Un vero e proprio sistema parallelo, che trasformava le liste d’attesa pubbliche in un canale privilegiato per chi pagava privatamente.
Questa l’accusa mossa dalla Guardia di Finanza di Catanzaro nei confronti di alcuni medici dell’Azienda ospedaliero-universitaria "Renato Dulbecco".
Due persone sono finite agli arresti domiciliari, su disposizione del Gip del Tribunale di Catanzaro e su richiesta della Procura, con accuse pesanti: associazione a delinquere, peculato, concussione, truffa aggravata, interruzione di pubblico servizio. Per uno di loro si aggiungono anche falsità ideologica e autoriciclaggio. Altri cinque indagati sono stati colpiti da un sequestro preventivo di beni e denaro per un valore di quasi un milione di euro (984.762,23 euro) considerato equivalente al guadagno ottenuto illegalmente.
Secondo gli investigatori del Nucleo di polizia economico-finanziaria, il meccanismo messo in piedi nel reparto di Oculistica coinvolgeva due dirigenti medici, un’infermiera dell’ambulatorio, e la segretaria dello studio privato di uno dei medici. Lo schema era ben rodato: i pazienti venivano visitati in ambito privato a pagamento e, grazie a questo canale, accedevano rapidamente a interventi chirurgici all’interno dell’ospedale pubblico, scavalcando le regolari liste d’attesa. Chi invece seguiva il percorso ordinario del servizio sanitario restava indietro, allungando inevitabilmente i tempi per tutti gli altri.
Non solo. In molti casi i pazienti, messi di fronte alla gravità della loro condizione clinica e alla necessità di intervenire in tempi rapidi per evitare gravi conseguenze alla vista, si sentivano praticamente costretti ad accettare la proposta di pagare privatamente il medico, pur di essere operati nella struttura pubblica.
Di fatto, il reparto era stato "privatizzato", con evidenti danni alla qualità e all’equità del servizio pubblico.
Le indagini hanno inoltre rivelato che cinque dei medici coinvolti avevano dichiarato di lavorare in esclusiva per l’ospedale, ma continuavano a svolgere attività extra in studi e cliniche private, alcune convenzionate con il Servizio sanitario nazionale. Il danno economico stimato per l’azienda ospedaliera e per l’Università Magna Graecia supera i 980 mila euro.