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L’inutile contesa dei ruoli: voltiamo pagina nell’interesse del sistema e dei cittadini

06 MAR - Gentile Direttore,
assistiamo all’ennesimo attacco nei confronti della professione di fisioterapista da una parte della fisiatria italiana. Un dibattito che sembra non esaurirsi mai e che, purtroppo, appare più come un’inutile contesa di ruoli piuttosto che un confronto costruttivo sulle reali esigenze del sistema sanitario e dei pazienti.

Il continuo tentativo di delegittimare la fisioterapia, riducendola a una semplice esecuzione di indicazioni mediche, è al contempo visione anacronistica e lontanissima dalla realtà oggettiva.

Negli ultimi anni la fisioterapia ha fatto passi da gigante, affermandosi come disciplina autonoma, basata su evidenze scientifiche solide e con un ruolo chiave nella gestione delle patologie croniche e muscoloscheletriche. È cambiato anche il bisogno di salute dei cittadini, e la crescente prevalenza di patologie croniche ha richiesto un approccio sempre più multidisciplinare e integrato: è ormai chiaro che le vecchie gerarchie non rispondono più alle necessità attuali e che le professioni sanitarie si qualificano sul campo, dimostrando la loro utilità per la società.

L’ultimo attacco da parte di ANF, scatenato dalla pubblicazione di uno studio GIMBE che analizza modelli di presa in carico alternativi in ambito muscoloscheletrico, è l’ennesimo tentativo di mantenere un ruolo egemonico, anziché confrontarsi sul merito delle questioni.

L’uso di fallacie argomentative per screditare un intero corpo professionale non è solo intellettualmente perdente, ma tradisce una preoccupante resistenza al cambiamento. Non è compito mio difendere il modello scientifico dello studio, ma la dichiarazione della dott.ssa Nicoletta Sias, secondo cui lo studio in questione avrebbe coinvolto un “numero esiguo di casi” (quando in realtà sono quasi 60.000 i pazienti compresi dallo studio) è un’affermazione fuorviante. Per non parlare delle accuse di “incompetenza” rivolte ai fisioterapisti e del tentativo di denigrare il nostro codice deontologico. Ricorrere a questi espedienti retorici conferma la povertà di argomentazioni e la natura pretestuosa delle critiche sollevate.

Sarebbe anche interessante approfondire il concetto di "diagnosi funzionale", dal momento che la rappresentate di ANF lo definisce come il momento di “massima espressione” della specificità del fisiatra, senza peraltro fornire ulteriori chiarimenti (eppure, nella mia esperienza professionale avendo visionato centinaia di prescrizioni fisiatriche, resto nel dubbio).

Al contrario, la valutazione funzionale è una competenza chiara e imprescindibile del fisioterapista, indispensabile per intervenire sull’adattamento e il recupero del paziente. È il fisioterapista che valuta lo stato funzionale, il livello di compromissione delle capacità motorie, cognitive e adattive e pianifica l’intervento fisioterapico rimodulandolo continuamente in base alle risposte della persona trattata. Un processo che il fisiatra, per sua natura, non gestisce direttamente.

Pretendere di scindere il momento valutativo da quello di programmazione e attuazione dell’intervento è pura astrazione teorica, lontana da qualsiasi fondamento. Attraverso l’esercizio terapeutico il “sistema” del paziente reagisce e si rimodella, in un processo continuo e progressivo di interazione tra deficit, risorse e abilità residue in cui il fisioterapista gioca il ruolo di facilitatore. Nulla a che fare con un protocollo standardizzato, ma interazione dinamica basata su un processo di apprendimento/adattamento dosato e ricalibrato in tempo reale, in base alle risposte funzionali del paziente.

Pensare dunque alla "diagnosi funzionale" come a una fotografia statica è un errore concettuale e privo di utilità ai fini del processo di recupero. Per sua natura, il sistema funzionale è dinamico, interattivo e in continuo rimodellamento plastico: separare il momento valutativo dalla progettazione dell’esercizio significa negare le chiare evidenze scientifiche a supporto del processo.

È ora di voltare pagina. Il fisioterapista non è un medico, così come il fisiatra non è un fisioterapista: ogni professione ha la propria specificità e valore, con il compito comune di rispondere ai bisogni reali dei pazienti, non alimentare sterili lotte di potere.

Infine, pretendere l’esclusiva sulla prescrizione è una posizione anacronistica e priva di fondamento giuridico e scientifico: negare ai medici di medicina generale o ad altri specialisti la possibilità di prescrivere interventi fisioterapici non è solo contrario alla normativa vigente, ma rappresenta un ostacolo inaccettabile all’accesso alle cure per i cittadini.

Se davvero si vuole migliorare il sistema e garantire la miglior assistenza possibile ai pazienti, si abbandonino le logiche di dominio e si smetta di sminuire il ruolo del fisioterapista, magari provando a spiegare quale sia il valore aggiunto che un fisiatra può offrire in un sistema sanitario moderno e integrato. La vera sfida non è difendere posizioni di potere, ma lavorare insieme per costruire un sistema più efficiente, accessibile e rispondente alle esigenze dei cittadini.

Dott.ssa Melania Salina
Presidente OFI FVG

06 marzo 2025
© Riproduzione riservata

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