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Due cose da fare per riportare ad unità di visione e mission il Ssn

di Antonio Panti

Un atto legislativo unico di riordino del servizio sanitario teso anche a superare le difformità regionali e rendere applicabili i LEA e una legge sul personale assimilabile a uno statuto dei professionisti della sanità che renda serenità a chi deve occuparsi dei mali della gente perché il servizio sanitario ha dato una buona prova complessiva grazie ai professionisti ma deve essere reso idoneo alle sfide del presente che si proiettano nel futuro

08 NOV - Siamo ormai in pieno clima di PNRR e, come S. Atanasio racconta a proposito di S. Antonio Stilita ch’egli fosse “desideroso del martirio ma timoroso di subirlo”, così tutti gli addetti alla sanità vivono la montagna di soldi in arrivo come l’auspicata palingenesi della riforma ma, nello stesso tempo, col timore di usarli male, di non saperli usare, più che altro che li usino altri. Chi decide tra tanti contendenti?
 
Intanto si è sviluppato un grandissimo dibattito e questo è bene. Basta leggere i mass media, specializzati o no, per rendersi conto dell’ampiezza della discussione: tutti dibattono tutto. Anche il Governo e le Agenzie governative nonché gli Istituti specializzati hanno prodotto atti, alcuni già con valore normativo, altri sotto forma di proposta. Tutti parlano dell’inevitabile rinnovamento e esiste già una vasta pubblicistica con molti spunti a comune.
 
Insomma fioriscono i mille fiori di Mao. Confesso una certa preoccupazione: manca qualsiasi apparente collegamento tra le tante iniziative e il coordinamento tra documenti pur provenienti dallo stesso Ministero o Agenas o Conferenza Stato Regioni. Manca insomma una mente unificante e una visione complessiva che veda il podere e non l’orto. Ognuno procede seguendo un suo pensiero (o suoi interessi) e neppure gruppi politicamente vicini riescono a esprimere un’idea comune e, pur proponendo idee simili, non pensano a unire le forze, forse l’unico modo per essere ascoltati.
 
Vengono alla mente alcune osservazioni. La prima, già udita, è che i finanziamenti del PNRR sono esclusivamente volti a interventi strutturali di varia natura. Ma, una volta effettuato l’intervento strutturale, occorre disporre del personale per attuarne gli scopi nonché dell’organizzazione idonea, insomma gli oneri strutturali spesso sono il meno rispetto ai costi di impianto e di gestione. Ma il promesso incremento del fondo sanitario coprirà a mala pena gli aumenti di spesa di questo straordinario periodo.
 
La seconda è che ciascun settore professionale progetta il suo spazio. Ora ha senso progettare separatamente ospedale e territorio? E, all’interno dell’ospedale, l’innovazione tecnologica separata dalle questioni del personale?
 
Ancor più l’assurdo si manifesta nei documenti riguardanti il territorio, sull’assistenza domiciliare, sulle Case della Salute o della Comunità e sulla vexata quaestio della medicina generale. Come si possono pensare (produrre) soluzioni separate e passibili di interventi opposti, pubblici o privati o, peggio, dati in appalto, senza alcun elemento unificante, come se agli stessi bisogni si dessero risposte diversamente orientate?
 
E senza tener conto del ruolo del medico generale che dovrebbe far la sintesi dei bisogni dei cittadini e da snodo per l’appropriatezza e la economicità del servizio. Chiunque comprende che occorre partire dal modello operativo più efficiente per il servizio e su quella base decidere lo stato giuridico dei medici. Al contrario, il rapporto di lavoro sembra una questione secondaria da discutere più tardi magari dopo un referendum tra gli operatori, come se fosse questione di preferenze individuali e non di offerta di servizi di base.
 
Sembra del tutto assente una cultura politica, prioritaria al far politica. Così ciascuno tenta di coltivare il proprio orto mentre questa sarebbe l’occasione di riformulare l’organizzazione del servizio in modo da completare il percorso iniziato con la 833. È difficile sollevare nel paese un dibattito generale ma almeno tra gli addetti ai lavori si dovrebbe tentare una sintesi.
 
Il che consentirebbe di tener testa ai nuovi stakeholders digitali e alle tentazioni dei grandi capitali di rischio di entrare a gamba tesa nel servizio pubblico snaturandolo con l’eccessiva ricerca del profitto.
Il servizio sanitario ha dato una buona prova complessiva grazie ai professionisti ma deve essere reso idoneo alle sfide del presente che si proiettano nel futuro. Nel silenzio del Ministero della Salute, qualche altro autorevole soggetto, meglio se istituzionale, potrebbe farsi carico di una proposta unificante.
 
Ne vengono in mente due: un atto legislativo unico di riordino del servizio sanitario teso anche a superare le difformità regionali e rendere applicabili i LEA; una legge sul personale assimilabile a uno statuto dei professionisti della sanità che renda serenità a chi deve occuparsi dei mali della gente.
 
Antonio Panti
 

08 novembre 2021
© Riproduzione riservata


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