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Se il medico diventa impiegato. Cosa c’è dietro la vicenda veneta di “oltre il Cup”

L’idea sarebbe quella di affidare ai medici, magari dietro compenso, il compito oggi svolto dal Cup di provvedere per conto dei loro pazienti alle prenotazioni degli esami specialistici. La vicenda mi ha incuriosito perché dietro la sua apparente assurdità avvertivo di nuovo quella “puzza” di “medicina amministrata”che avevo sentito per la prima volta tanti anni fa quando si varò la riforma ter

di Ivan Cavicchi
28 FEB - Preambolo
Su questo giornale a più riprese alcuni medici sono intervenuti per discutere una vicenda piuttosto controversa che riguarda il Veneto nota con l’espressione “oltre il cup”. Io stesso ne ho fatto menzione in un recente articolo sul riordino degli ordini (QS 20 febbraio 2007).
 
L’idea, in barba a qualsiasi discorso sulla burocratizzazione della professione, sarebbe quella di affidare ai medici, magari dietro compenso, il compito oggi svolto dal Cup di provvedere per conto dei loro pazienti alle prenotazioni degli esami specialistici. La vicenda mi ha incuriosito perché dietro la sua apparente assurdità avvertivo di nuovo quella “puzza” di “medicina amministrata” che avevo sentito per la prima volta tanti anni fa quando si varò la riforma ter.
 
Seguendo questa puzza grazie ad internet mi sono documentato e ne è venuto fuori un case study a mio avviso di grande interesse e che ricordando Foucault potrei definire “microfisica della medicina amministrata
 
Oltre il CUP
Tutto comincia con una delibera regionale che ha l’obiettivo di razionalizzare i tempi delle liste di attesa (Dgr 320/2013). L’idea è chiara e condivisibile: tutte le prestazioni ambulatoriali devono essere “obbligatoriamente” prescritte con l’attribuzione sistematica delle “classi di priorità” in modo che la loro erogazione sia garantita in tempi congrui.
 
A questa delibera segue una circolare regionale: “disposizioni in materia di prescrizione di prestazioni ambulatoriali (settembre 2015) con la quale si sanciscono due cose importanti:
· l’obbligo per il medico di indicare sulla ricetta anche il sospetto diagnostico.
· Il divieto per il cup di accettare le prenotazioni nel caso in cui sulla ricetta il sospetto diagnostico non sia stato dichiarato.
 
Questo il quadro di partenza ora ragioniamoci sopra.
 
Aporie e dubbi
Inizierei chiarendo cosa sono le “classi di priorità”.Con il termine “classe” in genere si indicaun “insieme” quindi un “raggruppamento” di malattie rispondente a certe caratteristiche. Nel caso specifico essa è un raggruppamento a cui riferire delle necessità cliniche attraverso un criterio codificato di priorità.
 
Quindi è una “classe di equivalenza” tra le necessità cliniche del malato e i tempi necessari per accedere a delle prestazioni. Le principali classi sono: urgente, breve differibile, programmabile. La circolare dice che, per le prime visite e per gli esami diagnostici e strumentali, il medico deve indicare il codice di priorità adeguato al bisogno del malato.
 
L’individuazione, da parte del medico, della classe di priorità è, quindi, una scelta importante di natura prognostica in grado di tradurre un giudizio clinico in un percorso programmato.
 
Ma la circolare dice anche che non basta indicare la classe di priorità il medico in più deve indicare il “sospetto diagnostico”. Cosa è? E’ del tutto evidente che stiamo parlando di un setting clinico orientato al futuro. Il medico decide per conoscere maggiormente il suo caso di ricorrere ad ulteriori esami per corroborare innanzi tutto il suo lavoro deduttivo e congetturale.
 
Quindi il sospetto diagnosticoè una ipotesi attraverso la quale si ritiene che “qualche cosa” sia probabile e quindi da dimostrare. La logica nella quale inquadrare il sospetto diagnostico è quella “stocastica” per la quale la malattia va studiata come un fenomeno il cui andamento dipende da leggi casuali, probabilistiche e a volte aleatorie.
 
A questo punto sorgono i primi dubbi e le domande:
· dopo che il medico ha deciso autonomamente il codice di priorità indicandolo sulla ricetta, che bisogno c’è di specificare il sospetto diagnostico se l’ipotesi clinica è implicita nella scelta della classe di priorità?
· se il sospetto diagnostico non aggiunge nulla al codice di priorità quale è la sua vera funzione?
 
Il dubbio è che la sua vera funzione abbia a che fare molto poco con la clinica e molto di più con la logica gestionale come se fosse un modo surrettizio di amministrare le scelte cliniche del medico. Se ciò fosse la clinica rispetto alla gestione sarebbe in un certo senso amministrata con conseguenti svantaggi prima di tutto per il cittadino malato.
 
Per un medico la scelta della classe di priorità non è mai riducibile solo ed esclusivamente al sospetto diagnostico ma tiene conto di una complessità del malato molte volte necessariamente extra-clinica. Per cui la classe di priorità rispetto alla complessità del malato ha un valore referenziale (capacità a designare una realtà) molto più grande del sospetto diagnostico.
 
Questo vuol dire che nel caso in cui da parte del Cup vi fosse la tentazione di gestire la classe di priorità con il sospetto clinico “amministrando” le decisioni del medico ciò andrebbe a nocumento del malato perché costituirebbe una indebita semplificazione dei suoi bisogni.
 
Malafede
Nella circolare non si fa mistero che gli obiettivi della Regione, a parte l’alibi di informare il paziente (come se il medico non avesse un rapporto terapeutico) sono sostanzialmente due, entrambi con delle forti implicazioni gestionali:
· gestire le liste di attesa secondo principi di appropriatezza clinica e organizzativa,
· facilitare “l’erogatore” nell’effettuare le scelte più opportune.
 
Se aggiungiamo a ciò il ricatto di subordinare la prenotazione degli esami alla dichiarazione del sospetto diagnostico sulla ricetta (senza sospetto clinico il cup non fa la prenotazione) abbiamo il quadro completo.
 
In pratica la gestione per razionalizzare i tempi delle liste vuole amministrare la parte del percorso clinico nel quale il medico generale si rivolge alla diagnostica specialistica, per verificarne i giudizi clinici con l’ottica di una non meglio definita “appropriatezza clinico-organizzativa”.
 
Andiamo per ordine:
· il richiamo della circolare ai principi di appropriatezza clinica e organizzativa sta ad indicare  che il codice di priorità deciso dal medico sarà vagliato in modo amministrativo da personale amministrativo (cup) secondo delle procedure predefinite con il  rischio che la valutazione amministrativa sia sopraveniente a quella clinica con il rischio che sia appropriata alle compatibilità organizzative ma inadeguata alla effettiva complessità del malato,
· per amministrare la fase degli esami diagnostici  alla regione ovviamente non basta il codice di priorità indicato dal medico, perché è un dato sintetico sul grado di complessità di un bisogno, per cui ha bisogno del quesito clinico dal momento che l’intera logica dell’appropriatezza  ruota intorno alla possibilità di organizzare “quesiti clinici” in standard  gestionali,
· imponendo ai medici l’obbligo di dichiarare il sospetto diagnostico sulla ricetta  non solo si nega una deontologia della riservatezza ma soprattutto per rispettabili ragioni di efficienza  si procura una lesione  all’integrità intellettuale della professione medica ma quel che è peggio si rischia di sbagliare i tempi della prenotazione o almeno di definire prenotazioni inadeguate all’effettivo bisogno del malato. Quindi di danneggiarlo,
· in pratica succede una inversione dei ruoli: gli amministrativi fanno i medici cioè il cup controlla la clinica, e i medici fanno gli amministrativi cioè la clinica si burocratizza.
 
La circolare a questo proposito è chiara: si tratta di mettere in condizione l’erogatore di fare le “scelte più opportune” con ciò sancendo la separazione tra clinica e erogazione. Il medico così non è più colui che eroga medicina nel rapporto diretto con il malato ma diventa suo malgrado un impiegato che per forza deve visitare il malato, fare congetture e ipotesi cliniche, perché non si può fare a meno dei medici, ma lasciando le decisioni ad un gestore (cup) in grado di fare rispetto al medico “scelte più opportune”.
 
Quello del Veneto quindi in tutta buona fede (nel senso che il suo scopo è del tutto condivisibile) finisce per essere una forma di medicina amministrata.
 
Dalla malafede all’assurdità
La grana “oltre il cup” scoppia non perché ci si rende conto che amministrare le classi di priorità scelte dal medico crea degli inconvenienti tanto al medico che al malato, ma perché alcuni cittadini, giustamente, si sono lamentati del fatto che scrivendo sulla ricetta il quesito diagnostico si veniva meno ad un dovere del medico alla riservatezza.
 
La questione della privacy in medicina non è solo un problema di “ciàcole” ma è molto di più. Vorrei ricordare “Philadelphia” straordinario film che racconta come delle indiscrezioni sulla malattia siano capaci di dare luogo a delle vere e proprie discriminazioni sociali. In termini epistemologici la questione della privacy è una contraddizione che disvela le fallace della circolare intendendo la circolare alla stregua di una teoria per gestire in modo appropriato le liste di attesa.
 
Per risolvere il problema della privacy entra in ballo l’assurdo spalleggiato probabilmente da una bella dose di opportunismo economicistico: se non possiamo amministrare le classi di priorità con una più oculata gestione del sospetto diagnostico da parte del cup, potremmo trasferire una parte delle funzioni del cup negli studi dei medici quindi obbligando i medici a fare le prenotazioni.
 
Il medico e l’erogatore tornerebbero ad essere la stessa cosa, non ci sarebbero più problemi di appropriatezza, nel senso che i tempi di attesa sarebbero decisi solo dal medico, per cui cadrebbe la necessità di dichiarare il sospetto diagnostico e per di più in cambio potremmo risparmiare molte risorse riducendo il personale del cup.
 
Così facendo tuttavia non ci si accorge che da un ordine di contraddizioni (quello che riguarda la privacy quindi il malato) si passa ad un altro ordine di contraddizioni (quello che riguarda il medico). La contraddizione che, ricordo, nasce tutta intorno all’obbligo di dichiarare il sospetto diagnostico in ricetta, non decade cambia semplicemente il suo referente.
 
E’ vero che la questione della privacy sarebbe risolta ma a pagarne questa volta le conseguenze sarebbe la professione dal momento che il suo carico burocratico già molto pesante rischierebbe di snaturarla.
 
Si potrebbe obiettare che per rimuovere una tale contraddizione basterebbe organizzare negli ambulatori una funzione di segreteria controllata dal medico per evitare che il medico faccia da segreteria. Questo non c’è dubbio risolverebbe la contraddizione ma ne aprirebbe un’altra quella di far crescere i costi della medicina generale.
 
Da qui l’idea a mio avviso assurda del “medico booking” cioè di un medico che non è “amministrato” ma è “amministrativo” come quei medici che al tempo delle mutue erano nei poliambulatori dell’Inam.
 
Il garante che balbetta
Da ultimo vorrei riferirmi ad un documento redatto dal garante della privacy che interpellato sulla questione veneta, dalla Fnomceo (gruppo ICT 31 marzo 2016) ha dato delle risposte (punto 6) che mi fanno capire che anche lui le idee chiare non ce l’ha.
 
Alla fine il garante da un colpo alla botte e uno al cerchio da una parte in qualche modo giustifica la circolare della regione riducendo la questione a trattamento dei dati personali, e dall’altra parte rendendosi conto che la questione è più complessa, si pone il problema se sia sempre necessario consentire l’accesso a tutti i dati e se non sia il caso di pensare a soluzioni che modulino l’acceso alle informazioni in modo selettivo.
 
Al garante faccio semplicemente notare che la questione non è riducibile al solo trattamento dei dati personali.
 
Concludendo
Secondo la teoria della contraddizione vi sono nodi (“nodo di contraddizione”) dai quali si originano, quasi a catena, paradossi e contro paradossi. “Oltre il cup” è una vicenda di paradossi e contro paradossi innescata da un nodo di contraddizione che ruota intorno alla dichiarazione del sospetto diagnostico.
 
Se io fossi la “federazione regionale degli ordini dei medici e degli odontoiatri del Veneto”, rispetto a questo “nodo” mi preoccuperei di tutelare la professione e i diritti dei malati chiedendo alla Regione Veneto la sua rimozione quindi la modifica della delibera regionale 320/2013 e la riscrittura della circolare. Siccome le contraddizioni sono utili a disvelare le complessità del mondo, coglierei l’occasione per fare il punto su una questione politica di primaria grandezza e che riguarda il rapporto tra medici e istituzione.
 
Dietro al “nodo di contraddizione” ve ne è un altro, una sorta di sfiducia dell’istituzione nei confronti della professione medica e di pessimismo di chi, alle strette con i problemi della sanità, crede che l’unico modo per fare delle cose sia obbligare i medici a farle perché a torto o a ragione ritenuti inattendibili, irresponsabili, incapaci, opportunisti.
 
Questo altro “nodo di contraddizione” va sciolto. I medici veneti devono dimostrare che in luogo di una contraddittoria “medicina amministrata” sia possibile grazie a loro una medicina della autonomia e della responsabilità.
 
Ivan Cavicchi

28 febbraio 2017
© Riproduzione riservata

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