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Caso Avastin-Lucentis. Parere unanime del Css. Ma i dubbi restano

di C.F.

Il tanto atteso parere del Css è arrivato. E il verdetto non lascia dubbi ad interpretazioni. Allo stato attuale delle conoscenze si può affermare che i due farmaci non presentano differenze significative sul piano della efficacia e della sicurezza nella terapia oftalmica. Storia finita dunque? Non penso. Ecco perché

15 MAG - Che il provvedimento Antitrust sul Caso Avastin/Lucentis fosse destinato a segnare solo il calcio d’avvio di una partita con diverse squadre in campo era facile prevederlo. Da quel provvedimento, il cui corso è ora segnato dai ricorsi al Tar delle aziende interessate (Roche e Novartis), si sono innescate infatti una serie di azioni che coinvolgono direttamente o indirettamente diversi attori istituzionali, professionali e industriali.

Andiamo per ordine. La prima partita parallela, quella più importante ai fini della tutela della salute dei pazienti, è quella che si innescherà attorno all’attesissimo parere del Consiglio superiore di sanità su due questioni sollevate dal ministro Lorenzin: efficacia e sicurezza dei due farmaci in campo oftalmologico e in particolare nella cura delle degenerazioni maculari.

Per il Consiglio superiore, come abbiamo visto, i due farmaci sono di fatto sovrapponibili. Tutto a posto quindi? Tra un mese, come ha annunciato il ministro Lorenzin, avremo Avastin di nuovo off label?

Vedremo. Ma qualche dubbio in proposito è legittimo. Il parere del Css non arriva in un vuoto di informazioni sul tema. Al contrario, di letteratura scientifica ce n’è in abbondanza. Il punto è che i pareri non sono unanimi, come nel caso del verdetto del Css.

Le tesi, al momento sono contrapposte: da una parte numerosi esperti e aziende che insistono sul dato oggettivo della differenza molecolare tra i due medicinali (e su questo ha convenuto anche il Css). Dove i pareri si fanno discordi, è sui diversi profili di efficacia ma anche di sicurezza. Tradotto in parole semplici per chi fino ad oggi ha posto dubbi sull’uso oftalmico di Avastin resta infatti un dato oggettivo: Avastin nasce e si sviluppa per curare il cancro, come tale è stato disegnato, dosato e sperimentato. Non ha indicazioni per la terapia oftalmica e laddove è stato usato ha dato seguito a diverse segnalazioni avverse sia per problemi legati alle modalità del trattamento (infezioni provocate da scarsa sicurezza nel prelievo del farmaco dalla boccetta), sia, e questo è molto più significativo, perché il bevacizumab (la molecola dell’Avastin) comporterebbe, proprio per la sue caratteristiche intrinseche, rischi anche seri per la salute dei pazienti trattati con iniezioni intravitreali.

In proposito l’allarme più netto e autorevole espresso in Italia è senz’altro quella della stessa Aifa che il 7 marzo scorso scriveva : “sono due molecole simili (Avastin e Lucentis, ndr.) come meccanismo d’azione (i.e.inibiscono il fattore di crescita vascolare VEGF) ma non identiche tra loro né da un punto di vista farmacologico, né strutturale perché Avastin è un anticorpo intero, mentre Lucentis ne è un frammento anticorpale, che ha emivita più breve e rimane in circolo meno tempo (2 ore contro circa 20 giorni). Attualmente non sono ancora stati effettuati studi di farmacocinetica o farmacodinamica su Avastin nell’uso intravitreale, necessari per soddisfare gli standard di registrazione, così come - pur esistendo una pratica clinica off-label - non sono mai stati effettuati studi per determinare la dose ottimale e il protocollo di trattamento di Avastin per uso oftalmologico”.

Dall’altra parte, e in Italia ne è alfiere massimo il presidente della SOI Matteo Piovella, c’è chi sostiene che gli unici rischi sono quelli legati alle modalità di trasmissione, fattore facilmente superabile se il prodotto fosse confezionato ad hoc o comunque se il prelievo del medicinale dalla confezione oncologica viene effettuato in condizioni di sicurezza. E in questa direzione va il parere del Css.

Il parere del Css per l’appunto. Un verdetto secco, “senza se e senza ma”, verrebbe da dire. Che non viene intaccato dall’affermazione ribadita in conferenza stampa dal professor Andrea Lenzi, che ricorda in ogni caso come “la scienza si evolve continuamente e quindi, chissà, domani mattina potremmo saperne di più”.

La sensazione di chi scrive è che si stia procedendo con eccessiva fretta. Sull’onda di spinte emotive conseguenti sia alla sentenza Antitrust che alla presa di posizione di Regioni importanti, come l’Emilia Romagna, in prima fila nel rivendicare il diritto per il proprio servizio sanitario regionale di erogare il farmaco che, a parità di efficacia e sicurezza, costa meno.

Una posizione, quest’ultima, che al di là del caso specifico, si sta caratterizzando sempre più come uno scontro tra Regioni e autorità nazionali sul “chi fa che cosa” in sanità, con l’Aifa sul tavolo degli accusati e che, neanche troppo velatamente, viene fatta passare in qualche modo come “complice” nella difesa di interessi altri, rispetto a quelli del paziente.

Un’accusa che Aifa ha sempre rigettato con sdegno, palesando addirittura una sorta di “boicottaggio” delle rilevazioni di farmacovilanza da parte delle Regioni sull’uso off label di Avastin, come segnalato, sempre nella nota citata del 7 marzo scorso, dove l’Agenzia del farmaco sottolineava come: “Alla richiesta di AIFA di valutare e segnalare immediatamente i potenziali effetti avversi dell’uso intravitreale hanno risposto quasi tutte le Regioni (ad esclusione della Valle d’Aosta) ma, su un totale di 44.071 pazienti trattati, sono state fornite informazioni relative a solo 34 reazioni avverse (0,08%), inspiegabilmente più basse delle percentuali di altri Paesi di riferimento (quali ad esempio USA, Giappone, Germania, Inghilterra, Olanda e Canada) e alla numerosità di reazioni previste per qualsiasi farmaco”.

Dati così bassi da far dire sempre all’Aifa che “Ciò fa supporre che la farmacovigilanza degli impieghi off-label, che dovrebbero essere più attentamente valutati rispetto agli usi in-label, sia invece più esposta al fenomeno della sottosegnalazione, probabilmente dovuto al fatto che, nel caso di uso off-label, la responsabilità di eventuali eventi avversi ricade totalmente a carico del medico prescrittore, che quindi tende ad evitare le segnalazioni”.

Del resto Aifa appare fermamente convinta di aver agito correttamente, sia dal punto di vista del rispetto delle norme (che, fino ad oggi, prevedono che l’uso degli off label sia precluso quando esiste in commercio una specialità farmaceutica per la cura di quella determinata patologia), sia per aver ottemperato alle decisioni dell’Ema che il 30 agosto 2012 aveva modificato il profilo beneficio/rischio di Avastin e aggiornato il riassunto delle caratteristiche del prodotto, indicando che il medicinale non era stato formulato per uso intravitreale e facendo riferimento alle segnalazioni di gravi reazioni avverse di tipo sistemico, quali emorragie non oculari ed eventi troboembolici arteriosi.

Insomma, la vicenda a nostro avviso potrebbe non chiudersi qui, perché in ballo, come non ci stancheremo mai di sottolineare, non ci sono solo questioni economiche (rilevantissime, ci mancherebbe!) ma questioni attinenti alla salute delle persone.

Come ha rilevato anche Cittadinanzattiva in una sua forte presa di posizione sul decreto off label appena convertito in legge sottolineando come: “In sole 12 righe l'articolo sull'impiego dei farmaci off label introduce il principio per cui il SSN è autorizzato a risparmiare sacrificando il diritto delle persone alla sicurezza delle cure”.

E ciò perché, spiega ancora Cittadinanzattiva: “si prevede la possibilità per il SSN, anche in presenza di una valida alternativa terapeutica espressamente autorizzata, di utilizzare terapie fuori indicazione terapeutica la cui efficacia e sicurezza non è testata dalle fasi di sperimentazione clinica previste dalla Legge, ma è affidata soltanto a ‘ricerche nazionali o internazionali’ la cui robustezza e affidabilità non sono ancora chiare ai cittadini”.
 
C.F.

15 maggio 2014
© Riproduzione riservata

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