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La salute mentale di fronte alla sfida dei vecchi e dei nuovi diritti

La riforma del 1978 si fondava sul principio che non c’erano “malati psichici” da escludere dalla società, ma persone dotate di diritti inalienabili, che non potevano essere ulteriormente compressi o negati. Quaranta anni dopo, è evidente a tutti che la “malattia” è uscita prepotentemente dalla parentesi

16 NOV - L’articolo di Ivan Cavicchi, ripreso dal successivo intervento di Fabrizio Starace si conclude con l’invito ad una ”riforma altra”, che rispetti e rilanci le coordinate essenziali della riforma del 1978 (come fa il DDL Dirindin), ma che si traduca in una “operazione di ri-contestualizzazione”, che sia in grado di intercettare le istanze del contesto attuale.
 
La riforma del 1978 si fondava sul principio che non c’erano “malati psichici” da escludere dalla società, ma persone dotate di diritti inalienabili, che non potevano essere ulteriormente compressi o negati. Una delle lezioni basagliane era molto semplice: la “malattia mentale” andava messa tra parentesi e valeva unicamente la dimensione della “persona” dotata di diritti. Quaranta anni dopo, è evidente a tutti che – soprattutto nel percorso di formazione dei futuri professionisti della salute mentale - la “malattia” è uscita prepotentemente dalla parentesi. I diritti fondamentali su cui si era sviluppata la battaglia politica degli anni 70 non sono finiti semplicemente in secondo piano: sono tornati ad essere spesso compressi, o negati.

Nei giorni scorsi, ho partecipato all’incontro degli SPDC “No restraint” che si è tenuto a Carpi, nell’ambito di Màt, settima edizione della Settimana della Salute Mentale. L’incontro di Carpi ha messo in evidenza che questo è un Club ancora per pochi (anche se il numero dei soci sta crescendo). I diritti fondamentali che la legge 180 aveva sancito, come quello alla scomparsa della contenzione meccanica, sono disattesi nella maggioranza delle Regioni italiane, anche se alcune di esse minimizzano o negano l’esistenza di questa “cattiva pratica” (che non trova spazio nelle statistiche di alcune Regioni, anche se presente e diffusa nella pratica).

E’ scontato che quei diritti vanno rimessi al centro delle pratiche quotidiane dei Servizi (e della formazione dei futuri professionisti), ma è altrettanto chiaro che la “ri-contestualizzazione” a cui ci richiama Cavicchi coincide con il riconoscimento e la tutela attiva dei nuovi diritti che i movimenti degli utenti e delle famiglie stanno, da almeno 10 anni, ponendo al centro delle loro proteste e delle loro proposte. Mi riferisco, soprattutto, a quei movimenti od associazioni che non hanno accettato finanziamenti dai più potenti portatori di interessi, mantenendo un profilo di indipendenza teorica e propositiva (come il Movimento degli Uditori di Voci).

Quali sono questi “nuovi diritti”?
a. Il diritto a non essere esclusi dalle decisioni che ti riguardano, a non essere oggetti passivi di decisioni autoritarie, o paternalistiche. Vi è molto interesse, in questo momento, per approcci – come il Dialogo Aperto – che considerano essenziali le decisioni condivise (con il diretto interessato, i suoi familiari e le persone più importanti della rete extrafamiliare), ma esistono anche altri modelli di contrattualizzazione delle strategie e delle priorità. Nel dibattito italiano, le Direttive Anticipate di Trattamento sembrano riguardare solo le decisioni sul fine vita, ma in molti Paesi (compresa la vicinissima Svizzera) esse vengono utilizzate – dalle Associazioni degli Utenti della salute mentale - per vedersi garantite soluzioni concordate, in largo anticipo, in caso di episodi critici, evitando trattamenti coercitivi e pratiche come la contenzione meccanica.
 
b. Il diritto a vedersi garantite aspettative favorevoli da parte dei professionisti della salute mentale, anziché ricevere messaggi che seminano disperazione (come nel caso in cui si alimenta un’analogia, totalmente infondata scientificamente, ma estremamente popolare tra i professionisti, tra disturbi schizofrenici e diabete). In alcuni documenti recenti (RER, 2013, RER 2016) le aspettative favorevoli vengono ora indicate come un ingrediente essenziale dei percorsi di trattamento dei Disturbi Gravi di Personalità e degli esordi psicotici. Ron Coleman, a nome del movimento degli utenti, lo definisce, semplicemente, come il riconoscimento del “diritto alla guarigione”.
 
c. Il diritto a vedere rispettate le proprie preferenze, che puntano – nella maggioranza dei casi - ad una comprensione della propria sofferenza, anziché al silenziamento farmacologico dei “sintomi”. Una recente inchiesta della Doxa (Munizza, 2010) ha confermato in modo netto che, in caso di depressione, gli italiani preferiscono ricevere un’offerta di interventi psicologici, anziché i farmaci (su cui nutrono seri dubbi). Una operazione necessaria di ri-contestualizzazione non può eludere l’attuale incapacità del Sistema Sanitario Nazionale a rispondere a queste esigenze di psicoterapia. Altri sistemi sanitari, come quello inglese o quello australiano, hanno già messo i medici di medicina generale nella possibilità di prescrivere, in caso di depressione, otto sessioni di psicoterapia cognitivo-comportamentale (anche online) o 24 sessioni di attività fisica in palestra (in una rete di palestre convenzionate).
 
d. Il diritto a non essere frammentati, attraverso la scomposizione della domanda e l’invio a molti servizi, che spesso non comunicano tra loro o che si impegnano in estenuanti battaglie sul quale sia il servizio più “competente”. Questi nuovi muri, tra i Servizi, sono spesso invalicabili come quelli manicomiali. E’ difficile parlare di trattamenti integrati, quando sono integrabili solo gli interventi che offre il mio Servizio e non è, invece, integrabile l’intervento qualificante di un altro Servizio, che può essere vicinissimo, ma reso lontanissimo dal filo spinato della “competenza”. Jaakko Seikkula e Tom Arnkil, nella loro proposta di metodi dialogici (per i Servizi sanitari e sociali), definiscono queste barriere tra i Servizi “un problema diabolico” (2013). Non a caso, la radice etimologica di “diavolo” rimanda al concetto del creare divisioni, del seminare zizzania. L’abbattimento di questi muri non è meno importante della caduta di quelli di 40 anni fa. Può essere semplicemente un sogno, ma talora immagino un servizio (che definirei poroso), con confini basati solo sul retroterra formativo di chi ci lavora, che accolga ogni nuova richiesta con un messaggio semplice: “Lei ha telefonato nel posto giusto: Mi spieghi qual è il problema …” e che si preoccupi di organizzare il primo incontro con la famiglia (anche a domicilio) e di coinvolgere rapidamente gli operatori di tutti i servizi, sanitari e sociali, che siano utili nella fase di valutazione iniziale (CSM, SERT, NPI, Servizi Sociali, Servizi per l’Adolescenza) di quella specifica situazione e nel successivo percorso, terapeutico e/o assistenziale.
 
Purtroppo, la compressione di questi nuovi diritti è molto frequente e diffusa. Visto che sono partito dalla contenzione meccanica, potrei parlare, per la compressione di questi nuovi diritti, di “contenzione decisionale”. L’esclusione dei diretti interessati dalle decisioni che li riguardano non può più essere mascherata dietro l’assunto del buon operatore “democratico”, che tutela i diritti dei suoi assistiti “a prescindere” (anche dal loro consenso!).

Ho cercato di indicare, per ognuno di questi diritti, alcune proposte che li potrebbero rendere concretamente esigibili nel contesto reale del Sistema Sanitario italiano. Sono proposte che potrebbero incidere positivamente anche sui costi economici: l’adozione delle Direttive Anticipate potrebbe avere un impatto significativo sulla frequenza dei trattamenti sanitari obbligatori (e sul consumo di risorse che ne deriva), ma avrebbe un impatto decisivo sulle relazioni familiari, in presenza di disturbi che vanno incontro a recidive molto destabilizzanti. Il Ministero della Salute ha già finanziato un progetto di implementazione del Dialogo Aperto in Italia, ma è necessario ampliare rapidamente la platea dei professionisti formati. La disponibilità routinaria di interventi non farmacologici di dimostrata efficacia potrebbe evitare l’avvio, o limitare la durata, di trattamenti farmacologici inappropriati, che hanno solo un inizio e non hanno mai una fine.

Nel caso dei Dipartimenti di Salute Mentale, tali diritti possono diventare esigibili – a mio personale avviso - se le Associazioni dei Familiari e degli Utenti entreranno nei Servizi e nei processi decisionali che ne organizzano l’offerta. E’ necessario avviare un’analisi di cosa abbia finora impedito una loro presenza nella progettazione e nella valutazione degli interventi offerti, oltre che una loro presenza quotidiana nei Servizi, come operatori alla pari.
Se la ri-contestualizzazione di cui parla Cavicchi è certamente una sfida, una parte di questa sfida - per gli operatori ed i responsabili che si riconoscono nella riforma psichiatrica del 1978 – è sicuramente questa: passare dalla posizione di paladini/patrocinatori dei diritti degli assistiti a soggetti disponibili a negoziare alla pari: le priorità, gli interventi, la dose e la durata dei trattamenti, le opzioni abitative e molto altro.
 
Giuseppe Tibaldi
Consiglio Direttivo della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica

 
Riferimenti bibliografici o sitografici
1. I. Cavicchi “La salute mentale è alla deriva. Ma dopo 40 anni, la 180 è ancora da “attuare” o da “riformare”? Quotidiano Sanità, 2.10.2017
http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=54277
2. F. Starace “Salute Mentale. Ddl Dirindin Manconi ottimo strumento di lavoro. Ma serve un confronto”. Quotidiano Sanità, 13.10.2017
http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=54758
3. I. Cavicchi “C’è un futuro per la Legge 180?” Quotidiano Sanità, 16.10.17 http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=54786
4. Associazione Club No Restraint https://it-it.facebook.com/associazioneclubSPDCnorestraint/
5. E tu slegalo subito https://it-it.facebook.com/etuslegalosubito/
6. Servizio Salute Mentale, Dipendenze Patologiche e Salute nelle Carceri. Regione Emilia Romagna “Linee di indirizzo per il trattamento dei Disturbi Gravi di Personalità”, 2013
7. Servizio Salute Mentale e Dipendenze Patologiche. Regione Emilia Romagna “Raccomandazioni regionali per la promozione della salute e del benessere in persone all’esordio psicotico”, 2016
8. C. Munizza et al. “Public Beliefs and Attitudes towards Depression in Italy: a National Survey” PLoS ONE 8(5), 2013: e63806. doi:10.1371/journal.pone.0063806
9. J. Seikkula & T. Arnkil “Metodi dialogici nel lavoro di rete”, Erickson, 2013
 


16 novembre 2017
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