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Farmaci biosimilari: troppo ampio il gap con l’Europa


I forti risparmi conseguibili con il ricorso ai medicinali biotecnologici a brevetto scaduto, consigliano di incentivare il loro utilizzo, superando dubbi e perplessità sulla loro efficacia e sicurezza. Che, peraltro, è garantita dal complesso processo registratorio che gli organi regolatori  italiani ed europei impongono per autorizzarli al commercio.

06 APR - Nel nostro Paese, a tre anni dall’introduzione in commercio dei primi farmaci biotecnologici a brevetto scaduto, sono ancora forti le resistenze al loro utilizzo. Solo un paziente su 1000  viene curato con epoetina biosimilare e solo cinque su 100 con filgrastim biosimilare. Nel  resto d’Europa la situazione è ben diversa: nel Regno Unito, oggi, il 63% di filgrastim dispensato dal Nhs (National Health Sistem) è biosimilare; e in  Germania e Francia le percentuali di utilizzo sono, rispettivamente del  41 e del 29%.
A renderlo noto è un comunicato di Teva Italia che ha voluto richiamare l’attenzione sui forti risparmi che il Ssn potrebbe ottenere ricorrendo ai biotecnologici biosimilari. Risparmi che, tra l’altro, potrebbero davvero diventare più che sostanziosi se si considera che nei prossimi anni un notevole numero di molecole di biotecnologia vedranno scadere la loro protezione brevettuale.
“Se guardiamo i dati di utilizzo in Italia – spiega, nel comunicato, Sandro Barni, direttore Oncologia medica dell’Azienda Ospedaliera Treviglio-Caravaggio – ci rendiamo conto che l’oncologo non ha ancora pienamente accolto l’introduzione dei farmaci biosimilari oggi in commercio, ossia i fattori di crescita per i globuli bianchi e per i globuli rossi. A questo proposito, va ricordato che i biosimilari  sono farmaci “nuovi” sui quali, nel nostro Paese, non esiste ancora un’esperienza clinica diffusa. Si può dunque pensare che il ritardo di introduzione sia dovuto non solo a dubbi sulla sicurezza di tali farmaci, peraltro garantita dagli organismi di controllo europei, ma anche alla legittima necessità del clinico di poter scegliere i farmaci in base alla propria esperienza. Questo significa che, se un paziente già in trattamento ha risposto bene alla terapia con un originatore, il medico preferirà continuare a utilizzare quel farmaco, mentre potrà scegliere un biosimilare per i nuovi pazienti, in modo da verificare, di volta in volta, la risposta terapeutica. Probabilmente, come successo in Paesi quali Regno Unito e Germania, nel futuro l’utilizzo di tali farmaci si diffonderà sempre di più ma, perché questo succeda, è necessario l’impegno e collaborazione da parte di tutti: sanitari, azienda, organi regolatori e media che facciano cultura in modo responsabile e chiaro.”
I dubbi che vengono da più parti manifestati sulla sicurezza ed efficacia dei farmaci biotecnologici biosimilari, rispetto ai loro originatori. Non hanno ragion d’essere. “Proprio perché un biosimilare non è la copia esatta di un biologico originatore”. A spiegarlo è Armando Genazzani, docente di Farmacologia della facoltà di Farmacia dell'Università del Piemonte Orientale. “Per ottenere l’approvazione degli organi regolatori, il farmaco deve seguire l’intero percorso imposto dall'agenzia regolatoria europea (EMA), secondo modalità precise. L'azienda che intende produrre un farmaco simile a uno il cui brevetto sta per scadere deve, innanzitutto, ottenere una molecola biologica (ossia una proteina) simile a quella che si vuole copiare. Una volta ottenuta e purificata, questa va sottoposta a valutazioni fisiche e chimiche per accertarne la similarità con quella dell'originatore. Se supera questi esami, viene sperimentata sugli animali per valutarne l'attività biologica. Se anche questa fase è positiva, si passa agli studi sull'uomo, che devono coinvolgere un numero sufficientemente alto di persone e che confrontano il biosimilare con l'originatore: prima la molecola viene studiata su volontari sani (studi di fase I) poi, se i risultati lo consentono, su volontari malati (studi di fase III). Questo iter dura dai tre ai sette anni: l’approvazione si basa sul parere scientifico positivo dell'Agenzia Europea per i Medicinali (Ema) dopo la valutazione dei dati forniti. Pertanto, tutti i farmaci biosimilari ottengono l’autorizzazione all’immissione in commercio solo dopo una valutazione rigorosa ed approfondita dei relativi dati di registrazione.”
"I farmaci biotecnologici biosimilari” aggiunge Marco Castino, direttore Hospital & Specialties Business di Teva Italia “sono opzioni terapeutiche altrettanto efficaci, sicure e di qualità rispetto al farmaco biotecnologico originatore di cui è scaduto il brevetto. L'introduzione di sei prodotti biotecnologici a brevetto scaduto comporterebbe, per l’UE un risparmio di almeno il 30% di spesa, pari a circa 2,4 miliardi di euro all’anno. In Italia, secondo recenti proiezioni, un maggior ricorso a questi medicinali nei prossimi 10 anni, potrebbe produrre un risparmio progressivo per il Ssn di più di 200 milioni di euro nel 2015, fino a 500 milioni di euro nel 2020.  Quindi, pur restando lontanissimi dal 40% di utilizzo del farmaco biosimilare, già in essere in un Paese di riferimento come la Germania, complessivamente, le aziende sanitarie risparmierebbero già il 3-4% sulla spesa complessiva per i farmaci".

06 aprile 2011
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