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Il PNRR, le Case della Comunità e la costruzione di compiuti Sistemi Territoriali Integrati

di Tiziana Frittelli e Michelangelo Caiolfa

A più venti anni dal D.Lgs. 229/99 le vicende legate all’attuale situazione ci spingono a interrogarci sull’esigenza di identificare una compiuta organizzazione territoriale che si sviluppi in modo uniforme lungo tutto il Paese. Il punto cruciale è rappresentato dalla pertinenza territoriale (il perimetro del distretto) che costituisce anche il basamento organizzativo entro cui organizzare un livello direzionale uniforme che incroci le varie strutture organizzative e i diversi dipartimenti, orientandone costantemente l’organizzazione e le attività

26 APR - La nuova struttura del PNRR presenta qualche differenza rispetto all’allocazione delle risorse nella Missione 6 - Componente 1 dedicata alla sanità territoriale. In particolare l’attenzione è stata attirata dalla diminuzione delle destinazioni per le Case della Comunità e le Cure intermedie e l’aumento delle destinazioni per le Attività domiciliari. Si passa rispettivamente da 4 a 2 mld per le Case della Comunità, da 2 a 1 mld per le Cure intermedie, da 1 a 4 mld per le Domiciliarità e telemedicina; conservando il saldo complessivo che resta di sette miliardi di euro. Rispetto a queste vicende è possibile avanzare tre ordini di considerazioni nel tentativo di promuovere una discussione di ampio respiro di cui tutto il sistema sanitario manifesta estremo bisogno.
 
1. Le Case della Comunità, possibili orizzonti.
La prima considerazione riguarda ovviamente le Case della Comunità, il nuovo obiettivo sfidante lanciato dal PNRR. Al momento, come tutti sappiamo, è ancora necessario approfondire i contenuti di un programma di tale complessità al fine di comprendere e realizzare presto e bene. Tuttavia alcune riflessioni preliminari potrebbero essere proposte alla discussione pubblica, cercando di evidenziare dei tratti generali colti dalle esperienze in corso sia nel campo della sanità territoriale, sia nel campo dell’integrazione sociosanitaria e delle reti comunitarie. Ed è proprio l’insieme di questi tre aspetti che potrebbe delineare l’inizio di un orizzonte di riferimento per una ‘Casa della Comunità’.

A. Della Casa della Salute appare inevitabile acquisire i fondamenti primi: l’organizzazione sistematica e strutturata della medicina di gruppo e la missione fondante sulle cronicità, che lega in modo indissolubile queste strutture ai processi di cura, alla sanità d’iniziativa e alle reti cliniche orientate con le proiezioni delle specialistiche.

B. Occorre inoltre realizzare l’integrazione, anche fisica, con i servizi sociosanitari e socioassistenziali. Si tratta di una spinta molto più complessa di quello che può sembrare a prima vista, che investe contemporaneamente aspetti organizzativi, professionali, amministrativi, contabili e istituzionali. È necessaria molta lucidità e forza istituzionale per intraprendere un passaggio del genere lungo tutto il territorio nazionale.

C. Infine l’aspetto forse più peculiare che viene annunciato, che viene evocato, dalla denominazione ‘Casa della Comunità’: il legame tra questo presidio complesso e le reti attive nella comunità territoriale di riferimento. Il mondo del terzo settore (volontariato, associazionismo, cooperazione sociale), insieme alle forme variamente strutturate della cosiddetta cittadinanza attiva, sono i riferimenti primi per la costruzione di partenariati stabili e finalizzati in grado di generare reti di comunità ben strutturate e orientate verso comuni obiettivi di salute e benessere. Un terzo livello di integrazione indispensabile per le Case della Comunità.

Ci si interroga se il programma del PNRR sulle Case della Comunità debba generare presidi materiali (lavorare sul ‘mattone’, per così dire), o se invece sia più efficace e appropriato orientarsi verso la creazione di piani di azione locale per la sanità di prossimità (costituire un ‘fondo’ per programmi locali). Probabilmente occorrerà fare entrambe le cose, alimentare un vasto piano-programma di riqualificazione dei presidi territoriali (strutture, dotazioni, digitale) e legare questo piano a un altrettanto ambizioso programma di azione locale per le cronicità, l’integrazione sociosanitaria, lo sviluppo di reti comunitarie orientate alla prossimità.
 
Quello che più conta, tuttavia, è lo sforzo lucido e consapevole verso nuove prospettive, verso una nuova idea di salute che non sia solo legata all’azione di cura in fase acuta, e verso una nuova idea di benessere che, in campo sociale, non sia solo legata all’azione di tutela e di riparazione. Idee e ideali affatto nuovi per la verità, che nel corso del secolo scorso hanno alimentato interi mondi di impegno e innovazione, e che ora hanno assoluto bisogno di essere ripresi come il fulcro centrale di azione della sanità e del sociale da perseguire insieme alle persone, alle famiglie e alle comunità per cui realizziamo quotidianamente le nostre attività.
 
2. La costruzione di compiuti Sistemi Territoriali Integrati.
Qualunque sia il grado di presenza e di integrazione raggiunto dalle Case della Comunità in un dato ambito territoriale, la vera questione resta tuttavia la capacità di organizzazione e di governo complessivo dell’ambito territoriale. Non basta organizzare qualche presidio più o meno complesso, o rafforzare gli attuali servizi domiciliari o residenziali, il punto cardine per il futuro che ci attende risiede nell’organizzazione di compiuti Sistemi Territoriali Integrati. La capacità di rispondere ai bisogni di salute e di benessere di una comunità locale comporta necessariamente la presenza di un Distretto Integrato che sia organizzato, dotato di concrete offerte territoriali, di evoluti percorsi di cura, con una capacità direzionale all’altezza dei compiti, con una seria e codificata governance istituzionale che coinvolga contemporaneamente i livelli regionali e aziendali insieme ai livelli comunali.
 
In passato il confronto e la discussione su questi temi purtroppo sono sempre rimasti un po’ arretrati, ogni volta una delle componenti interessate tende a rimarcare esclusivamente il primato del proprio filone professionale, del proprio campo di lavoro, delle proprie prerogative. La costruzione di compiuti sistemi territoriali integrati, organizzati su base distrettuale e non limitati a singoli presidi o a singole aggregazioni funzionali, necessita invece un approccio integrato capace di svilupparsi contemporaneamente su più dimensioni.

A. La dotazione di un’adeguata offerta di servizi extraospedalieri organizzati per filiere assistenziali, di tipo residenziale e di tipo fortemente domiciliare, che scalano da livelli assistenziali più complessi a livelli assistenziali meno complessi. Insieme alla dotazione di un’adeguata rete di presidi territoriali, anch’essi organizzati secondo appropriatezze adeguate ai bisogni di salute della comunità (tra cui le case della comunità), in cui organizzare i punti unici di accesso e percorsi diagnostico-terapeutici evoluti che siano integrati con i processi di presa in carico di tipo sociosanitario e socioassistenziale.
 
 
B. La creazione di un vero e proprio livello organizzativo interno alle aziende sanitarie e legato all’ambito distrettuale, in grado di dare unità direzionale, amministrativa e tecnica al sistema di offerta territoriale. Si tratta di intendere la pertinenza territoriale del distretto come base organizzativa per il sistema di offerta integrata extraospedaliera, incrociando su questo basamento le organizzazioni dipartimentali e specialistiche, così come le strutture organizzative socioassistenziali. Non sono certo temi nuovi e inediti, anzi ormai siamo oltre i venti anni di attesa per contare solo il nostro secolo, tuttavia le vicende inappellabili di questo ultimo anno hanno reso inevitabile un confronto vero e aperto su questi temi che impegneranno un largo tratto della riforma sanitaria di cui si comincia a dibattere.
 
C. Questa forse è la parte più difficile da affrontare per il mondo della sanità territoriale e anche per il mondo delle organizzazioni che si occupano di servizi sociali, tuttavia ormai si pone con forza anche la questione che riguarda la governance istituzionale delle organizzazioni territoriali. Quando siamo nell’ambito dei LEA e dei servizi della sanità territoriale, siamo nell’esercizio della funzione fondamentale di ‘assistenza sanitaria’ che fa capo alla competenza delle singole regioni e viene attuata attraverso le aziende sanitarie. Quando siamo nell’ambito dei LEP e dei servizi socioassistenziali, siamo nell’esercizio della funzione fondamentale di ‘assistenza sociale’ che fa capo alle singole amministrazioni comunali e viene attuata dalle loro strutture singole o associate. Se vogliamo davvero evolverci verso la costituzione di compiuti sistemi integrati su base distrettuale, appare inevitabile affrontare la questione della composizione di una governance istituzionale locale che renda possibile l’esercizio congiunto delle due funzioni fondamentali pubbliche.
 
Se le Case della Comunità rappresentano uno degli ‘oggetti complessi’ di cui dotare il territorio (insieme a evolute filiere residenziali e domiciliari), l’organizzazione complessiva dell’ambito distrettuale rappresenta d’altra parte il sistema di governo e di direzione del territorio. In questo campo non è possibile pensare di aprire solo dei singoli programmi di sviluppo specifici, senza far evolvere di pari passo il sistema territoriale complessivo. Così come d’altra parte non è pensabile pretendere di ottenere la nascita improvvisa di compiuti sistemi territoriali per la sanità e il sociale, senza un forte e sistematico investimento sui vari filoni di offerta, sui percorsi di cura, sull’innovazione tecnologica. Innovazioni di prodotto, di processo e di sistema dovranno per forza di cose procedere di concerto, influenzandosi e trainandosi a vicenda.
 
3. Il PNRR non rappresenta solo un piano di azione, è anche un programma di riforme dirette e indirette.
È sempre apparso del tutto evidente che le sei missioni generali di cui è composto il PNRR abbiano bisogno di essere sorrette da un forte e incisivo programma analogo di riforme. Tutto ciò è ancora più vero per quanto riguarda la sanità territoriale e lo sviluppo delle infrastrutture sociali (M5C2), che le pesantissime vicende legate alla situazione pandemica legata al Covid hanno messo a durissima prova. Se è quindi importate comprendere bene quali misure saranno sviluppate nell’ambito della Missione 6, con quali contenuti, obiettivi e risorse; dall’altro lato è ancora più decisivo comprendere in quale processo di evoluzione complessiva andranno a comporsi queste misure ‘speciali’. Forse in questo momento potrebbe addirittura apparire più rilevante discutere e confrontarsi sugli elementi cardine della transizione, come la nuova organizzazione territoriale per l’appunto, che non su qualche scostamento rilevabile nell’allocazione delle pur indispensabili risorse di progetto.

Non si tratta solo di fissare eventuali nuovi confini tra competenze ospedaliere e competenze territoriali (la collocazione dei posti letto intermedi, ad esempio) o di immaginare una sorta di processo di aziendalizzazione dedicato ai servizi distrettuali, o a un nuovo sistema di remunerazione per la medicina generale; dovremo affrontare tutto questo certo, ma insieme ad altri e ben più complessi temi organizzativi, direzionali e istituzionali. A più venti anni dal D.Lgs. 229/99 le vicende legate all’attuale situazione ci spingono a interrogarci sull’esigenza di identificare una compiuta organizzazione territoriale che si sviluppi in modo uniforme lungo tutto il Paese. Non si tratta solo di riorganizzare un ‘dipartimento per le cure primarie’, obiettivo ovviamente indispensabile, ma di un obiettivo ben più complesso.
 
Il punto cruciale è rappresentato dalla pertinenza territoriale (il perimetro del distretto) che costituisce anche il basamento organizzativo entro cui organizzare un livello direzionale uniforme che incroci le varie strutture organizzative e i diversi dipartimenti, orientandone costantemente l’organizzazione e le attività verso i bisogni di salute e di benessere espressi dalle comunità locali. Questi passaggi mettono in discussione l’attuale organizzazione interna della parte territoriale delle aziende sanitarie, ponendoci in relazione strutturale con le dinamiche e le condizionalità dell’integrazione con le amministrazioni locali e con le reti comunitarie del terzo settore e della cittadinanza attiva.

A questo punto sembra necessario affrontare il tema in modo aperto ed esplicito. Anche perché l’esigenza di una organizzazione territoriale uniforme è sentita in modo fortissimo, e quindi si pone anche un tema relativo alla legislazione vigente. Moltissimi anni fa una legge dello stato, la cosiddetta Legge Mariotti (L. 132/68), estese l’assistenza ospedaliera a tutti i cittadini italiani e stabilì altri molti passaggi alcuni di essi storicamente molto discussi; tuttavia, da un certo punto di vista, quella legge stabilì anche ‘cosa fossero gli ospedali’ in quel periodo storico. Anche se rispetto a quel tempo siamo ovviamente in una condizione diversa sia come assetti sanitari che come assetti costituzionali; forse siano sul punto di dover affrontare un passaggio del genere per ‘l’assistenza territoriale integrata’, e decidere come comunità nazionale cosa siano materialmente e organizzativamente i Sistemi territoriali di assistenza integrata.

Si tratta di discutere, confortarsi, ragionare e poi si tratta di scegliere. Tutte le componenti del mondo della sanità sono chiamate a questo confronto, a ciascuno di noi è richiesta la disponibilità nel mettere in gioco qualcosa del nostro assetto attuale per contribuire a costruire la nuova entità territoriale di cui abbiamo bisogno con tutta evidenza come seconda colonna del sistema sanitario che segue l’evoluzione delle reti ospedaliere. Allo stesso sforzo sono chiamate anche le amministrazioni locali, con cui congiungere le forze per promuovere la salute e il benessere dei nostri concittadini, delle nostre famiglie, delle nostre comunità; con la speranza che, nel piccolo nello specifico di Federsanità, questo dialogo possa accendersi nel modo più fertile e costruttivo possibile.
 
Tiziana Frittelli
Presidente Nazionale Federsanità - Dg Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma
 
Michelangelo Caiolfa
Esperto Federsanità Anci Toscana

26 aprile 2021
© Riproduzione riservata


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