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I risultati dell'indagine Censis su vaccinazioni e polmonite


20 MAR - L’indagine si è posta l’obiettivo di analizzare la diffusione delle conoscenze sulla polmonite e verificare il livello di sensibilizzazione e di fiducia riposta nella prevenzione vaccinale. La polmonite costituisce una patologia ben nota ai 50-80enni italiani (96,0%), che ne conoscono appieno la potenziale letalità (91,0%) e la lunghezza dei tempi di recupero (76,8%), anche grazie alla condivisione di una accezione popolare che traspare dalle conoscenze dichiarate dagli intervistati. Di essa, tuttavia, ignorano alcuni importanti fattori di rischio, in particolare l’età avanzata (citata in sesta posizione nella graduatoria formata sulla base della frequenza risposte da poco più della maggioranza, 59,8%) e la presenza di patologie croniche (42,7%), così come alcune conseguenze particolarmente pericolose delle polmoniti più gravi (setticemia/peritonite e meningite, citate come complicanze rispettivamente dal 17,5% e dall’11,9%).
 
Nonostante sia diffuso il senso della pericolosità della patologia, solo il 41,6% dei 50-80enni italiani è consapevole dell’esistenza del vaccino contro la polmonite provocata da Pneumococco e una percentuale ancora inferiore (31,4%) esprime interesse verso questa forma di prevenzione. La scarsa conoscenza del vaccino è sicuramente imputabile alla qualità delle informazioni a disposizione: anche quanti sono avvertiti dell’esistenza della terapia vaccinale hanno un quadro confuso dei potenziali destinatari e tendono a sottovalutare l’indicazione per gli anziani. Un deficit per ovviare al quale gli intervistati ritengono fondamentale il ruolo del medico di medicina generale: il 75,5% lo richiama come la fonte d’elezione per reperire maggiori informazioni sulla vaccinazione. A favorire il disinteresse si aggiunge un sentimento diffuso di alterità dei 50-80enni italiani nei confronti della patologia.
 
Gli intervistati, infatti, pur riconoscendone la gravità, sottovalutano in larghe quote il nesso causale tra indebolimento delle difese immunitarie provocato dall’avanzamento anagrafico (poco meno della metà del campione è convinto che l’età costituisca certamente un fattore di rischio per la salute) e la possibilità di contrarre la patologia (il 60% circa di quanti si dicono non interessati al vaccino lo fanno poiché non si percepiscono come soggetti a rischio).Un atteggiamento che si ‘salda’ al rifiuto di “sentirsi anziani” che la maggioranza del campione esprime: è l’85,1% dei 50-80enni intervistati a rigettare tale etichetta, una consapevolezza condivisa anche da coloro che sono più in là con gli anni e dai più fragili (il 67,2% 71-80enni e il 79,9% di chi soffre di una patologia cronica).
 
I 50-80enni italiani si percepiscono, infatti, generalmente in salute (il 16,6% valuta ottimo il proprio stato di salute e il 63,4% buono anche se con qualche piccolo disturbo) e sebbene riconoscano che l’insorgenza di un problema di salute possa rappresentare l’evento soglia di accesso alla vecchiaia (52,2%), tale eventualità non sembra catalizzare le loro preoccupazioni (il 24,4% a fronte del 36,2% che si dichiara sereno). Un atteggiamento che, se da un lato è indice di un approccio positivo, dall’altro può provocare pericolose sottovalutazioni.
 
La dimensione soggettiva, prevalente anche nella terza età e nella stessa auto-percezione del proprio stato di salute, spiega perché gli italiani over50, pur riconoscendo in circa un caso su due che l’avanzare dell’età predispone a una maggiore incidenza di malattie infettive, si sentano in larga misura lontani da una condizione di rischio e non si identifichino pertanto come possibili destinatari di una vaccinazione per una patologia di cui pure riconoscono la pericolosità.
 

20 marzo 2012
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