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Verso le elezioni. Le dieci domande degli scienziati italiani alla politica


L’appello viene dal “gruppo 2003” che riunisce 50 luminari che lavorano nella ricerca scientifica italiana e figurano negli elenchi dei ricercatori più citati al mondo. Preoccupati per lo stato della ricerca scientifica nel nostro Paese e per il suo futuro chiedono di eliminare “i lacciuoli che ci impediscono di rinascere”.

17 GEN - “Il tema della ricerca scientifica è assente dalla campagna elettorale. La ricerca scientifica italiana ha bisogno di un futuro migliore, fatto di investimenti strategici, di programmazione, di trasparenza e di incentivi al merito. Ma soprattutto l'Italia ha bisogno di ricerca scientifica produttiva e competitiva per uscire dal declino in cui l'attuale crisi economico-finanziaria la sta portando”. È quanto chiedono i rappresentanti del “Gruppo 2003”, formato da una cinquantina di illustri scienziati che compaiono negli elenchi dei più citati al mondo compilati dall’Institute for scientific information di Philadelphia (Usa), che in vista delle prossime elezioni hanno lanciato un appello alla politica presentando un vero e proprio decalogo.

Gli scienziati del “Gruppo 2003”, tra i cui fondatori spiccano personalità di rilievo come Silvio Garattini, chiedono un cambiamento culturale che riconosca alla ricerca scientifica il suo ruolo fondamentale come motore delle politiche di sviluppo, rilancio e innovazione. “Si assiste invece da troppo tempo a una generale mancanza di interesse culturale e politico nei confronti della ricerca, che ci allontana sempre più da paesi come la Germania, la Francia e gli Stati Uniti - hanno sottolineato - e che si configura come una grave mancanza di interesse verso il futuro del Paese”.

Viene chiesto ai partiti e ai movimenti politici che si candidano alla guida del Paese delle risposte precise ai dieci punti qui di seguito riportati:

1. Investimento in Ricerca. Il nostro Paese investe meno della metà di tutti i suoi competitori in ricerca (circa 1% del Pil). Questo divario è solo in parte spiegato dal fatto che la nostra struttura industriale è costituita in larga misura da piccole e medie imprese. L’investimento in ricerca è stato costantemente sacrificato a scapito del futuro del Paese.
2. Valutazione e Premialità. I meccanismi di distribuzione dei fondi di ricerca pubblici soffrono di meccanismi scarsamente trasparenti e meritocratici. Ancora, negli ultimi anni il 10% o poco più del finanziamento ordinario delle università (Ffo) è stato distribuito sulla base dei parametri di valutazione emersi dall’esercizio Civr condotto oltre 8 anni fa. Con un percorso bipartisan è stata attivata un’agenzia di valutazione (Anvur) ed è in corso un esercizio di valutazione detto Vqr.
3. Competitività Internazionale e Premialità. Tutti i Paesi, in modo diverso, hanno scelto di investire in modo selettivo e competitivo su pochi atenei e centri di ricerca con l’obiettivo di renderli competitivi e fra i migliori a livello internazionale. Ad esempio, Germania, Francia, Inghilterra, Cina, ecc, investono selettivamente in alcuni atenei. Gli atenei italiani non vanno bene nei ranking internazionali, anche se vanno meglio nei ranking basati su parametri obiettivi e non reputazionali. Ancora, a livello di finanziamenti europei alla ricerca scientifica, il nostro Paese recupera solo circa la metà delle risorse che mette a disposizione, risultando poco competitivo. In più, e paradossalmente, chi ottiene finanziamenti internazionali paga l'Irap sui fondi vinti!
4. Cabina di Regia. Lo scarso investimento in ricerca del Paese passa attraverso finanziamenti erogati da diversi ministeri e si disperde in rivoli spesso scarsamente controllati o incontrollabili.
5. Lacci e Lacciuoli. L'utilizzo efficiente delle scarse risorse del Paese è ostacolato da un’infinità di “lacci e lacciuoli”. Il Gruppo 2003 e il più alto organo di consulenza del Ministero dell’Università e della Ricerca (Cepr) hanno più volte richiamato l’attenzione su questo problema ed identificato in modo specifico una serie di “lacci e lacciuoli”.
6.Valore Legale del Titolo di Studio. L'abolizione del valore legale del titolo di studio aumenterebbe la competizione tra Università e produrrebbe un effetto benefico sulla qualità degli atenei e sulla loro produttività, innescando un circolo virtuoso. Il Gruppo 2003 da 10 anni propone l’abolizione del valore legale del titolo di studio. Il Governo Monti si è mosso per depotenziare in alcuni settori il valore legale del titolo.
7. Attrattività e Rientro dei Cervelli. Su scala globale è in atto una vera e propria corsa ad accaparrarsi l’oro del terzo millennio, non più l’oro giallo o l’oro nero, ma l’oro grigio costituito dai cervelli. Il nostro Paese su questo piano soffre, non solo e non tanto, di un’emorragia di cervelli, ma anche e soprattutto di una scarsa attrattività. I Programmi di Rientro dei cervelli hanno dato risultati spesso discutibili sul piano della qualità e dell’impegno.
8. Ricerca Industriale e Trasferimento Tecnologico. Il sistema di ricerca del Paese soffre di un insufficiente trasferimento dei suoi risultati alla società nel suo complesso ed all’industria. Ad esempio, i dati indicano che in un’ipotetica partita Italia-Germania sul piano della ricerca, usando come indicatore della ricerca fondamentale le citazioni, il nostro Paese è al 75% della Germania (un grande risultato se si considera la differenza in entità e qualità dell’investimento), ma è solo al 19% se consideriamo un indicatore di trasferimento del know how all’industria. Insomma, l’imbuto del trasferimento è stretto in modo anomalo.
9. Giovani, Capaci e Meritevoli. Il cosiddetto “Capitale Umano” costituisce la vera ricchezza del Paese. Il Sistema Paese sta perdendo una generazione di ricercatori a causa della scarsità delle risorse e l’inaffidabilità dei percorsi di carriera.
10. Ritenete indispensabile promuovere e rilanciare la Cultura della Scienza e della Ricerca in un paese che l’ha sostanzialmente da sempre trascurata?

17 gennaio 2013
© Riproduzione riservata

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