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Indennizzi da infortunio per Covid: la storia del medico “in prima linea” risarcito dalla sua assicurazione infortuni

di Arnaldo Iodice

L’infezione al Pronto soccorso, il ricovero, un mese di terapia intensiva, poi la guarigione e l’accordo transattivo con la compagnia assicurativa che non voleva saperne di indennizzarlo. Il racconto della vicenda, iniziata nel corso della prima ondata e finita appena pochi mesi fa

23 MAR -

La corsa in ospedale alla ricerca di un posto ancora vuoto, un medico intubato per mancanza di ossigeno e con postumi che rimarranno anche successivamente alla guarigione, un mese di terapia intensiva per polmonite bilaterale. Ma anche l’angoscia e la paura che un virus ancora sconosciuto ma di cui si sta parlando insistentemente da settimane possa mietere una vittima in più. E poi, il saluto alla moglie prima di esser portato in ospedale: “Non so se ci rivedremo ancora”. Elementi, questi, quasi ricorrenti nei racconti di chi venne contagiato, in maniera seria e preoccupante, dal Sars-CoV-2 nella prima, terribile ondata della pandemia. Ma questa storia ha un particolare in più: l’esito positivo della battaglia legale contro l’assicuratore che non voleva riconoscere l’infortuno e così evitare di pagare.

La corsa in ospedale, il ricovero e la degenza
Siamo infatti nel febbraio del 2020 quando M.C., medico di Pronto soccorso, mandato al fronte nella zona più “calda” (il bergamasco) senza i dispositivi di protezione necessari a prevenire l’infezione, comincia a sentirsi poco bene e chiede alla moglie di accompagnarlo in ospedale per una lastra. “Da questa – spiega lei a Quotidiano Sanità – non esce un quadro preoccupante, tant’è che torniamo a casa e il giorno successivo mio marito lo trascorre tranquillamente a letto. Ma l’indomani, un lunedì, la situazione peggiora e martedì la sua ossigenazione raggiunge livelli insostenibili”. Comincia allora la ricerca di un posto libero nei reparti Covid di fresca costruzione.

Posto che viene trovato a Sesto San Giovanni. È l’ultimo. M.C. passerà un mese nel reparto di rianimazione di questo ospedale e il successivo nella struttura per cui lavorava. “All’epoca – spiega ancora la moglie, che ha seguito in prima persona sia la sua degenza che l’iter legale che ne è susseguito –, i posti a disposizione per gli infetti erano talmente pochi che gli operatori sanitari erano costretti a scegliere chi curare e chi no. Per fortuna, mio marito, all’epoca sessantottenne, godeva di sana costituzione e non aveva mai avuto patologie particolari. Per questo decisero di curarlo…”. Una volta fuori pericolo, M.C. torna a casa ma non tornerà al massimo della sua condizione: “Mio marito fa ancora fatica a fare le scale, dopo uno sforzo gli viene l’affanno e così via. Gli strascichi, insomma, ci sono ma non è questo l’elemento determinante che ci ha fatto ottenere il risarcimento dalla compagnia assicurativa…”.

La richiesta di apertura del sinistro sulla polizza infortuni

“Ho personalmente parlato più di una volta con la compagnia assicurativa. Chiedevamo il pagamento dell’indennizzo previsto dalla polizza che mio marito aveva personalmente acquistato per garantirsi da eventuali infortuni della vita comune. La compagnia, inglese, rispose che non se ne parlava nemmeno perché, dal loro punto di vista, non si trattava di infortunio”, spiega la signora C. E, in effetti, praticamente tutte le compagnie hanno sposato questa tesi sin dall’inizio della pandemia: l’infezione da Sars-CoV-2 non può essere considerata infortunio a termini di polizza e, dunque, non va risarcita.

La svolta è arrivata nel momento in cui il medico ha deciso di rivolgersi al Gruppo Consulcesi, di cui era cliente da tempo, ricorrendo ad una consulenza telefonica con un legale di Consulcesi & Partners, il quale gli ha spiegato i motivi che avrebbero potuto sostenere una possibile azione giudiziaria con esito favorevole, malgrado il rigetto opposto dall’assicuratore.

M.C. è stato quindi affidato all’avvocato Francesco Cecconi dello Studio Legale FCA di Firenze. “L’avvocato Cecconi è stato bravissimo – spiega la moglie di M. C. – e, dopo aver avuto alcuni incontri con la controparte, abbiamo negoziato e trovato un punto d’incontro”. La compagnia, infatti, “al fine di evitare un precedente che facesse rumore, ha acconsentito a riconoscerci l’indennizzo”.

Un lieto fine, dunque, considerato anche che “alcuni colleghi di mio marito, tra medici e infermieri, sono deceduti proprio a causa del Covid”. Questo accordo e diverse sentenze hanno aperto una breccia consistente nel muro tecnico-giuridico alzato da chi considera l’infezione da Covid un evento privo delle caratteristiche tipiche dell’infortunio (ovvero derivante da causa esterna, violenta e fortuita) e rappresentano un netto cambio di tendenza della giurisprudenza fin qui riconosciuta.

Infatti, l’ultima sentenza che ha fatto ricadere l’infezione da Covid-19 sotto l’ombrello dell’infortunio è quella del Tribunale di Parma che, il 7 febbraio scorso, ha sostanzialmente confermato l’orientamento dei Tribunali di Torino (n.184/2022), Vercelli (n.383/2022) e Trento (n.102/2022), per cui potrà considerarsi legittima la richiesta di chi, avendo stipulato una personale polizza infortuni, sia stato contagiato riportando conseguenze indennizzabili a termini di contratto.

Arnaldo Iodice



23 marzo 2023
© Riproduzione riservata

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