Legge 180. L’allarme degli psichiatri: “In 40 anni curati 29 mln di italiani senza manicomi, ma senza risorse questo non basta più”
Siamo al 20° posto in Europa come numero di psichiatri e come spesa per la salute mentale (circa il 3,5% della spesa sanitaria), a fronte di numeri doppi o tripli di Francia, Germania e Regno Unito (10-15%). In 14 Regioni il personale è al di sotto degli standard previsti dalla legge. A 40 anni dalla legge Basaglia, sottolinea la Società italiana di psichiatria “L’Italia deve recuperare le posizioni che merita”
09 MAG - Sono 800 mila ogni anno le persone assistite nei Dipartimenti di Salute Mentale, con 370 mila nuove visite per problemi legati alla psiche. Numeri destinati ad aumentare: secondo le stime dell’Oms, tra poco più di 10 anni, le malattie mentali sorpasseranno quelle cardiovascolari e si posizioneranno al primo posto nel mondo. Eppure, nonostante numeri e previsioni, l’area della salute mentale rimane ancora una cenerentola. L’Italia, tra i paesi Ocse, si posiziona al 20° posto come numero di psichiatri per 100mila abitanti, al 14° come psicologi e come infermieri (sempre dati Oms). E anche anche sul fronte della spesa investita rimaniamo fermi in 20^ posizione. Secondo i dati Ministeriali (relativi al 2015 e 2016) il budget medio nazionale per la salute mentale è del 3,5%, a fronte di stanziamenti in Paesi Europei come Francia, Germania e Regno Unito compresi fra il 10 e il 15%. Per non parlare del problema della sicurezza degli operatori.
A poco meno di quaranta anni dall’approvazione della legge 180 (il 13 maggio la rivoluzionaria legge Basaglia festeggerà il suo anniversario) e circa venti milioni di italiani curati e seguiti senza bisogno di manicomi,
la Società Italiana di Psichiatria, oggi a Roma a Montecitorio, lancia l’allarme: servono più risorse e personale per fare fronte a una malattia in crescente ascesa e continuare così il lavoro iniziato da Basaglia.
In 14 Regioni il personale è al di sotto degli standard previsti dalla legge, soprattutto nel Centro Sud. Mancano professionisti a tutti i livelli: medici, psicologi, assistenti sociali ed educatori/tecnici della riabilitazione. Soprattutto, a causa dell’aumento dei carichi di lavoro pro capite, i livelli di stress tra il personale crescono a dismisura. Per non parlare dell’assenza di sicurezza, che non è più possibile garantire nei dipartimenti e nei centri di salute mentale, cosi come nelle Rems e al pronto soccorso. Non solo, le cure più innovative restano appannaggio solo di una quota ristretta di pazienti, a causa della mancanza tra gli specialisti di una formazione ad hoc.
“La psichiatria ha bisogno di capitale umano formato – ha sottolineato
Bernardo Carpiniello, presidente della Società Italiana di Psichiatria (Sip), professore ordinario e direttore del dipartimento di psichiatria all’Università di Cagliari – perché il punto di forza è la relazione emozionale con i pazienti. Soprattutto abbiamo bisogno di un nuovo progetto obiettivo nazionale che dia un’omogeneità tra le Regioni”.
I contorni delle malattie mentali. “Attualmente – ha spiegato
Carpiniello – il 20% circa della popolazione afferente ai Dipartimenti di Salute Mentale italiani è costituta da persone affette da schizofrenia o altri disturbi mentali dello spettro psicotico. Il resto è costituito per circa il 31% da disturbi dell’umore (depressione maggiore 23,5 e disturbo bipolare 7,5%), il 13,5% da patologie comunemente indicate come disturbi nevrotici (quali disturbo ossessivo compulsivo, da stress post-traumatico, di panico o da ansia generalizzata, fobici, o somatoformi)”.
Una quota significativa, prosegue l’esperto, è costituita da altre patologie in crescente ascesa come “i disturbi di personalità (circa il 7%, spesso in comorbidità con altri disturbi mentali), da altri disturbi psichici e da uso di sostanze (circa il 18%), da quelle ‘tradizionali’ quali alcol, eroina, cocaina, cannabis, a quelle ‘nuove’ quali cannabinoli e psicostimolanti sintetici, e dalle cosiddette dipendenze comportamentali (circa il 4,5%). Una novità di questi ultimi anni riguarda le problematiche psichiche legate alla popolazione immigrata, in crescente ascesa che, in alcune Regioni Italiane, soprattutto nel Centro Nord, raggiunge circa il 10% della utenza totale”.
Personale carente. Il personale che lavora nei servizi di salute mentale italiani (psichiatri, psicologi, assistenti sociali, infermieri, educatori e tecnici della riabilitazione, amministrativi), conta circa 31 mila persone. Ma lo standard complessivo di personale previsto per Legge (PON Salute Mentale 2000) è di 1 operatore ogni 1.500 abitanti (tra l’altro un numero definito, e mai più modificato, nel 1994), ma la media nazionale effettiva è 0,94 (6% in meno). Su 21 Regioni e Province autonome, in 14 si è al di sotto dello standard, specialmente nel centro sud (in 3 aree vi è una carenza del 50% o più del personale, e in 6 Regioni si riscontra una carenza compresa fra il 25 e il 40%). Ma le carenze numeriche sono a tutti i livelli, con maggiore evidenza per le figure dei medici, psicologi, assistenti sociali ed educatori/tecnici della riabilitazione.
Per gli psichiatri, con grandi principi, ma senza risorse, è difficile fare la storia, pur di fronte ad un passo straordinario come l’abolizione dei manicomi. E a poco servirà anche l’altra grande iniziativa di istituire le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), che hanno spazzato via gli Opg. “Se 40 anni fa – sottolinea quindi
Claudio Mencacci, che dirige uno dei più grandi dipartimenti italiani (e non solo) di neuroscienze e salute mentale, quello dell’ASST Fatebenefratelli-Sacco di Miano – la decisione di abolire i manicomi fu prima di tutto un gesto politico che giunse in coda ad altre battaglie per i diritti civili, una scelta per aiutare i ‘malati dimenticati’ e che ha portato l’Italia ad esempio nel mondo, oggi serve ben altro per continuare il lavoro iniziato dal prof. Basaglia. A poco servirà anche l’altra grande iniziativa di istituire le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), che hanno spazzato via gli Opg. Noi restiamo ben saldi nei principi, e guardiamo al futuro della salute mentale degli italiani. Ma oggi – ha aggiunto – serve mettere nelle condizioni medici e operatori di poter assistere, curare, gestire quelli che potremmo considerati i pazienti più fragili in assoluto. E le loro famiglie, che vivono condizioni di vita difficilissime, spesso drammatiche. Di paura e di solitudine. Senza parlare del problema sicurezza, nelle zone di pronto soccorso e nei dipartimenti di salute mentale, che vedono in costante pericolo gli operatori”.
“Dopo 40 anni – aggiunge
Enrico Zanalda, segretario nazionale della Società Italiana di Psichiatria e direttore del dipartimento di salute mentale dell’Asl Torino 3 – possiamo ribadire che il sistema dei servizi di salute mentale italiano, unico in Europa senza ospedali psichiatrici, è tra i pochi ad essere interamente appartenente al Ssn, e ha la legislazione più liberale in termini di limitazione della libertà individuale, tramite l’Accertamento Sanitario Obbligatorio e il Trattamento Sanitario Obbligatorio. Anche dal punto di vista dei contenuti normativi sul ricovero coatto in ospedale, la 180 non mostra l’età che ha e le procedure risultano tutt’ora moderne. Viene posta in evidenza la sola presenza della malattia mentale e non della pericolosità e vengono garantiti tre livelli di controllo: livello sanitario (due medici), livello amministrativo (Sindaco) e livello giuridico (Giudice Tutelare). Siamo convinti che il maggior merito di questa legge fu proprio quello di circoscrivere l’intervento psichiatrico forzoso alla patologia mentale, e non al comportamento ‘pericoloso’, abolendo il concetto di ‘pericoloso a sé o agli altri o di pubblico scandalo’ che caratterizzava il precedente ricovero coatto in manicomio. Ha inoltre escluso dal procedimento attuativo la necessità dell’intervento delle forze di Pubblica Sicurezza”.
Un altro tema chiave è la formazione delle nuove generazioni di specialisti, che devono essere oggi pronti ad affrontare condizioni e situazioni psichiatriche radicalmente mutate rispetto agli scorsi decenni, come l’uso di nuove sostanze stupefacenti, molto più aggressive, nella popolazione più giovane, i problemi legati alla transculturalità, all’alimentazione, all’invecchiamento della popolazione. “La situazione italiana, radicalmente diversa dagli altri paesi anche vicini a noi – spiega
Massimo Di Giannantonio, presidente del Collegio degli ordinari di psichiatria e professore ordinario al dipartimento di neuroscienze dell’Università di Chieti-Pescara – deve essere risolta attraverso l’attivazione di nuovi strumenti terapeutici e cure (che oggi possono essere somministrate anche una sola volta ogni tre mesi, aiutando il paziente a seguirle in modo perfetto) e attraverso il supporto ad azioni sociali, già operative: dagli affidi famigliari (accoglienza del paziente in cura, naturalmente stabilizzato), della cooperazione (organizzazioni in cui i pazienti si mettono insieme e, con la supervisione degli operatori, entrano dalla porta principale nel mondo del lavoro), dei gruppi di auto aiuto. Tutte soluzioni che abbiamo già dimostrato possono ampiamente dare una risposta alternativa al tradizionale ospedale psichiatrico, e che richiedono risorse e impegno, che non ci sono come dovrebbero, da parte delle Istituzioni nazionali e locali”.
Insomma gli psichiatri italiani sono allo stremo. E per vari motivi. “C’è sempre meno disponibilità di personale in un settore in cui la cura è basata sulla relazione terapeutica e il capitale umano è dunque essenziale – ha aggiunto Carpiniello – poi perché il carico di lavoro pro capite sta aumentando creando sul personale livelli di stress non tollerabile, a cui si aggiunge quello correlato al fatto che si arriva non raramente a rischiare la vita per l’assenza di sicurezza (che non è più possibile garantire nei dipartimenti e nei centri di salute mentale, cosi come nelle Rems e al pronto soccorso); infine perché le cure più innovative, che richiedono un congruo numero di operatori con specifiche competenze che non abbiamo, restano appannaggio solo di una quota ristretta di pazienti, mentre devono essere negate alla maggioranza, nonostante ve ne sia reale necessità. Se le nuove cure non possono essere utilizzate, come invece avviene ormai da anni, per esempio, in ambito oncologico, rischia di essere limitativo vantarsi di aver compiuto un grande e sacrosanto atto di civiltà per aver abolito i manicomi. Questo è stato certamente un indiscutibile merito, ma dovrebbe essere un atto di civiltà altrettanto grande garantire oggi le cure migliori, in strutture adeguate e con personale in numero sufficiente”.
“L’Italia in questi 40 anni – conclude
Stefania Pezzopane, oggi deputata Pd e già Senatrice nella scorsa legislatura – ha saputo darsi un sistema di tutela della salute mentale che è giustamente considerato, a livello internazionale, come un modello da seguire. La mia città L’Aquila, è stata in tutti questi anni laboratorio di una lungimirante applicazione della riforma Basaglia. Questo ovviamente non vuol dire che non si debba prendere atto, a partire dal mondo politico, delle carenze e dei vuoti da colmare e dei bisogni da soddisfare. Molto è stato fatto, anche in quest’ultima legislatura, cosi come sono molte le iniziative che la politica dovrebbe programmare con più convinzione, a partire da una seria lotta allo stigma (finanziata adeguatamente dalla Stato così come è avvenuto in altri paesi europei), o promuovendo politiche più incisive di integrazione, mirate al reinserimento sociale e lavorativo delle persone affette da disturbi mentali gravi. Anche le famiglie avrebbero bisogno di maggiore sostegno. Senza contare la necessità di finanziare finalmente in modo adeguato i servizi di salute mentale e la ricerca, in un settore sino ad oggi davvero troppo trascurato, ma fondamentale, della sanità pubblica”.
(Es.M.)
09 maggio 2018
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Lavoro e Professioni