pazienti molto diverse rispetto alle neo-madri italiane che nel 25% dei casi ha una laurea. L’approccio che diamo a queste pazienti deve per forza essere diverso al di là della provenienza geografica”.

“In alcune regioni il personale medico è chiamato ad assistere donne in cerca di asilo politico nel nostro Paese - conclude Scollo -. Arrivano in Italia dopo tremendi e pericolosi viaggi su barconi fatiscenti. Molte di loro sono in gravidanza, altre ancora dovranno trascorrere molti mesi nei centri di identificazione. All’interno di queste strutture, oltre alla normale assistenza sanitaria, potremmo iniziare un lavoro di educazione alla salute. Anche perché sono numerose le difficoltà che si presentano nella somministrazione dei vaccini a donne e bambini immigrati. Tutto ciò all’interno di una contesto in cui stanno ricomparendo patologie che pensavamo estinte, come sifilide e tubercolosi. Un fenomeno in crescita, poiché queste persone attraversano scenari complicatissimi e per lunghi periodi di tempo: basti pensare che un viaggio dal Niger alla Libia può durare anche due anni”.
 

04 dicembre 2015
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