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La Fase 2 sta arrivando... ma la sanità è pronta?

di Luciano Fassari

Il 4 maggio si avvicina. In attesa di conoscere con quali regole e con quali step riapriranno fabbriche ed esercizi commerciali, così come le attività ricreative, una domanda s’insinua: ma il nostro Servizio sanitario nazional-regionalizzato è pronto per la Fase 2?

25 APR - Il 4 maggio si avvicina e dunque anche la partenza della cosiddetta Fase 2. Non sarà un ‘liberi tutti’ come predicano gli scienziati, ‘ci vorrà cautela’ come dice il Ministro della Salute, Roberto Speranza, sta di fatto che per i cittadini la data del 4 maggio rappresenta inequivocabilmente una data di svolta a quasi due mesi di semi quarantena, anche se ad oggi non è ancora chiaro cosa sarà possibile fare rispetto all'attuale lockdown.
 
In attesa di conoscere con quali regole e con quali step riapriranno fabbriche ed esercizi commerciali, così come le attività ricreative, una domanda è comunque opportuna: il nostro Servizio sanitario nazional-regionalizzato è pronto per la Fase 2?
 
La risposta è presto data, e purtroppo è un mantra che si ripete da anni: non dappertutto e in tutte le Regioni allo stesso modo.
 
Ma andiamo per ordine partendo dalle strutture. Nei giorni caldi dell’emergenza si è fatto uno sforzo notevole per aumentare il numero di posti nelle terapie intensive (da poco più di 5mila si sono superate le 9mila unità) così come sono stati aumentati i posti nei reparti trasformati in sub intensivi. In totale sono state effettuate circa 20 mila assunzioni di personale sanitario. Ecco, però dai territori giungono notizie che con il progressivo calo dei casi gravi da trattare in ospedale già stanno calando i posti in terapia intensiva (soprattutto quelli aperti dalle strutture private che costano bei soldi alle Regioni).
 
Un segnale non buono in attesa del prossimo Decreto legge che dovrebbe iniettare altre risorse nelle casse delle Regioni per assumere nuovo personale per mandare a regime circa 15 mila posti per le terapie intensive e sub intensive nei cosiddetti Covid Hospital e poi dovrebbero arrivare altre assunzioni per potenziare le Unita speciali di continuità assistenziale (Usca) che rispetto alla nostra inchiesta del 12 aprile scorso (erano presenti in 12 regioni su 21) sono state attivate da sole altre 3 regioni. Ma per mandare tutto ciò a regime ci vorrà tempo.
 
E il territorio è proprio il nodo da sciogliere per fare in modo che la Fase 2 possa funzionare. Le sanità regionali infatti dovranno essere ben più reattive nello stanare i nuovi casi più di quanto lo sono state nella Fase 1. Oggi sul totale dei malati scovati l’80% circa è un caso non grave che è in isolamento domiciliare a casa. E proprio ieri l’Iss ha confermato che il 25% dei contagiati nel mese di aprile sono proprio quelli intra familiari. Insomma, l’assistenza territoriale ancora non ingrana.
 
Le Usca faticano e in molte regioni ci sono ancora parecchie difficoltà ad effettuare i tamponi. La App di tracciamento che dovrebbe aiutare ancora non è sugli store dei nostri smartphone. Ancora si fa fatica a capire se ci sono sufficienti posti per isolare le persone malate che a casa non hanno situazioni in cui possono soggiornare in sicurezza. Spostare i malati non gravi nella Rsa abbiamo capito che è stato un errore clamoroso che ha creato solo un moltiplicatore di contagi e purtroppo decessi.
 
Insomma il 4 maggio sta arrivando, ma la sanità non sembra pronta ad affrontare la Fase 2. Forse, lo sa anche il Ministro della Salute che infatti, mentre tutti scaldano i motori per la ripartenza, è l’unico che realisticamente predica cautela a tutto spiano in ogni suo intervento.
 
Luciano Fassari

25 aprile 2020
© Riproduzione riservata


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