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Le “riforme” di Speranza. L’errore di parlare ancora di “territorio” senza aver capito bene cos’è

di Ivan Cavicchi

La cosa che mi colpisce delle proposte del ministro è quella di dare per scontato che il territorio sia il territorio, cioè che esso sia una categoria concettuale ineludibile e indiscutibile. Per questo la sua proposta di potenziamento ha il fiato corto. Ma per un riformatore vero niente è scontato e niente è indiscutibile

14 SET - La settimana scorsa, su questo giornale, ho preannunciato che, a proposito di territorio, avrei offerto, pro bono, al ministro Roberto Speranza (alias Bob Hope quindi affettuosamente “Bob”) una vera proposta riformatrice con lo scopo “didattico” di spiegargli:
• come ragiona un riformatore,
• cosa vuol dire sul serio riformare la sanità.
 
Prima però ho bisogno di inquadrare meglio le tante aporie che fanno della proposta di Bob un pensiero debole cioè una falsa soluzione riformatrice, ma ancora prima ho bisogno di comprendere in cosa consiste la sua proposta politica.
 
La proposta politica di Bob
Bob, sostiene, da quando è diventato ministro, che la sanità deve essere riformata ed io sono stra in sintonia con lui. Dicendo così Bob, implicitamente dice due cose sulle quali si basa sostanzialmente la mia proposta di “quarta riforma” e cioè che:
• in sanità in questi 40 anni si è riformato troppo poco e si è controriformato troppo,
• se la sanità in questi anni fosse stata sul serio l’oggetto di un vero cambiamento culturale oggi non si avrebbe bisogno di riformarla.
 
In sostanza oggi per riformare la sanità servirebbe un gradiente di cambiamento da 0 a 1 vicino all’1, un gradiente, che, tuttavia in questi 40, non è mai stato raggiunto in nessuna regione e da nessuno, a partire da chi fino ad ora ha diretto la musica e che oggi, guarda la coincidenza, è in art 1, l’attuale partito di Bob.
 
Il bluffer
Il cambiamento, quello che da 0 a 1 si avvicina all’1, come tutti sanno obbedisce ad un preciso quadro logico, che in genere punta ad aumentare il grado di razionalità di qualcosa che funziona male o che si rivela in qualche modo sbagliato o inadeguato o messo in crisi per esempio da una pandemia.
 
Ma mentre oggi in sanità servirebbe soprattutto rispetto alla pandemia e a tutte le criticità che sono venute a galla, un grado di cambiamento 1, la maggior parte delle proposte da 40 anni a queste parti, comprese quelle recenti di Bob, stringi stringi alla fine risultano molto vicine allo zero quindi dentro un quadro logico quanto meno sbagliato.
 
Bob, quindi in perfetta continuità con chi ha governato la sanità in tutti questi anni, e in tutta buona fede, nel senso che è straconvinto di fare le cose giuste, si propone, politicamente, come un riformatore ma che ragiona paradossalmente come un conservatore cioè come uno che vuole cambiare tutto ma restando nel tipico quadro logico dell’invarianza. Praticamente “il riformista che non c’è” sul quale ho scritto persino un libro, è un bluffer
 
Cosa propone nel merito Bob?
Bob ci propone il “territorio” come soluzione strategica cioè come la chiave di volta che regge tutta la sua proposta pseudo-riformatrice e più in dettaglio propone:
• il potenziamento del territorio che c’è ma non una riforma del concetto di territorio quindi non un’altra idea di territorio,
• il potenziamento rientra nella logica dell’ipertrofia ma a contraddizioni culturali funzionali e organizzative del sistema sanitario invarianti, cioè in perfetta continuità con le esperienze fatte.
 
Paradossalmente Bob ci propone un potenziamento delle contraddizioni che ci sono. Forse caro Bob se si vuole migliorare il territorio sarebbe meglio per lo meno non potenziarne i difetti. Che ne dici?
 
Repechage
Bob quindi è convinto che in mezzo alla pandemia l’operazione da fare sia “potenziare senza riformare” e che per fare questa operazione bastino i soldi quando così non è. I soldi bastano se si vuole potenziare ma per cambiare davvero qualcosa in sanità oltre i soldi ci vogliono le idee, le stesse che Bob e, a dir il vero, non solo lui, ahimè mostrano di non avere.
 
Il potenziamento che ci propone Bob si dovrebbe fare con i soldi del recovery fund, e consiste nel recupero di vecchi, cioè storici, approcci e modelli di servizio:
• pre-ospedalieri: il malato da secoli prima della nascita dell’ospedale è sempre stato curato a casa propria, cioè da sempre la medicina è stata di prossimità,
• pre riforma 78: assistenza domiciliare, casa della salute, medicina scolastica, ecc.
 
Forse Bob, se per progredire dovremmo andare avanti sarebbe meglio adottare modelli evolutivi perché quelli regressivi ci fanno tornare indietro.
 
Cambiare nome per non cambiare
Ma Bob fa anche un’altra operazione: ri-nominare vecchi modelli per presentarli come nuovi per esempio la “casa di comunità”. Se si cambia il predicato ma il sostantivo non cambia, ogni nuova predicazione è falsa. Nell’attuale sistema sanitario, la “casa di comunità” non vuol dire niente, essa vuol dire solo quello che è cioè nulla di più che la “casa della salute” vale a dire il vecchio caro poliambulatorio Inam.
 
Detto off the record: so chi ha avanzato la proposta e so in quale contesto essa è stata tirata fuori dal cilindro, ma vi assicuro che strappare una parola da un ragionamento è solo da orecchianti.
 
Paradigma e statuto giuridico
Bob per di più sembra ignorare che il territorio ma tutta la sanità operativa è istruito prima da un paradigma culturale (una certa idea di salute, di tutela, di diritto, di malato, di medicina, di società, ecc.) poi da uno statuto giuridico e organizzativo (gestione, organizzazione, prassi, professioni, contratti ecc). Per cambiare veramente il territorio è necessario prima cambiare i suoi tradizionali postulati culturali poi quelli giuridici e organizzativi. Ecco perché servono oltre i soldi le idee.
 
Le istruzioni culturali e quelle giuridiche e organizzative, che attualmente definiscono il territorio costituiscono un apparato di regole piuttosto complesso, se questo non cambia, il territorio potremo gonfiarlo di soldi, di infermieri di medici, di case di ogni genere ma resterà nonostante la pandemia fermo.
In sintesi Bob pensa possibile che ad esempio, in un robot si possano cambiare i movimenti della mano ma senza cambiare ciò che permette alla mano di muoversi. Cioè è convito anche nel bel mezzo di una pandemia che a proposito di territorio non serva istruire ciò che istruisce.
 
Corsi e ricorsi
Bob, mostra di conoscere poco anche la recente storia della sanità e suo malgrado ricade in vecchi errori del passato. Per me è un errore enfatizzare la questione del territorio e nello stesso tempo non dare pari importanza strategica a quella dell’ospedale. E’ un film già visto in cui il territorio, a partire dagli anni 80, fino alla riforma della Bindi, (quindi per quasi 20 anni) fu considerato l’antagonista dell’ospedale e la deospedalizzazione più che una politica di riequilibrio tra servizi fu una ideologia semplicemente ottusa.
 
L’Emilia Romagna arrivò a considerare persino il distretto come una sub azienda con autonomia finanziaria. Fu un disastro. Nella legge dell’indimenticabile Bindi questa ideologia era molto evidente: non un solo articolo fu dedicato all’ospedale (a parte una allusione al dipartimento e poco altro) mentre il distretto al contrario fu descritto come una specie di salvavita e proposto addirittura come l’asse portante di una intera politica di razionalizzazione.
 
Oggi come ha scritto Guido Quici (QS, 11 settembre 2020) il risultato di queste idiozie è che a forza di correre dietro ai distretti ci siamo dimenticati dell’ospedale. Non si può ridefinire il territorio senza ri-spedalizzare il sistema. Anche se un po’ apologetico ho trovato interessante l’articolo di Moirano/Maffei (QS, 11 settembre 2020) sul dm 70 nel senso che alla fine si ammette comunque la necessità politica di un processo anche culturale di ri-spedalizzazione.
 
Il vizio strutturale
Bob rischia di commettere un altro errore quello di ridurre il territorio a un problema solo di strutture quindi ad un insieme di ambulatori, di poliambulatori di servizi. Il territorio è un “ambito” un contenitore, in cui, a parte i cittadini, agiscono delle professioni cioè delle conoscenze organizzate.
 
Sono le loro epistemologie, i loro statuti giuridici i loro contratti le loro retribuzioni che decidono cosa debba essere un territorio. E’ il lavoro non la struttura che fa il territorio. Il territorio è soprattutto lavoro. E lavoro, caro Bob, non vuol dire solo assumere degli operatori.
Destrutturare il territorio non vuol dire non avere servizi ma pensare il lavoro come un sistema di prassi in relazione con la gente. E’ questa la ragione per la quale il territorio andrebbe considerato soprattutto da un punto di vista funzionale più che strutturale.
 
La singolarità del territorio: strutture e relazioni
Bob dovrebbe capire che un territorio è come un sistema costituito da diversi elementi inter-correlabili (sociali culturali economici scientifici) ognuno dei quali svolge la propria funzione concorrendo a preservare attraverso precise relazioni il sistema stesso come entità. Per questo si tratta di riconoscerne la singolarità.
 
Esso fino ad ora, mi riferisco in particolare al distretto, è stato pensato organizzato retribuito non come una singolarità cioè una nuova fattispecie di tutela ma come se fosse un ospedale, cioè in analogia con le stesse vecchie logiche strutturali. Territorio e ospedale sono cose diverse. Ospedale e ambulatorio al contrario sono cose molto simili. Se il territorio è organizzato come un ambulatorio che a sua volta è logicamente analogo all’ospedale, la nozione di territorio non ha più senso.
 
Mai dare niente per scontato
La cosa che mi colpisce di Bob è quella di dare per scontato che il territorio sia il territorio, cioè che esso sia una categoria concettuale ineludibile e indiscutibile. Per questo la sua proposta di potenziamento ha il fiato corto. Ma per un riformatore vero niente è scontato e niente è indiscutibile.
Considero un errore, per chi vuole mettere le mani sul territorio, non chiedersi e non sapere in funzione di cosa si è deciso 40 anni fa di avere un territorio cioè di avere delle unità sanitarie locali circoscritte dentro dei precisi ambiti territoriali che regolarmente nessuno ha rispettato. Perché proprio il territorio e non qualcosa di altro? Cioè perché proprio le unità sanitarie locali? Cosa vuol dire “unità” e cosa vuol dire “locale”? Che la sanità debba essere prossima al luogo di vita della gente è per me scontato ma chi ha detto che l’unico modo per garantire la prossimità o l’assistenza nel luogo di vita della gente sia la logica del territorio?
 
Conclusioni
Nel prossimo articolo proverò, sulla scorta di queste riflessioni, ad avanzare una proposta pensata con il quadro logico del cambiamento riformatore forte, vicino all’1, senza dare per scontato che il territorio sia una categoria concettuale inevitabile e senza scartare l’ipotesi che esso oggi proprio nel mezzo di una pandemia sia addirittura una categoria vecchia e superata.
 
Ivan Cavicchi

14 settembre 2020
© Riproduzione riservata


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