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Covid. Noi medici e il dovere di non tacere quando è ora di parlare

02 NOV - Gentile Direttore,
non credo occorra scomodare Riccardo III per capire che l’inverno del nostro scontento non solo non è reso estate gloriosa, ma incombe alle nostre porte. Se pensavamo di aver visto e superato il peggio la scorsa primavera, beh ci sbagliavamo.
 
Partendo dal fatto che la scorsa tornata, la nostra è stata la seconda regione più martoriata, ora ci troviamo, ma temiamo ancora per poco, in una posizione intermedia, nella quale il rischio di caduta è dietro l’angolo. Ed una nuova sconfitta sarebbe inaccettabile, ma ve ne potrebbero essere più di una.
 
La prima grande sconfitta, sarebbe dover rinunciare a curare tutte le patologie, trasformando nuovamente interi presidi in Covid Hospital.
 
La seconda e ben peggiore, sarebbe trovarsi di nuovo come la scorsa primavera senza risorse strutturali, strumentali ed umane, per curare adeguatamente tutti gli ammalati di Covid, arrivando ai tassi di mortalità che tutti quanti abbiamo indelebilmente stampato nella memoria.
 
Il contesto attuale è per molti versi differente, in certi casi una differenza positiva, visto che qualche informazione in più l’abbiamo, ma vi sono alcuni importanti aspetti negativi, quale ad esempio il venir meno della coesione sociale di quei mesi e la frattura che si sta creando tra chi difende comprensibilmente il fatturato e chi conosce i pericoli della rapida diffusione del virus, aspetti che non vanno trascurati (certe aggressioni squadriste, certi attacchi ingiustificati sui social, la diffusione del negazionismo).
 
Un ulteriore e non trascurabile fenomeno negativo è il senso di scoramento ed abbandono che coglie chi ha affrontato “a mani nude” il virus sia sul territorio che negli ospedali e si trova a dover rivedere un film già visto e nemmeno nella versione Director’s cut.
Occorre allora che le energie di tutti si concentrino positivamente nella ricerca di soluzioni attuabili nel più breve tempo possibile e con i mezzi realisticamente a disposizione.
 
Un primo importante punto sarebbe che, almeno all’interno di una stessa regione, ma sarebbe ovviamente auspicabile che questo avvenisse su tutto il territorio nazionale, si potesse disporre di indicazioni chiare, certe e condivise, in relazione ad alcune fasi cruciali della attività:
• criteri di ammissione e dimissione, non tanto per i pazienti critici quelli li conosciamo, ma per i positivi asintomatici o paucisintomatici: terapia si o no e quale; a chi affidare il monitoraggio al domicilio e quindi chi contattare, con certezza di risposta, in caso di bisogno di chiarimenti o peggioramento. Ad oggi non credo esista nulla di comune e condiviso;
 
• criteri di gestione dei sanitari contatti diretti non di pazienti, ma di conviventi o congiunti: anche qui è un terno al lotto;
 
• pianificazioni e mantenimento del piano dichiarato nel tracciamento dei sanitari: ogni quanto, e con che sistema (tampone, sierologico, entrambi) e come e quando intervenire in via straordinaria se contatti di altri o sintomatici;
 
• gestione dei focolai intraospedalieri, inutile illudersi che non ce ne saranno: chiudere come e quando;
 
• criteri per la gestione degli isolati al di fuori dell’ospedale (auspicabile per tutti gli asintomatici): cosa fare per chi non ha la possibilità di effettuare un buon isolamento al domicilio, magari perché il domicilio non ce l’ha; cosa fare per chi non vuole rispettare l’isolamento (a chi segnalare, chi interviene, con che tempistica) non potendo essere questa azione, eventualmente coercitiva, in capo ai sanitari; disporre di strutture recettive certe e mezzi di trasferimento se non H24 almeno H12, sette giorni su sette visto che nel fine settimana, tutto ciò che è extra-ospedaliero spesso chiude e la pressione su PS e reparti è massima.
 
Ecco, ritengo che ciascuno di noi, avrebbe diritto di ottenere indicazioni chiare su questi pochi punti e per questo auspichiamo che vi sia una centralizzazione delle decisioni. Non è certo tempo di estemporaneità.
 
Concluderei ora con la più spinosa delle questioni, ovvero l’ingaggio di professionisti stanchi, anziani (siamo i più anziani d’Europa) e con peculiarità assunzionali così differenti. Ognuno deve fare la sua parte, senza tentennamenti e senza nascondimenti. In sicurezza e nella massima tutela, che ci sono dovute. Non siamo martiri, non siamo eroi, non siamo missionari e senza di noi si muore. Non possiamo restare nelle condizioni di scagliarci gli uni contro gli altri.
 
Occorre una diversa visione del territorio che deve e ribadisco deve arginare il virus, tornando in massa a diagnosticare e curare a casa le persone o gli ospedali diventeranno dei lazzaretti dove si muore di Covid e non si curano le altre importanti patologie.
 
Occorre e “se non ora quando” una riforma del SSN, che preveda una diversa compenetrazione tra chi opera dentro e chi fuori dagli ospedali, solo la conoscenza dell’operato degli uni e degli altri permetterà una solida presa in cura delle persone, senza sprechi, ridondanze o peggio abbandoni in territori di nessuno.
 
Occorre che l’Università diventi parte integrante di questa attività di arginamento, riconoscendo agli specializzandi il diritto di lavorare (se previsto dalla legge) e formarsi lavorando negli ospedali e nei territori. Non sono studenti, sono professionisti che si stanno specializzando!
 
Occorre che il privato accreditato, non rimanga esclusivamente il luogo in cui si svolgono attività programmate e remunerative, ma che si faccia carico anche di interventi urgenti se non emergenziali, rinunciando alla possibilità di scelta che al servizio pubblico è negata.
 
Occorre che i circa 24000 (anche qui dato nazionale) laureati ed abilitati, di cui metà in attesa di conoscere il proprio destino di aspiranti specializzandi e l’altra in attesa di parcheggiarsi in qualche attività sottovalutata professionalmente e sottopagata, arrivino il più in fretta possibile, senza contratti capestro, a dar manforte negli ospedali e sul territorio, affiancando specialisti, medici di medicina generale e pediatri di libera scelta. Ci sosterrebbero, ci sgraverebbero ed inizierebbero a formarsi. I giovani sono la linfa vitale di qualsiasi sistema. Su come assumerli, spremiamoci insieme le meningi per trovare la soluzione la meno burocratica possibile. Non cadiamo nel tranello in cui sono caduti con i concorsi per i docenti: un migliaio o poco più alla volta con 64.000 candidati. Chiudere le scuole è un dramma ed avremo sulla coscienza le conseguenze di non aver saputo fare di meglio. Non trovarci nelle condizioni di curare tutti sarà un crimine contro l’umanità.
 
L’ho detto una volta e lo ripeto, non voglio avere consapevolezza di aver taciuto quando era ora di parlare. Noi ci siamo come sempre. Attendiamo risposte.
 
Ester Pasetti
Segretaria Anaao Assomed Emilia Romagna
 


02 novembre 2020
© Riproduzione riservata

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