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Il loop vizioso ma legittimo tra liste d’attesa e spesa privata

di Fabrizio Gianfrate

Il 68% di tutte le prestazioni erogate dai 322 fondi e mutue integrativi sono nei Lea, cioè già nel Ssn. Quindi “sostitutive” e non “integrative". Oltre la metà di tutte le visite specialistiche in Italia (e senza l’odontoiatria) è oggi pagata privatamente. Simile la diagnostica strumentale. L’anomalia non è tanto, o solo, il carattere sostitutivo delle prestazioni private e il loro numero abnorme (effetto), quanto che queste sono in larga misura effettuate da chi già opera nel Ssn e che quindi nella generazione di quelle code (causa) è coinvolto

25 FEB - Quando venerdì la Ministra Grillo, presentando il Piano Nazionale sulle Liste di Attesa, ha dichiarato che così gli “Italiani avranno la sanità che si meritano” stavo correndo a mettere in allarme parenti e amici. Poi ho capito che non era una minaccia ma bensì una promessa.
 
Quindi, nell’anno bellissimo dell’eliminazione della povertà e del boom economico, tra un pane e nutella in divisa da Village People e un tweet contro le putride élite, dal Governo sarà lotta dura senza paura non solo a Juncker, alle ONG e alla sintassi ma anche alle liste d’attesa.
 
Leggendolo, questo Piano, a dire il vero mi è sembrato niente male. Almeno nel rimarcare la sempiterna vexata quaestio: le code che generano spesa privata, intramoenia compresa, sono anche viceversa da questa incentivate? A guardarne le misure, soprattutto quelle sanzionatorie, il Piano risponde di sì.
 
Vale la pena ricordare che le liste d’attesa nascono come teoria del “queueing” nel NHS per scremare la domanda inappropriata dovuta alla gratuità dei servizi. Magari fosse ancora così: oggi da noi incarnano invece la somma algebrica negativa delle risultanti nel finanziamento, programmazione, produzione, erogazione, e controllo delle prestazioni.
 
Raffigurano plasticamente l’iconico “Stato che non funziona”, che rimanda le esigenze dei sudditi a “dopo”, devono “avere pazienza”. Che scarica sulla variabile “tempo” le impossibilità, inefficienze, insipienze, incompetenze, indolenze, regole nate sbagliate o male applicate per dolo o colpa, quali mali storici del nostro settore pubblico.
 
Ma le code sono anche e soprattutto l’emblema del sotto finanziamento del SSN, dell’ambizione demagogica a offrire tutto, a promettere LEA onnicomprensivi senza le risorse adeguate per garantirli adeguatamente. Nel proverbiale passo più lungo della gamba, “larger than life” direbbero, appunto, quelli del queueing.
 
Dilazionare nel tempo, spostare a domani, al futuro. Un mood che in fondo è la cifra costitutiva del Paese dal terzo debito pubblico al mondo, addossato alle generazioni future, debito enorme che a ben vedere non è che una macroscopica la lista d’attesa.
 
Ma torno alla domanda originaria: le code foriere di spesa privata sono da questa “stimolate”? Ci aiuta a capire qualche dato: il 68% di tutte le prestazioni erogate dai 322 fondi e mutue integrativi sono per LEA, cioè già nel SSN (Rapporto del Ministero Salute) Quindi “sostitutive” e non “integrative".
 
Oltre la metà di tutte le visite specialistiche in Italia (e senza l’odontoiatria) è oggi pagata privatamente. Simile la diagnostica strumentale (dati ISTAT, Corte dei Conti, Agenzia delle Entrate e Bocconi). Insomma, nel Paese dell’universalistico SSN ci si cura pagando. Addio equità e principi fondanti del quarantenne SSN.
 
Ma, per rispondere più puntualmente a quella domanda, l’anomalia non è tanto, o solo, il carattere sostitutivo delle prestazioni private e il loro numero abnorme (effetto), quanto che queste sono in larga misura effettuate da chi già opera nel SSN e che quindi nella generazione di quelle code (causa) è coinvolto.
 
Chi lavora per il pubblico e al contempo gli fa concorrenza. In un palese “moral hazard” da conflitto di interesse. Che tuttavia norme e regole rendono perfettamente legale e legittimo, contingentemente necessario e persino utile a soddisfare una domanda altrimenti insoddisfatta.
 
Ma, allora, si chiede Candide nel suo tenero e ingenuo ottimismo, se è per lo stesso paziente, lo stesso bisogno, la stessa cura, erogata dallo stesso medico del SSN, perché anziché privatamente da questo non la facciamo con lui dentro il SSN, magari pagandolo di più, con straordinari, e assumendo più gente?
 
No, spiacente. “Non debemus, non possumus, non volumus” risponderebbe Pio VII. Per mancanza di risorse, strutture, organizzazione, specifiche volontà, regole correnti, giusta tutela dell’insieme di professionisti dagli stipendi SSN generalmente cachettici.
 
Così comportamenti forieri di inefficienze e iniquità sono dettati e/o consentiti da regole e status quo vigenti. Alimentandosi in un loop non virtuoso. E va da sé che di quei due cappelli, pubblico e privato, indossati insieme sul camice bianco, dato il contesto, è difficile non avere la tentazione di usarli l’uno per i fini dell’altro.
 
Certo, dice il Capellone sulla montagna, se servi insieme Dio e Mammona la seconda stravince. Ma se però a te con tre specializzazioni e che sei pure bravo, Dio ti paga come un postino e ti fa lavorare in condizioni frustranti, e magari c’hai pure la rata del mutuo, i figli che crescono, la suocera a carico, l’amante incinta e il cane che i croccantini li mangia sole se di marca, a Mammona che da dietro la cassa ti fa l’occhiolino è assai difficile resistere. Anzi proprio impossibile.
 
Prof. Fabrizio Gianfrate
Economia Sanitaria 


25 febbraio 2019
© Riproduzione riservata


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