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La scomparsa di Carlo Flamigni

di Maurizio Mori

Una personalità autentica capace di scrutare i meandri del gran fiume della vita; un grande scienziato e un medico di capacità fuori del comune che con tenacia ha sostenuto e applicato lo “scetticismo organizzato” di Thomas Merton; un cittadino impegnato nella vita pubblica a sostenere la giustizia sociale a tutti i livelli; un grande umanista dalla cultura sterminata in campo letterario, storico, sociale

06 LUG - Carlo Flamigni Flamigni (1933 – 2020), scienziato, fautore della libertà riproduttiva delle donne come base dei diritti civili di autonomia socializzata, scrittore, e Socio Onorario della Consulta di Bioetica Onlus.
Anche domenica 28 giugno pomeriggio ho avuto una lunga telefonata con Carlo, nel corso della quale mi ha parlato del libro che stava scrivendo sulla storia del parto.
 
Lo sentivo affaticato, ma non demordeva nell’impegno. Ci siamo messi d’accordo che nella seconda metà di luglio sarei andato a fargli visita a Forlì seguendo con rigore le regole del distanziamento fisico. Per vari contrattempi nel corso della settimana non ci siamo più sentiti, e sabato 4 luglio verso le 14:00 l’ho chiamato ai vari numeri per salutarlo.
 
Non ho avuto risposta, ma capitava spesso sapevo che poi mi avrebbe richiamato. Alle 19:18, infatti, mi squilla il telefono e dopo un’iniziale pausa affaticata sento la sua inconfondibile voce con tono molto basso: “Maurizio, … volevo salutarti”. Subito ho capito, e ho risposto: “Carlo, adesso non si può, ma tra qualche giorno ci vediamo”. “Non credo sarà possibile” è stata la risposta pacata e rilassata. “Carlo … grazie per il gesto di amicizia …” ma il groppo alla gola mi ha impedito di continuare. Stavo cercando di ricompormi e scusarmi per l’emotività, ma mi ha preceduto e con solennità spossata: “Non preoccuparti! Va (o sta) bene, ciao”, e ha chiuso la comunicazione.
 
Carlo mi ha concesso un privilegio raro, rarissimo, che racconto perché mette in luce un aspetto del suo modo di essere che merita di essere valorizzato: salutare gli amici è gesto meraviglioso che manifesta la volontà di non lasciare nulla in sospeso e, in qualche modo, di trasmettere continuità. Nel saluto c'è sempre un messaggio di vita. Con la sua ultima telefonata Flamigni ha voluto fare molto più che salutarmi: ha voluto continuare i tanti discorsi, le tante riflessioni, le tante iniziative fatte insieme.
 
Quel saluto è il commiato del saggio che ha capito che l’esistenza è giunta a compimento, e che lascia agli altri il testimone. Quel saluto, fatto con semplicità e naturalezza, vuole essere un originale contributo all’elaborazione di una nuova ritualità secolare per la chiusura dell’esistenza: nel mondo secolarizzato siamo alla ricerca di nuove simbolizzazioni, e Flamigni ha gettato una pietra anche in quella direzione. La sua creatività è riuscita a aprire una nuova strada in questo ambito.
 
Quel saluto ha mostrato che l’autonomia individuale da sempre sostenuta da Flamigni non è affatto solipsista e egotista (come dicono i critici), ma è aperta alla socialità, agli altri e alle generazioni. Questo era Flamigni: una personalità autentica capace di scrutare i meandri del gran fiume della vita; un grande scienziato e un medico di capacità fuori del comune che con tenacia ha sostenuto e applicato lo “scetticismo organizzato” di Thomas Merton; un cittadino impegnato nella vita pubblica a sostenere la giustizia sociale a tutti i livelli; un grande umanista dalla cultura sterminata in campo letterario, storico, sociale. In quest’ultimo campo ha proposto l’idea della “isola degli stranieri morali” come criterio che consentisse la pacifica convivenza dei cittadini all’interno delle società contemporanee caratterizzate da un ineliminabile pluralismo etico e abitate da religiosi di ogni tipo e atei di diverse tendenze.
 
Ho conosciuto Flamigni a uno dei primi Convegni sulla fecondazione assistita organizzati in Italia all’Università di Parma da Marina Mengarelli, che diventerà poi sua moglie: ero ancora dottorando e per quasi quarant’anni abbiamo collaborato in modo costante, condividendo tante iniziative, mettendo a segno qualche vittoria, e registrando molti insuccessi. Sì, insuccessi! Perché le tendenze conservatrici erano potentissime e pareva fosse impossibile scalfire l’ordito dell’ordine tradizionale. Flamigni era sì noto e conosciuto, ma non bisogna credere che la chiara fama gli garantisse onori e celebrità: al contrario, è riuscito a garantire a tutti noi innovazioni fondamentali pur essendo in minoranza e spesso denigrato. Gli italiani gli devono tre conquiste decisive:
1) Negli anni ’60, con l’inseparabile amico e collega Ettore Cittadini, la lotta per la contraccezione, fortemente contrastata dai conservatori (medici e non);
 
2) Negli anni ’70 la lotta per la liceità dell’aborto col contributo dato alla 194/78: “legge che dopo 40 anni sta ancora solida e è capace di regolare la pratica!”, come diceva: convinzione che l’ha portato a credere che anche l’aborto farmacologico (con la somministrazione della RU486) rientrasse nell’impianto e nell’ambito della legge;
 
3) Negli anni ’80 la lotta per la fecondazione assistita, tecnica che ha radicalmente rivoluzionato il futuro della riproduzione, come abbiamo messo in luce nei tre volumi che abbiamo scritto assieme sull’etica delle nuove tecniche riproduttive (l’ultimo dei quali dal titolo: Questa è la scienza, bellezze! Ananke, Torino, 2016).
 
Vi pare poco? Chi altro è riuscito a fare tanto?! Ero troppo giovane per avere ricordi diretti sulle sue azioni a favore di contraccezione e aborto, che sono presentate nel volume da poco uscito di Marina Flamigni, I diritti che camminano, (Pendragon, Bologna), ma ho centinaia di aneddoti sulla fecondazione assistita, soprattutto quelli collegati alla Legge 40/04 e al mancato successo del Referendum 2005. Molti di quegli eventi sono presentati nei diversi contributi contenuti nei volumi in onore rispettivamente dei suoi 80 e 85 anni (Editore Le Lettere, Firenze, 2013; e Ananke, Torino, 2018), che danno l’idea della poliedricità dei suoi interessi e la profondità delle riflessioni, l’efficacia e tenacia dell’impegno politico-sociale.
 
Le Postille di Flamigni ai Pareri del Comitato Nazionale per la Bioetica meriteranno uno studio apposito e qualche volta si pongono come una sorta di voce del “Comitato Ombra”. Al CNB è stato protagonista delle principali controversie, anche se la sua voce autorevole finiva per essere per lo più minoritaria per ragioni di schieramento.
 
Una parola va detta anche sul suo impegno come romanziere: Flamigni aveva una penna fluida e stile limpido e scorrevole: sapeva reggere i dialoghi e la narrazione. Così di notte liberava la sua fantasia che ideava romanzi: ne ha scritti parecchi, alcuni di carattere storico a sfondo sociale, e altri gialli. Non li ho letti tutti, ma so che alcuni colleghi hanno espresso giudizi molto lusinghieri, lodando il talento. Il genere che preferiva era il giallo, e in effetti i due che ho letto sono avvincenti. Confesso di averli letti perché ero convinto che la trama facesse riferimento a situazioni autobiografiche che volevo capire: glielo chiesi anche esplicitamente, proponendo ipotesi esplicative. Ma ha sempre negato, appellandosi al diritto dello scrittore di non rivelare gli spunti delle proprie opere.
 
Da buon romagnolo, teneva molto al soprannome: Anacleto Tibuzzi. Mi ha spiegato più volte che quello era il “vero nome”, e come in Romagna la gente si conosca e si saluti grazie a esso (i cognomi sono insufficienti e approssimativi!). Lo usava soprattutto quando il suo animo si estrinsecava in un altro ambito da lui molto amato: la lettura di poesie popolari in dialetto, a sfondo anticlericale. Emergeva qui la pancia profonda di Anacleto, che passava serate in piccoli borghi a mantenere vive tradizioni popolari antiche e coltivando quello zoccolo duro dell’anticlericalismo romagnolo che non fa senza sconti.
 
Poiché qui il confine tra il letterario e l’antropologico culturale è sfumato, mi limito a rilevare il punto senza aggiungere altro.
Flamigni è stato uno dei soci fondatori della Consulta di Bioetica, contattato direttamente da Renato Boeri, che conosceva per fama. Con l’Associazione ha collaborato sin dai primi momenti e l’ha sempre sostenuta: numerose volte è intervenuto ai Convegni Nazionali che la Consulta da ormai un decennio tiene a Novi Ligure, affascinando gli ascoltatori e sollecitando il dibattito. Il messaggio di autonomia socializzata proposto da Flamigni è incardinato nella prospettiva della Consulta, che continuerà non solo a tenere vivo il suo ricordo ma anche e soprattutto a realizzare i suoi progetti.
 
Maurizio Mori
Ordinario di Filosofia Morale e Bioetica, Università degli Studi di Torino
Componente del Comitato Nazionale per la Bioetica


06 luglio 2020
© Riproduzione riservata


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