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Le fragilità non considerate dal nostro sistema previdenziale


La previdenza va concepita in una logica nuova e non più separata dalla definizione di uno standard di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, resa ancora più evidente dall’attuale pandemia. Non si tratta, quindi, di produrre un aggiustamento, al costo più basso possibile, delle storture dell’attuale modello previdenziale, ma di proporre la riscrittura del profilo delle tutele sociali del nostro Paese in grado di prevenire anche le situazioni di emergenza come l’attuale

04 FEB - Ci sono sicuramente correlazioni tra la previdenza e la tutela della salute e sicurezza sul lavoro.
In una interessante analisi “La previdenza come forma di prevenzione. Ampliamento della platea dell’APE social” pubblicata qualche giorno fa dall’INAIL, Cesare Damiano, componente del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto dice: “Le aspettative di vita sono differenti tra loro, chi svolge lavori faticosi e usuranti, maggiormente esposti a rischi di infortunio e malattia professionale, vive meno a lungo di chi svolge lavori di natura intellettuale”.
 
Occorre, quindi “un sistema pensionistico, che non solo assuma in modo strutturale un criterio di flessibilità, ma che lo applichi senza penalizzazioni alle categorie più esposte”.
 
Alla base dello studio c’è la considerazione che nel corso della emergenza COVID-19, si  è pervenuti proprio con gli strumenti previdenziali/assistenziali ad  un’attenzione volta a tutelare il lavoratore per la perdita dell’integrità fisica, ritenendo tali attività assimilabili ad un lavoro gravoso.
 
Nell’approfondimento INAIL si dice, tra l’altro, “Il lavoro gravoso può essere individuato dagli indici di rischiosità. Il tasso di premio Inail, essendo espressione della pericolosità dell’attività lavorativa assicurata, è un buon indicatore di rischio, ammettendo una corrispondenza tra premio alto e lavoro gravoso. Infatti, il tasso di tariffa calcolato per ogni voce di lavorazione, esprime la rischiosità media nazionale dell’attività lavorativa inquadrata e declinata nella voce”.
 
E ancora: “Anche se il tasso di tariffa dipende da altri fattori, i cosiddetti costi indiretti che non sono correlati alla rischiosità della lavorazione assicurata, ma vengono caricati per la copertura delle spese di funzionamento dell’Istituto o per i costi sostenuti a seguito degli infortuni in itinere (caricamento indifferenziato su tutte le lavorazioni), trasversali all’attività lavorativa svolta, questi non inficiano il valore del tasso di premo in termini di rischiosità in senso stretto”.
 
“L’unico problema – prosegue Damiano - è l’esposizione a rischio, rappresentata dalle masse salariali dichiarate dai datori di lavoro in sede di autoliquidazione del premio e non dal numero dei lavoratori, non noti, quindi, all’Inail. Essi sono stimati attraverso un algoritmo ricavato dalle suddette retribuzioni, e costituiscono unità di lavoro annue: in quanto numeri puri (quantità di lavoro), non possono essere ricondotti al singolo lavoratore assicurato, né essere rappresentati per età e per sesso. Infine, l’Inail assicura, come già detto, le lavorazioni, e non sempre è possibile la riconduzione ad esse delle singole professioni”.
 
“Si tratta dunque – scrive ancora Damiano - di realizzare puntuali quadri di esposizione al rischio, come peraltro già indicato all'art. 8 del d.lgs. 81/2008, (che prevede l’istituzione del SINP, Sistema Informativo Nazionale della Prevenzione) a fini prevenzionali in termini di politiche attive a sostegno delle imprese e dei lavoratori, e a quelli previdenziali in relazione alla flessibilità in uscita dal lavoro, oltre che per il Covid, anche per altri tipi di esposizioni, che generano malattie gravi e che meriterebbero tutele rafforzate, si pensi all’uso di determinate sostanze cancerogene”
 
In questa ottica, la riforma della previdenza, va dunque concepita in una logica nuova e non più separata dalla definizione di uno standard di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, resa ancora più evidente dall’attuale pandemia.
 
Non si tratta, quindi, di produrre un aggiustamento, al costo più basso possibile, delle storture dell’attuale modello previdenziale, ma di proporre la riscrittura del profilo delle tutele sociali del nostro Paese in grado di prevenire anche le situazioni di emergenza come l’attuale, mettendo al riparo soprattutto i soggetti che si sono rivelati più fragili.
 
Passare da un sistema rigido Monti-Fornero a uno flessibile che privilegi l’uscita anticipata dal lavoro soprattutto di chi svolge non solo i lavori usuranti e gravosi, ma anche quelli maggiormente esposti al contagio, è anche il modo con il quale diminuire l’esposizione al rischio di chi supera una certa soglia di età ed è più fragile di altri, come ci rileva l’attuale pandemia.
 
Nel caso di lavori usuranti o gravosi non ci dovrebbe essere penalizzazione. Questa misura, a differenza di quello che è avvenuto con Quota 100, dovrebbe diventare strutturale.
 
Ecco perché si impone un tema: rivedere e ampliare l’elenco delle attività gravose e usuranti. Non solo attraverso l’inclusione di categorie precedentemente escluse pensiamo al caso dell’edilizia, ad esempio con il prevalente rischio mortale della caduta dall’alto, ma anche a nuovi inserimenti di attività lavorative che, nella pandemia, sono parse come particolarmente esposte.
 
È dunque evidente che nella riscrittura delle mansioni meritevoli di un anticipo pensionistico, occorrerà intrecciare le attività usuranti e gravose con quelle esposte a rischio contagio.
 
La prevenzione si può dunque esercitare attraverso buone pratiche ad esempio quelle definite dalle parti sociali per la ripresa produttiva-Fase 2, attraverso la nuova normativa delle rendite dell’INAIL e con l’accesso anticipato alla pensione collegando mansioni usuranti e gravose/esposizione al rischio/età.
 
In buona sostanza, si tratta di configurare un sistema previdenziale che prevenga i rischi di infortunio e di malattia anche attraverso l’utilizzo dell’anticipo pensionistico.
 
A nostro avviso sarebbe opportuno rispolverare l’istituzione di una Commissione Tecnico-Scientifica attraverso la quale   individuare quali sono le attività  lavorative gravose che consentirebbero un’anticipazione del pensionamento, evidenziata diversi anni fa  nel corso della manifestazione unitaria dei pensionati  contro il Governo svoltasi a Roma a Piazza San Giovanni.
 
La normativa vigente, infatti,  presenta numerose criticità sulla delicata questione. La prima riguarda l’elenco delle mansioni usuranti, che appare non esaustivo, in quanto non comprende attività che per le loro peculiarità sarebbe opportuno inserire in tale elenco e  a seconda attiene alla tabellazione dei limiti di età con cui andare in pensione.
 
Occorre perciò tener presente  anche le caratteristiche fisiche e psicologiche del prestatore d’opera, senza tralasciare il fattore età, come indicato in un documento elaborato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro nel 1979 “I lavoratori più anziani: lavoro e pensionamento”.
 
Domenico Della Porta
Presidente Osservatorio Nazionale Malattie Occupazionali e Ambientali – Università di Salerno

04 febbraio 2021
© Riproduzione riservata


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