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Un malato terminale su 2 chiede di accorciare la sua sofferenza


Per 4 oncologi su 10 vanno accolte le direttive dei pazienti, per il 50% invece queste vanno condivise e discusse. Il 75% ritiene necessaria una normativa specifica, ma il 39% vorrebbe che l’approvazione di una legge fosse affiancata da un referendum popolare. È quanto emerge da un’indagine dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom)

10 MAG - Il 56% degli oncologi italiani si è sentito chiedere almeno una volta dai propri pazienti terminali di accorciare le loro sofferenze. Accanimento terapeutico, testamento biologico, direttive anticipate sono problemi concreti, quotidiani, nei reparti in cui si curano i tumori ma solo 4 medici su 10 si sentono adeguatamente informati su come gestire le questioni del “fine vita”. Un bisogno reale che va affrontato sia sul piano della conoscenza che con specifiche normative: ne è convinto il 75% dei soci dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), che nel corso di un convegno nazionale sul tema appena concluso a Valderice (TP), ha presentato i risultati di un’indagine promossa dall’associazione stessa tra 685 oncologi.
“Il 50% di noi segue personalmente oltre 10 malati terminali ogni mese e con loro siamo spesso chiamati a prendere decisioni che riguardano il vivere e il morire”, ha osservato Carmelo Iacono, presidente dell’Aiom, che aggiunge: “Dobbiamo essere pronti a gestire questo aspetto, così come sappiamo impostare un piano terapeutico. Oggi è infatti indispensabile svolgere la nostra professione con un approccio orientato alla persona e non solo al tumore: la qualità di vita è un obiettivo irrinunciabile della cura e la Società scientifica ha il dovere di approfondire anche gli aspetti etici”.
Ma qual è il punto di vista dei medici nei confronti del fine vita? Dall’indagine Aiom è emerso che circa 4 oncologi su 10 sono convinti che ci si debba attenere alle direttive del paziente. Solo il 7% lo ritiene sbagliato. Il 50%, tuttavia, sottolinea che le direttive andrebbero discusse e condivise. Di fronte alla richiesta realmente ricevuta, però, solo il 15% ammette di aver assecondato il malato, il 50% ne ha discusso insieme, il 31% si è rifiutato di assecondarlo. Gli atteggiamenti sono probabilmente legati anche alle polemiche e alle opinioni legate all’eutanasia: il 46% degli oncologi afferma di non essere assolutamente favorevole di questa pratica, il 37% la ritiene possibile in casi particolari, ma solo il 16% si dice favorevole. In ogni caso, nella pratica quotidiana, solo il 18% degli oncologi afferma di non sentirsi culturalmente e psicologicamente preparato ad affrontare questi aspetti.
Ben accetta l’eventuale regolamentazione giuridica sul tema, che per il 63% degli oncologici permetterebbe un miglioramento del rapporto medico-paziente. Secondo il 54% dei medici, però, quanto disposto da una persona in buone condizioni di salute non è applicabile nella fase avanzata-terminale di malattia e a distanza di anni dal primo pronunciamento, essendo probabile il cambiamento di valori e aspettative. A pensare che invece sia applicabile è il 24% degli oncologi intervistati dall’Aoim.
Il 39% degli oncologi, comunque, preferirebbe che l’approvazione di una legge in tema di biotestamento fosse affiancato da un referendum confermativo popolare.

Ma l’Aiom è andato oltre, investigando tra i pazienti, che solo il 12% dei casi affermano di essere stati informati con termini precisi sul percorso terapeutico. Altro punto debole è il livello di comprensione “percepita” dai malati che risulta essere non ottimale per il circa il 40%. Esiste indubbiamente un problema di comunicazione, ammette l’associazione spiegando che il 91% dei casi i medici utilizza parole specifiche per fornire l’informazione ma solo la metà dei pazienti la recepisce esattamente. “Dati che devono farci riflettere – conclude Iacono – perché non siamo solo prescrittori di trattamenti medici ma il punto di riferimento del malato e della sua famiglia per tutto l’iter terapeutico”.


L.C.

10 maggio 2010
© Riproduzione riservata


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