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Lotta al dolore. Pani (Aifa): "In Italia manca cultura e formazione. A partire dai medici di famiglia"


Oggi a Roma, presso la sede dell’Aifa, il tavolo tecnico promosso da Onda sul dolore. In Italia affligge 12 milioni di persone. Ogni anno si registrano 1.600 neoplasie pediatriche. Ma dal 2009 ad oggi i medici formati in terapia del dolore solo cresciuti solo da 1,2 ogni 250mila abitanti a 1,4.

29 OTT - La legge c’è, ma la sua applicazione nelle Regioni stenta a decollare, colpa anzitutto di una mancata cultura della lotta al dolore, tra gli amministratori, ma anche tra gli operatori sanitari - primi tra tutti i medici di famiglia - e tra i cittadini. Eppure ben 12 milioni di italiani soffrono di una forma di dolore. Circa 1.600 sono i nuovi casi di neoplasie pediatriche diagnosticati ogni anno. Numeri che rendono evidente quanto sia necessario fare di più.

A questo scopo l’Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna (Onda) ha promosso una serie di Tavoli Tecnici Istituzionali volti a promuovere la lotta al dolore e alla creazione di un network di formazione on-line rivolto a medici di medicina generale, resa possibile grazie al contributo del Centro Studi Mundipharma. 
 
L'iniziativa di Onda ha avuto oggi una sede privilegiata: l’Agenzia italiana del farmaco, che ha ospitato il tavolo tecnico del Lazio dopo quello svolto a settembre a Torino per la Regione Piemonte.

“Il dolore è una malattia e deve essere curata”, ha affermato Luca Pani, direttore generale dell’Agenzia Italiana del Farmaco, secondo il quale la carenza di lotta al dolore in Italia è anzitutto “un problema culturale, non economico. Da tempo è iniziato un processo di semplificazione all’accesso a queste cure, ma l’utilizzo di farmaci specifici per la terapia del dolore nel nostro Paese resta tra i più bassi in Europa. E al momento, a livello centrale, non abbiamo percezione di miglioramento”. E così, ha affermato Pani, “ben 1/5 dei pazienti convive con il dolore cronico per oltre 20 anni senza intervenire”. Colpa della mancata informazione dei cittadini, che non si rivolgono ai medici, sicuramente. Ma secondo il direttore dell’Aifa “anche quando questo accade, non sempre i medici intervengono in modo efficace”. Serve, quindi, più informazione, più sensibilizzazione e più formazione, per Pani. Secondo il quale “una campagna dedicata al riconoscimento del dolore dovrebbe essere rivolta anzitutto ai medici di medicina generale”.

La poca attenzione dei medici di medicina generale nei confronti del dolore è “il dato più allarmante, in questo quadro già poco confortante” anche secondo Francesca Merzagora, presidente Onda. “Invece proprio questa figura dovrebbe essere il primo riferimento per la cura del dolore, in quanto in grado di conoscere la storia clinica del proprio assistito, valutare la situazione, impostare una terapia e indirizzare a specialisti, quali anestesista o terapista del dolore, neurologo, fisiatra, reumatologo, o a strutture specializzate sul territorio delle rete regionale”, ha precisato Merzagora ricordando che in Italia ancora un cittadino su quattro soffre di dolore cronico con un grande impatto economico per il paziente e per la società: un incremento dei costi per l’assistenza sanitaria (1,8-2% del PIL annuo) e la riduzione della produttività o assenza dal lavoro. Il 17% tra coloro che soffrono di questa malattia perdono il lavoro e il 28% è costretto a ridurre il proprio livello lavorativo o di responsabilità. “Onda si sente particolarmente vicina a questa problematica poiché il dolore affligge in prevalenza la donna con manifestazioni che da acute, per disinformazione o poca attenzione, degenerano spesso in forme di dolore cronico fra il moderato e il severo”.

Da Sabrina De Camillis, deputata Pdl e presidente dell'intergruppo parlamentare sulla medicina di genere, l’impegno a “proporre una mozione o una risoluzione che impegni il Governo a sollecitare le Regioni ad applicare la legge punendo chi non lo fa". “La legge 38/2010 – ha infatti affermato la parlamentare – è il traguardo normativo ella lotta al dolore, ma solo il punto di partenza della sua applicazione”. E quanto a quest'ultima essenziale fase del percorso, il quadro è secondo De Camillis piuttosto negativo. Basti pensare che “dal 2009 ad oggi il numero di medici specializzati e dedicati alle cure palliative è cresciuto solo da 1,2 ogni 250 mila abitanti a 1,4. C’è ancora molto lavoro da fare”, ha commentato De Camillis.

Dal ministero della Salute Marco Spizzichino, direttore dell'Ufficio XI della Direzione generale programmazione sanitaria, ha segnalato che anche da parte di molte Regioni c’è stata poca attenzione all’applicazione della legge: “Nessuna delibera è stata emanata da ben sei Regioni, tra le quali sono presenti anche alcune cosiddette ‘virtuose’. Si tratta di Toscana, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Campania e Sardegna. La conferma dell’eterogeneità regionale quando si parla di lotta al dolore è, secondo il rappresentante del ministero, confermata dal consumo dei farmaci: “La quota è molto diversificata nel caso degli oppiacei mentre, se si parla di farmaci in generale, il consumo tra le diverse regioni è molto simile”. Spizzichino ha poi sottolineato come più formazione andrebbe fatta, oltre che per i medici, anche nell’area infermieristica e psicologica, “che sono due aspetti fondamentali della gestione del dolore”.

Ma cosa è a rendere così difficile la diffusione della terapia del dolore in Italia? Ci sono barriere di ogni tipo, secondo Massimo Mammucari, esperto in terapia del dolore del Policlinico di Tor Vergata: culturali, pseudoscientifiche – “relative al rischio di abuso e dipendenza dagli oppiacei” -, organizzativo-amministrative e anche legislative, "basti pensare che in molte regioni la rilevazione e il controllo del dolore non è ancora contemplato nelle cartelle cliniche e che esistono regole prescrittivi che limitano l’utilizzo dei farmaci”, ha affermato, sottolineando come vi sia, in particolare, “un troppo diffuso utilizzo dei Fans rispetto agli oppioidi”.
 
Giuseppe Casale, coordinatore sanitario di Antea Onlus (Roma) e membro della commissione nazionale “Cure palliative e terapia del dolore” ha inoltre citato, quali barriere, l’assenza di personale dedicato alla lotta al dolore in molti ospedali, la mancanza di un insegnamento della terapia del dolore a livello di corso universitario di base, il distacco tra ospedale e territorio – “lo sviluppo di quest’ultimo sarebbe la carta vincente, ma ancora oggi troppe risorse e attenzioni vengono riservate all’ospedale e troppo poche al territorio”.

Lo stesso avviene nel Lazio, come ha sottolineato Walter Macino, delegato Fimmg Roma, spiegando che “alle cure domiciliari è dedicato solo l’1% del budget complessivo, a dimostrazione che si tratta di un’area assistenziale trascurata a priori”. Mancino ha poi offerto il quadro del dolore nell’area della Capitale: “722 mila persone soffrono di dolore cronico non oncologico, cioè il 26% della popolazione. Ed il dolore è il principale sintomo che porta i pazienti a ricorrere al pronto soccorso”. Il rappresentante della Fimmg Roma ha poi osservato come, “nonostante il medico di famiglia possa rivestire un ruolo chiave nella diagnosi del dolore cronico, spesso questa sia tardiva, con l’impostazione di trattamenti farmacologici solo dopo lunghi periodi di terapie non appropriate”. Colpa anche “dell’erronea concezione che la terapia del dolore sia solo appannaggio dello specialista in anestesia”. Per Mancino l’obiettivo deve essere la realizzazione di reti regionali atte a garantire la continuità assistenziale – a partire proprio dal medico di famiglia - al cittadino/malato di dolore. “Occorre, a questo punto, per dare una risposta concreta alla lotta del dolore investire sulla medicina del territorio per sgravare le strutture ospedaliere da lunghe liste di attesa e alti costi di gestione, con una partecipazione sempre più diretta di noi medici generali”.

Ma una particolare attenzione deve essere rivolta anche alla pediatria, ha sottolineato Franco Locatelli, responsabile Up di Oncoematologia all’ospedale Bambino Gesù di Roma. “In Italia, ogni anno, si registrano 1.600 nuovi casi di neoplasie in bambini sotto i 15 anni. L’80% di loro sono destinati ad essere lungosopravviventi. È quindi evidente la necessità di dedicare molta attenzione alla lotta al dolore in pediatria, dove agli ostacoli citati si aggiunge la carenza di dati certi sui farmaci e i dosaggi”, ha sottolineato Locatelli. Secondo il quale, anche in pediatria, è necessario “privilegiare l’assistenza domiciliare, creando modelli ospedale-territorio di reale presa in carico”.

Assente all’incontro Giuseppe Scaramuzza, coordinatore del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva, che ha però inviato al tavolo tecnico un messaggio. “La legge 38, in vigore nel nostro Paese dal 2010 è una legge di grande civiltà per la tutela del cittadino e il rispetto della qualità della vita. Abbiamo in mano un ottimo strumento che può salvaguardare la persona da qualsiasi forma di dolore, eppure a distanza di due anni, nonostante le energie profuse dal Ministero della Salute bisogna intensificare ulteriormente gli sforzi per la sua effettiva applicazione. Il nodo critico resta la scarsa informazione al cittadino, ancora poco consapevole dei propri diritti di fronte al dolore, e dei servizi che il territorio può garantire. Il nostro impegno oggi – ha concluso Scaramuzza - è rivolto proprio in questa direzione: consentire a chiunque si trovi in una posizione di fragilità di non mortificare la propria esistenza con una sofferenza, inutile, aggiunta al dolore”.

La presidente di Onda, Francesca Merzagora, ha chiuso i lavori annunciando che gli interventi raccolti nel corso dei tavoli tecnici saranno la base per l’elaborazione di un documento finale per la promozione della lotta al dolore.
 

29 ottobre 2012
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