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Fondi sanitari integrativi. Ancora non decollano. E gli italiani sono costretti al "fai da te"

di Adele Lapertosa

Secondo i dati del rapporto Oasi 2011 presentati a Milano nel corso di un convegno sul tema, anche se al 2010 risultavano iscritti all'anagrafe 279 fondi, in quello stesso anno gli italiani hanno speso di tasca propria 30.591 milioni di euro, pari al 21,6% della spesa sanitaria corrente totale

23 DIC - “Sui fondi integrativi sanitari c'è ancora molta opacità e troppa eterogeneità. Sono inoltre richieste poche informazioni perché il ministero della Salute possa fare un reale controllo del possesso dei requisiti richiesti”. Sono questi alcuni dei punti dell'analisi compiuta da Carlo De Pietro, ricercatore del Cergas Bocconi, al convegno 'Profili normativi dell'assistenza sanitaria integrativa', svoltosi a Milano, in cui ha presentato anche gli ultimi dati su questo settore contenuti nel rapporto Oasi 2011.

“E' vero, c'è l'anagrafe del Ministero che raccoglie alcuni documenti e una volta che il fondo è iscritto può essere rilasciato il certificato di avvenuta iscrizione ai fini della deducibilità del reddito – spiega – ma è un settore ancora non utilizzato e organizzato come si dovrebbe”. Ad esempio spesso le pubblicità dei fondi privati dicono di essere convenzionati con il Ssn, “ma in realtà la convenzione non è con gli ospedali – sottolinea – bensì con i singoli professionisti che lavorano in regime di intramoenia. E poi c’è anche da dire che le aziende sanitarie pubbliche stanno perdendo un treno molto importante non entrando in questo mercato, e perdendo fondi che finiscono per le strutture e le tecnologie dei privati”.

In ogni caso, anche se al 2010 risultavano iscritti all'anagrafe 279 fondi, forse saliti a 400 secondo le stime, di fatto gli italiani continuano a spendere una quota consistente di tasca propria per le spese sanitarie: nel 2010 si è arrivati alla cifra di 30.591 milioni di euro, pari al 21,6% della spesa sanitaria corrente totale. C'e' stato un forte aumento di questa voce tra il 1990 e il 1995, quando aveva raggiunto il 26,2%. Negli anni seguenti, tale rapporto si è ridotto. “In sintesi – continua De Pietro - il tasso di crescita della spesa sanitaria privata è aumentato in concomitanza con la riduzione di quello della spesa pubblica negli anni Novanta, per poi ridursi in termini relativi nel decennio successivo, quando l’impegno finanziario pubblico ha ripreso a crescere”. Con riguardo agli impieghi, la spesa sanitaria privata italiana 2010 è stata destinata per il 46% nell’acquisto di medicinali, articoli sanitari e materiale terapeutico, per il 37% in servizi ambulatoriali e ospedalieri (16%).

Per quel che riguarda le fonti del finanziamento, le statistiche OECD (2010) dicono che nel 2009 il 19,4% della spesa sanitaria totale italiana era finanziata con esborso diretto da parte delle famiglie (out-of-pocket), mentre la quota delle organizzazioni non profit era del 2,2%, e quella dell’assicurazione privata dell’1%. “Dati più articolati – sottolinea De Pietro - sulle modalità di finanziamento e frequenza del ricorso ai servizi sanitari sono forniti dall’indagine multiscopo Istat  secondo cui il 55% delle persone che hanno ricevuto una visita specialistica e il 40% di quelle che hanno avuto accesso a un trattamento riabilitativo hanno coperto completamente a proprie spese il costo della prestazione. Il contributo parziale o totale delle assicurazioni volontarie è invece marginale”.

Diversi ed eterogenei i ruoli dei fondi all'interno del sistema sanitario, come il rimborso dei costi sostenuti per prestazioni extra-lea, dei ticket per le prestazioni erogate dal Snn o fruite in regime di intramoenia, servizi dedicati per informazioni e prenotazioni, servizi sanitari aggregati in combinazioni particolari (es. check up), diarie per i giorni di ospedalizzazione o di cura,  rendite o indennità a ristoro dei danni conseguenti a inabilità, o non autosufficienza. “Nella realtà italiana – aggiunge De Pietro - gran parte dei fondi integrativi svolgono contemporaneamente i ruoli complementare, supplementare e duplicativo. Ma la spesa sanitaria privata è principalmente finanziata attraverso esborsi diretti dei cittadini invece che attraverso strumenti assicurativi”.

Ma in realtà, visti i tempi di crisi uno strumento su cui puntare “potrebbero essere proprio la mutualità e casse malattia, perché – precisa Grazia Labate, economista dell'università di York – sono quelle che reggono meglio, perché sono no profit, offrono una maggiore copertura di prestazioni sanitarie e hanno minori costi per le transazioni amministrative''. Negli ultimi 10 anni, rileva, la mutualità è cresciuta molto nell'Unione europea, “arrivando ad offrire una copertura a 230 milioni di cittadini e 180 miliardi di euro di quote associative”. In Italia invece, come già detto, la spesa privata per la sanità “grava principalmente sulle tasche dei cittadini - continua - e poco sui sistemi assicurativi o di intermediazione finanziaria. Ci siamo concentrati sul pilastro della sanità pubblica e le sue spese, trascurando gli altri due, cioè quello privato e quello dei fondi sanitari integrativi”.
 

Adele Lapertosa

23 dicembre 2011
© Riproduzione riservata


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