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Come rispondere alle ammalianti sirene della sanità privata

di Fabrizio Gianfrate

Il Ssn è in crisi. Inevitabile allora, in questo contesto, farsi sedurre dal canto sempre più ammaliante delle sirene della sanità privata, fondi e assicurazioni, ospedali e ambulatori. Ma la vera sfida è far funzionare il privato in modo realmente sinergico e complementare col SSN, amplificando i pregi di entrambi

15 GIU - “Non sono comunista, non me lo posso permettere!”. La fulminante battuta di Ennio Flaiano sembra stamparsi su quel SSN che emerge da analisi come il recente studio Censis-Rbm Salute: sotto finanziato, inefficiente, diseguale nell’accesso e che si salva solo con soldi e mezzi privati.
 
E pensare che il SSN, nello specifico il NHS, la più grande conquista sociale di sempre, la più paritaria, quella che davvero considerava tutti gli individui uguali tra loro, altro che Marx e Engels, l’aveva inventato proprio uno dei più strenui anticomunisti del ‘900, quel Churchill ispirato all’uopo dal vecchio Beveridge.
 
Qui da noi vacilla sotto i colpi di un finanziamento sempre meno adeguato alla domanda reale e per inefficienza da insipienza o dolo. Addio equità nell’accesso, allora. Qualche esperto di corte l’ha battezzato “universalismo selettivo”, un ossimoro da imbonitori demagoghi.
 
Inevitabile allora, in questo contesto, farsi sedurre dal canto sempre più ammaliante delle sirene della sanità privata, fondi e assicurazioni, ospedali e ambulatori. Elevata qualità medica e organizzativa, tempi ristretti e prezzi persino più bassi del solo ticket SSN, a marcarne ulteriormente la diversa efficienza e produttività.
 
Valgono tuttavia i caveat che la dottrina economica storicamente assegna al privato in sanità: mercato imperfetto coi suoi “fallimenti” (nell’accezione “Paretiana”) che se lasciato al solo principio dell’equivalenza di valore dei beni scambiati non riesce a produrre gli effetti positivi diffusi necessari a farlo continuare a funzionare adeguatamente.
 
Vedi allora il “risk pooling” tra premi e coperture, il “cream skimming” di assicurati e servizi, l’iniquità tra soggetti su rischi e costi, i “moral hazard” opportunistici, la selezione avversa, la limitazione delle prestazioni non profittevoli, l’inefficienza allocativa del doppio pagamento tra fiscalità e privato, il trend a lungo termine dell’assicurato “full” a non pagare le tasse per il SSN inutilizzato.
 
In questo quadro generale di progressivo scivolamento verso il privato, in particolare dal lato del finanziamento bisogna innanzitutto chiedersi a quanta equità siamo disposti a rinunciare per una migliore qualità ed efficienza. Quale maggiore livello di prestazioni intendiamo barattare per quale minore livello di solidarismo? Quale divario etico accettiamo tra sanità “pay” e “free”? Quello del Welfare di Beveridge, delle Casse Mutue di Bismark o delle HMO di Reagan?
 
Quanto e con chi vogliamo condividere il “risk sharing” assicurativo? Con tutti (SSN), solo con quelli che fanno il nostro stesso lavoro (Mutue), solo con quelli ricchi come noi e/o della nostra stessa fascia-classe sociale (assicurazioni) o con nessuno (out of pocket)? È un trade-off esiziale tra le nostre convinzioni e convenienze. Tutte le opzioni sono in grado di offrire al singolo, se ben gestite, ottime sanità.
 
Se il modello di sanità che scegliamo riflette la società che vogliamo, oggi vince un sistema più individualista che solidaristico. Quindi più privato. Le cui sirene, grazie alle debolezze del pubblico, diventano sempre più ammaliatrici. Allora l’altra domanda cruciale è: quale migliore uso farne? Come Ulisse vogliamo sentirne il canto affabulante, ma sappiamo che dobbiamo restare saldamente legati all’albero della nave della sanità pubblica, dell’accesso il più possibile egualitario.
 
La sfida, insomma, è far funzionare il privato in modo realmente sinergico e complementare col SSN, amplificando i pregi di entrambi. Di spesa privata già spendiamo molto e disordinatamente: in rapporto a quella pubblica una delle quote più elevate nell’OCSE (34 vs. 115 miliardi) e per lo più out of pocket e per prestazioni sostitutive, non integrative. Entrambe condizioni ad elevato rischio d’inefficienza.
 
Canalizziamo invece queste risorse in modo strutturato e integrato nel sistema, con obiettivi di miglioramento della sua efficienza e riducendo l’impatto sull’equità distributiva. Questo il gol. Diamo una sbirciatina a Francia, Olanda o Canada, solo per citare alcuni Paesi in merito. Certo un tale legame tra pubblico e privato richiede regole e controlli. E che controllore e controllato non siano commensali allo stesso banchetto.
 
Senza quest’integrazione quelle del privato resteranno sirene isolate, fascinose e dal canto irresistibilmente ammaliante ma infine d’incidenza marginale sul sistema, di fatto inutili alla collettività. Metà donne e metà pesci, belle e provocanti che, come dice quel mio amico spiritoso, alla fine non servono: non puoi farci sesso per insormontabili motivi anatomici né, per ovvie ragioni etiche, te le puoi fare bollite alla maionese.
 
Prof. Fabrizio Gianfrate
Economia Sanitaria 


15 giugno 2016
© Riproduzione riservata


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