23 MAG - Il contributo di Costantino Troise, segretario nazionale Anaao Assomed
È assolutamente vero che il medico vive una condizione di solitudine, stretto tra il diritto dei cittadini ad avere i migliori risultati di salute, il codice disciplinare da pubblico dipendente che impone dei vincoli, il codice deontologico che stabilisce le linee di comportamento, l’esigenza dell’azienda a raggiungere l’equilibro di bilancio e la magistratura sempre pronta a mettere in discussione il suo operato.
In questo contesto l’atto medico è diventato estremamente fragile e il medico è privo di punti di riferimento. Basti pensare alla sentenza della Corte di Cassazione che ha rinviato a giudizio un medico che aveva seguito le linee guida ma il cui paziente era deceduto. Dopo quella sentenza probabilmente molti medici si sono sentiti ancora più soli.
Purtroppo l’alleanza terapeutica tra medico e paziente si è trasformata in un rapporto di diffidenza, spingendo i medici a mettere in campo la medicina difensiva, che è pericolosa per tutti. Per la professionalità medica, per la salute dei pazienti e anche per la sostenibilità del sistema. Un rapporto così inquinato non può reggere le sfide della sanità moderna. Si corre il rischio di vedere i medici chiudersi sempre più nella propria nicchia professionale per il timore di esporsi a condanne giudiziarie. La sanità, invece, ha bisogno di professionisti attivi, messi nelle condizioni di decidere in scienza e coscienza. Solo così il cittadino potrà ottenere la migliore assistenza possibile e il sistema potrà muoversi verso l’efficienza e l’appropriatezza.
Purtroppo non credo che l’azienda sia in grado di invertire l’attuale rotta, stretta come è nella logica dell’equilibrio di bilancio. Credo, piuttosto, che lo sforzo debba avvenire dai livelli più alti. Dalle Regioni, dal Governo, dal legislatore e anche dalla magistratura. Quest’ultima sembra averlo già capito. Con due recenti sentenze, i giudici della Cassazione hanno infatti dimostrato una sensibilità maggiore nella tutela dell’atto medico. Ma non è soltanto un problema di chi risarcisce. Il problema è far comprendere alle istituzioni che la sanità ha bisogno di risorse, perché una sanità in cui si tagliano gli organici e i mezzi a disposizione, diminuisce anche il tempo da dedicare ai pazienti, a fronte della crescente domanda di assistenza. Questo non può che ridurre il livello di sicurezza.
Serve, però, anche un salto culturale da parte dei cittadini. Che devono comprendere che la medicina non è una scienza immune da rischi, neanche quando si utilizzano le tecnologie più sofisticate e ci si rivolge al migliore medico e alla più eccellente struttura. Il rischio zero, in medicina, non esiste. Qualsiasi sia la tecnologia che si utilizza. Se i cittadini comprenderanno questo, il rapporto tra medico e paziente potrà tornare ad essere un’alleanza.
23 maggio 2011
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