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Pronto soccorso affollati? Inevitabile senza alternative

12 GEN - Gentile Direttore,
i fatti di Nola hanno riportato alla ribalta l’annoso problema dei Pronto Soccorso. I medici, e stranamente solo loro, come se gli infermieri e gli altri operatori sanitari presenti in quell’ospedale fossero ancor una volta invisibili, sono stati definiti eroi dal nostro Ministro.
 
Tutte cose già sentite che, esattamente come il picco influenzale, si rinnovano con cadenza quasi annuale.
 
Certo, vedere pazienti stesi a terra per ricevere le cure non da una immagine edificante del nostro servizio sanitario nazionale. Il timore è però che il fatto di Nola sia vissuto come un unicum, come una punta estrema da stigmatizzare, per la quale cercare responsabili e magari colpevoli, fingendo che tutto il resto vada bene e che si tratti di un caso isolato.
Purtroppo chi tra noi lavora in questo settore, e lo fa tutti i giorni dell’anno, sa bene che non è così.
 
Forse, fortunatamente, non sarà così frequente vedere gente stesa a terra in pronto soccorso, come è successo a Nola, ma è frequentissimo vedere i reparti di emergenza sovraffollati e presi d’assalto da persone che non trovano risposte in altri servizi, che pure esistono ma che spesso non sono messi in condizione di lavorare in maniera davvero produttiva, mettendo in ginocchio un servizio che dovrebbe gestire essenzialmente l’emergenza urgenza.
 
Troppo facile affermare che l’80% dei pazienti che accedono ai DEA non dovrebbero farlo quando non si è realmente, e per anni, pensato ed implementato una alternativa reale da fornire alla cittadinanza.
 
Non si è voluto, per anni, anche qui cedendo come troppo spesso accade a spinte corporativistiche, sviluppare l’infermieristica di famiglia e comunità in maniera capillare. Non si è lavorato correttamente sul lato normativo che regola il sistema 118 mettendo, di contro, gli operatori medici ed infermieri in condizione di dover ricoverare praticamente tutti coloro i quali accedano al servizio.
 
Si è continuato ad effettuare tagli indiscriminati di posti letto, ultima punta brillante quella di chiudere molti letti di chirurgia in Toscana per fare fronte all’emergenza in corso nei pronto soccorso.
 
Si è rimandato al territorio la gestione di patologie, specie quelle croniche, che sul territorio non potevano e non possono essere gestite perché rimesse sulle uniche spalle dei medici di famiglia.
 
Questi, c’è da dirlo, continuano in molti casi a lavorare come professionisti singoli, dovendo spesso gestire singolarmente centinaia di pazienti cronici e anziani fragili, e non come leader di team multiprofessionali nei quali siano chiamati a tracciare i corretti percorsi di cura.
 
La coperta è corta, e questo è evidente, ma è anche molto mal disposta sul letto.
Se il caso di Nola porterà solo ad attestazioni di stima per i professionisti coinvolti e all’ennesimo invio di ispettori ministeriali questo porterà ad una sconfitta, ulteriore, per il sistema e per gli operatori che vi operano.
 
Anche quegli operatori erano distesi a terra. Lo erano idealmente, è ovvio. Lo era la loro professionalità, svilita da una organizzazione incompetente ed insufficiente, e lo era, non è difficile immaginarlo, la loro motivazione a lavorare in un sistema che finisce con l’umiliare la loro opera e i loro assistiti.
 
I nostri professionisti stanno perdendo, e da tempo, proprio la motivazione. Definirli eroi non basta più.
 
Servono risposte concrete ed una pianificazione seria di servizi e risorse. Serve una maggiore condivisione dei percorsi con tutta la filiera assistenziale, e non solo con le parti afferenti all’area medica, nell’intento di sviluppare soluzioni sostenibili e innovative. Un po’ di coraggio in più non guasterebbe, in questa fase, da parte di chi è chiamato a decidere. I paradigmi utilizzati fino ad oggi sono perdenti. E’ ora di cambiarli e di aprire un confronto serio con tutte le professioni.
 
Il Consiglio Direttivo IPASVI Firenze

12 gennaio 2017
© Riproduzione riservata

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