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Privacy e dati sensibili. Ma i nostri sanitari conoscono la legge?

di Luca Benci

I dati personali particolari (ex sensibili) possono essere trattati solo con il consenso esplicito della persona assistita. Quanto accaduto ad Alessandria, con l'inserimento dell'orientamento sessuale di un paziente nella lettera di dimissioni, sembra manifestare una plateale ignoranza della normativa sulla privacy (la prima legge sulla privacy è del 1996) da parte del personale sanitario che dovrebbe, anche per disposto deontologico, proteggere la riservatezza dei propri assistiti

17 LUG - Ha fatto scalpore la lettera di dimissione rilasciata da un medico dell’azienda ospedaliera di Alessandria nel quale si trovavano le seguenti informazioni: “Fuma circa 15 sigarette al dì, beve saltuariamente alcolici. Nega allergie. Omosessuale, compagno stabile”.
 
Sono intervenuti su queste colonne politici, esponenti di associazioni di volontariato e medici.
 
Il fatto che sia stata gravemente violata la legge  - anzi le due leggi – sulla riservatezza dei dati non è stato però adeguatamente commentato.
 
Ricordiamo allora cosa sancisce la normativa europea (Regolamento UE 679/2016, il c.d. GDPR) all’articolo 9 che pone uno specifico divieto di trattare i dati personali che rivelino la vita e l’orientamento sessuale della persona.
 
Non sono i soli dati a subire il divieto per evidenti motivi antidiscriminatori (vi sono, tra gli altri, anche i dati relativi alla salute, all’appartenenza sindacale, politica ecc.) e non si tratta di una novità. Oggi si chiamano dati “particolari”, nella previgente normativa si chiamavano “dati sensibili”.
 
E’ vietato trattarli con una serie di eccezioni tra le quali spicca “il consenso esplicito della persona” e per “tutelare un interesse vitale dell’interessato”. I dati relativi alla vita sessuale – novità del GDPR – e all’orientamento sessuale possono essere trattati solo con il consenso della persona o per “finalità di cura”.
 
Quest’ultima è da riferirsi al trattamento di quei dati che sono “essenziali per il raggiungimento di una o più finalità determinate ed esplicitamente connesse alla cura della salute”. Fuori da questa finalità – come sembra essere nel caso di Alessandria – per trattare quei dati ci vuole il consenso specifico dell’interessato.
 
Ricordiamo che per trattamento si intende una serie di operazioni tra le quali “la raccolta” (chiedere alla persona l’orientamento), la “registrazione” (scrivere nella documentazione sanitaria), “la comunicazione” (come nel caso di una lettera di dimissioni) e la “diffusione” (a destinatari indeterminati).
 
Laddove non si sia specificamente richiesto il consenso a scrivere l’orientamento sessuale nella documentazione si versa in un tipico caso di trattamento illecito di dati personali e come tale sanzionato dallo stesso G.D.P.R.
 
Bisogna inoltre precisare che il trattamento dei dati ex sensibili deve avvenire con il fondamentale principio di “minimizzazione dei dati”: i dati sono lecitamente trattati solo se “adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario” per la cura e l’assistenza. Questo principio, tra l’altro, non viene superato neanche dal consenso dell’interessato.
 
In una replica recente la dirigenza apicale di Alessandria specifica che viene sempre richiesto nell’anamnesi l’orientamento sessuale. Difficile pensare che possa essere “sempre” riconosciuto come “essenziale” trattare l’orientamento sessuale per tutelare l’interesse “vitale” dell’interessato e che questi dati siano da considerarsi “sempre” pertinenti.
 
I dati personali “particolari” ex sensibili sono da trattarsi alle condizioni che abbiamo sopra indicato e la motivazione è chiaramente di carattere antidiscriminatorio.
 
Stupisce l’ignoranza – inescusabile! – della normativa sulla privacy (la prima legge sulla privacy è del 1996) da parte del personale sanitario che dovrebbe, anche per disposto deontologico, proteggere la riservatezza dei propri assistiti.
 
Luca Benci
Giurista

17 luglio 2019
© Riproduzione riservata


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