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Farmaci. Così si individua chi prescrive a rischio


In uno studio britannico è stato proposto un indicatore affidabile per individuare le circostanze in cui il paziente riceve con maggior frequenza farmaci che potrebbero causargli reazioni avverse. La poliprescrizione è la causa principale, ma influiscono anche sesso, età e persino le condizioni socioeconomiche. Sfortunatamente, però, non è possibile individuare quali sono le caratteristiche dei prescrittori più propensi a rischiare.

23 GIU - Più che dai progressi farmacologici, o dalle riduzioni di prezzo, il maggior contributo alla salute dei cittadini , e al bilancio dei servizi sanitari, può venire da un migliore controllo della sicurezza nell’impiego del farmaco. Del resto, non è strano considerando che, punto più punto meno, gli studi attribuiscono alle reazioni avverse da farmaci circa il 6-7% dei ricoveri ospedalieri (si veda per esempio BMJ2004;329:15-9 per non  rifarsi come al solito a stime statunitensi) e si stima che almeno la metà di questi incidenti sarebbe prevenibile.
Se molto si sa e si fa per descrivere e prevenire il fenomeno in ambito ospedaliero, assai meno frequentato è il campo della prescrizione sul territorio. Cioè il tema che affronta invece uno studio britannico – scozzese per l’esattezza- che ha  cercato di individuare quale sia la prevalenza, e quali le condizioni favorenti, della prescrizione a rischio nella fascia di popolazione più esposta alle reazioni avverse da farmaci (Guthrie B et al.High risk prescribing in primary care patients particularly vulnerable to adverse drug events: cross sectional population database analysis in Scottish general practice.BMJ. 2011 Jun 21;342:d3514).

La ricerca ha potuto contare su un campione molto consistente: 315 ambulatori di medicina generale (general practice) che assistono un totale di oltre 1,7 milioni di pazienti. In questa popolazione sono stati identificati poco meno di 140 mila pazienti più esposti al presentarsi di reazioni avverse, sulla base dell’età, della presenza di più malattie o della poliprescrizione. In estrema sintesi, la ricerca mirava a stabilire se era possibile, attraverso un numero limitato di indicatori riuscire a distinguere tra gli ambulatori che avevano una percentuale di prescrizioni ad alto rischio superiore alla media; se è possibile, quindi,  individuare una serie di eventi sentinella, senza dover procedere a una revisione di tutte le prescrizioni erogate dall’ambulatorio. Gli indicatori scelti erano 15: quattro ciascuno relativi a prescrizione di Fans, co-somministrazione di warfarin e altri medicinali, trattamento in presenza di insufficienza cardiaca; due indicatori per il dosaggio del metotressato e, infine, l’uso di antipsicotici negli anziani colpiti da demenza. Insomma tre condizioni molto frequenti e due invece molto meno frequenti (l’uso di metotressato o di antipsicotici nell’anziano demente) ma tutti chiaramente indicati nella letteratura, nelle linee guida o nelle raccomandazioni ufficiali come comportamenti potenzialmente molto rischiosi. E’ il caso di ricordare, peraltro, che la maggior parte dei ricoveri imputabili a reazioni avverse ai farmaci sono dovuti proprio all’uso dei Fans, degli antiaggreganti, del warfarin e di antipertensivi.  Lo studio, come anticipato, indagava anche quali caratteristiche del paziente e dell’ambulatorio si accompagnavano alla maggior probabilità di prescrizioni ad alto rischio.

Detto questo, la prima domanda è quanti pazienti tra quelli più esposti ha ricevuto almeno una prescrizione ad alto rischio nell’arco di un anno? Non pochi: il 14%. E l’uso di questi 15 eventi sentinella effettivamente permetteva di identificare quali ambulatori erano al di sopra della media per questo aspetto. Per quanto riguarda i pazienti, la caratteristica che meglio correla con il presentarsi delle prescrizioni “pericolose” è la poliprescrizione: se chi non assumeva in precedenza nessun farmaco ha ricevuto un medicinale rischioso nel 4,3% dei casi, chi ne assume uno o due vede la percentuale salire all’11%, per raggiungere il 26% nei pazienti che assumono 11 o più farmaci. Sesso, età, persino le condizioni socioeconomiche avevano comunque un effetto ma non rilevante. Quanto alle caratteristiche dell’ambulatorio, per esempio il fatto che avesse pochi o tanti pazienti, che fosse anche sede di attività di formazione oppure che vi fosse o meno un medico dispensatore (cioè autorizzato a fornire direttamente i farmaci) o, ancora, il tipo di convenzione con il Servizio sanitario, queste non avevano una relazione rilevante con il numero di prescrizioni a rischio. Eppure il numero di ricette pericolose variava molto tra un ambulatorio e l’altro (fino a quattro volte).

In altre parole, nemmeno gli schemi adottati in Gran Bretagna per valutare le prestazioni di una general practice sono in grado di predire se vi sarà o meno una quota rilevante di prescrizioni ad alto rischio. Le quali, peraltro, non è nemmeno detto che siano sempre inappropriate, anzi, in molti casi non lo sono: il medico accettava il probabile rischio a fronte del beneficio atteso, anche se questo forse non vale per eventi come la prescrizione di fans negli ultrassettancinquenni senza associare un gastroprotettore, o la somministrazione di antipsicotici in caso di demenza, dove il beneficio atteso è discutibile. Comunque l’indicatore funziona e secondo gli autori potrebbe essere usato proficuamente per identificare situazioni anomale, meritevoli di indagini più approfondite da parte delle autorità sanitarie ma, concludono, avendo di mira più la sicurezza del paziente che il contenimento dei costi legati al farmaco.

Maurizio Imperiali
 

23 giugno 2011
© Riproduzione riservata


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