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L’ospedale San Salvatore ancora al 70%

11 APR - Il nostro viaggio a L’Aquila non poteva partire che dal simbolo della sanità cittadina: l’ospedale San Salvatore che molto lentamente e non senza ritardi e difficoltà tenta di tornare ai livelli pre-sisma. Le camere operatorie sono state tutte riattivate. Utic, cardiologia, pronto soccorso pediatrico e anche la nefrologia, che solo fino a pochi mesi fa era ospitata nei container, hanno trovato una nuova collocazione in reparti completamente ristrutturati. Tuttavia altre specialità come otorino, oculistica, maxillofacciale, endoscopia e l’ambulatorio dei trapianti sono ancora confinate nella struttura prefabbricata del G8. L’anatomia patologica e  il centro trasfusionale sono ancora nei container. Il numero dei posti letto che già dal dicembre del 2009, come da cronoprogramma, sarebbe dovuto tornare ad essere quello ante sisma (circa 460), a distanza di un anno si è incrementato di poco (da 315 posti letto a maggio 2010 siamo a circa 330 disponibili). Soprattutto nell’ala della struttura abruzzese conosciuta dagli addetti ai lavori come “Delta 8”, sede del dipartimento chirurgico di rilevanza strategica per l’attività ospedaliera, che avrebbe dovuto riaprire i battenti al massimo entro gli inizi del 2011, come aveva dichiarato un anno fa il Direttore generale Giancarlo Silveri, tutto è rimasto fermo alla notte del 6 aprile 2009.
Eppure i soldi c’erano. O meglio, ci sarebbero stati. Una parte considerevole dei 47 milioni di euro ricavati dalla riscossione della polizza assicurativa stipulata dal San Salvatore prima del sisma sono stati risucchiati  nel fondo indistinto della Asl de L’Aquila, Avezzano e Sulmona, e quelli del fondo nazionale per l’edilizia sanitaria sui quali l’ospedale avrebbe dovuto fare affidamento non sono ancora entrati nelle casse dell’ospedale.
E così, medici e infermieri continuano la loro battaglia per mantenere alta la qualità di una struttura che fino a due anni fa era considerata il fiore all’occhiello della sanità abruzzese e assistono sempre più demotivati.
“Ci sono stati molti passi in avanti – ha spiegato Alessandro Grimaldi, segretario aziendale dell’Anaao Assomed e direttore del reparto di malattie infettive –  ma si procede con troppa lentezza. Abbiamo affrontato con mezzi ordinari una situazione straordinaria. Così come sono state recuperate celermente le scuole, si sarebbe dovuto procedere con la stessa rapidità al recupero totale dell’ospedale. I medici e tutto il personale sanitario hanno fatto un grandissimo sforzo, hanno lavorato nelle tende per mesi, hanno dato fondo a tutte le loro energie per non abbandonare i pazienti. Sforzi che avrebbero dovuto essere premiati. La sensazione è che si sia persa la grande occasione di riprogettare in maniera migliorativa e più razionale l’ospedale. Anche perché c’erano i fondi dell’assicurazione”. Non solo, ha aggiunto Grimaldi, i medici hanno la sensazione che ci sia, in generale nella sanità abruzzese, l’intenzione di tagliare soprattutto il sistema sanitario pubblico. “Temiamo tagli alle nostre  unità operative – ha aggiunto – un’operazione che snaturerebbe la funzione del San Salvatore che è quella di ospedale hub. Eravamo l’ospedale con la più alta mobilità attiva in Regione, il 48% di quella per  i ricoveri ordinari e il 64% per i Day hospital, un altissimo peso medio dei ricoveri, intorno a 1,10, il più basso tasso di ricoveri inappropriati. Sarebbe gravissimo se tutto questo venisse svilito”.
 
“Lavoriamo da due anni nei container – ha raccontato Giuseppe Carvisi, anatomopatologo – continuando a portare avanti la nostra attività come prima del sisma con grandi sacrifici di tutto il personale, nonostante la situazione oggettivamente non sia a norma. Ora ci hanno promesso che dovremmo rientrare nella struttura a dicembre, ma i lavori ancora non sono cominciati. Paghiamo le escursioni climatiche, che non giovano in particolare ai macchinari, e così se fa molto freddo vanno in tilt. Questo comporta inevitabilmente dei  ritardi nelle risposte degli esami effettuati dai cittadini. Cerchiamo di barcamenarci per le urgenze, ma è sempre difficile, anche perché in oncologia tutto è prioritario. Per le biopsie i tempi di attesa non superano i sei giorni. Ma gli esami oncologici a secondo dell’organo hanno tempi diversi. Per la mammella non riusciamo a dare risposte prima dei venti giorni. Per le autopsie invece dobbiamo spostarci ad Avezzano. Paghiamo poi oltre al disagio in cui operiamo, la scarsità di personale. Molti dei tecnici sono precari. Stringiamo i denti, ma è veramente dura”.
“Ormai da un anno siamo ospitati nell’ospedale prefabbricato ereditato dal G8, dopo i primi 12 mesi passati negli ospedali-tenda  – ha detto Loreto Lombardi, direttore della struttura semplice di endoscopia interventistica – e finalmente nelle prossime settimane dovremmo rientrare nella struttura muraria. Insomma qualcosa è migliorato, ma i problemi non mancano. Lavoriamo in maniera “normale”, rispondiamo come prima alle richieste dei pazienti, ma il senso di disagio è enorme perché non vediamo vie di uscita per quanto riguarda la città. Infatti a distanza di due anni molti di noi sono già andati via e tanti stanno pensando di farsi trasferire in altre strutture. È quindi altissimo il  rischio di un depauperamento della componente medica e anche non medica. La sensazione è  che si stia cercando, più o meno scientemente, di ridurre la forza di questo ospedale che era il miglior ospedale d’Abruzzo. Molti di noi non riescono a vedere in questo momento il proprio futuro”.

11 aprile 2011
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