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In Francia grande riforma della sanità. E da noi?

di Ivan Cavicchi

Il Parlamento francese ha appena varato in prima lettura un’imponente riforma che coglie la necessità di adeguarsi ai cambiamenti in atto nei bisogni e nella governance del sistema sanitario. Ma in Italia continua a prevalere la mera logica della “manutenzione”

20 APR - Sono giustamente tutti risentiti per il Def. Esso è l’espressione di una vecchia politica che sempre se stessa traversa i governi più diversi anche quello di Renzi. Sulla sanità i governi sembrano tutti uguali. Ma proprio per questo forse è il caso di cominciare a porci il problema delle alternative. Tutti i governi hanno lo stesso limite. Per loro la sanità è solo spesa.
 
Lo so, l’ho detto tante volte ma l’alternativa a questo gigantesco pregiudizio è la soluzione riformatrice: produrre salute come ricchezza ripensando l’idea storica di tutela organizzata attualmente in, servizi, professioni, prassi. Grazia Labate ci ha appena segnalato la riforma sanitaria che è in discussione in Francia. In un certo senso ci ha detto che una riforma è possibile. In linea di massima, leggendo il testo di legge, mi ritrovo in molte delle proposte avanzate ma in primis mi ritrovo nel suo spirito riformatore di fondo.
 
E’ noto che per me le politiche marginaliste delle quali il Def è la loro peggiore espressione, da tempo non reggono più il passo con le sfide in campo. Ma non tutti la pensano come me. Giusto pochi giorni fa ero al simposium annuale della fondazione Paracelso (QS 17 aprile 2015) dove spiegavo l’urgenza di recuperare la scollatura profonda che c’è tra una necessità riformatrice e la mancanza di un vero pensiero riformatore. Di contro mi rispondeva una parlamentare Pd della Commissione sanità del Senato dicendo che in sanità non c’è bisogno di riformare niente perché basterebbe una semplice manutenzione del sistema e che il problema era semmai il contrario di quello che dicevo io e cioè lo scatenarsi di una incomprensibile “furia riformatrice”.
 
In realtà a me pare che quello che si è scatenato sia una “furia contro riformatrice” dovuta proprio alla mancanza di un pensiero riformatore. Il Def proposto dal partito e dal governo della senatrice non mi sembra né un esempio di buona manutenzione e meno che mai un esempio di riforma.
 
Trovo quindi interessante che alla mia tesi sulla necessità di riforma e sulla mancanza del riformatore si risponda, nell’era Renzi, con tesi così scopertamente auto giustificative:
· non vi sono riformatori  perché  non vi è bisogno di riforma quindi se non siamo riformatori è perché per la sanità  non serve esserlo.
· noi siamo dei riformatori perché le leggi che abbiamo fatto  in passato sono delle riforme, per cui  tutto quello che si doveva fare è stato già fatto ora si tratta di fare manutenzione.
 
Questo ragionamento a parte essere una giustificazione dei propri limiti culturali, è soprattutto il PD a farlo attraverso tutte le sue espressioni parlamentari, sindacali, istituzionali, ordinistiche, ecc. Proprio in funzione di questo limite culturale che è interessante Il disegno di legge francese. Esso   dice esattamente il contrario di quello che pensa il PD. Lo spessore riformatore di questa proposta  lo si capisce certo dalla generalizzazione del pagamento da parte delterzo pagante per tutti i francesi  (misura che  va nel senso contrario a coloro che in Italia  spingono per  sostituire il terzo pagante con l’intermediazione finanziaria), ma anche da altro:  grosso investimento  sul tema della produzione di salute,la “cura di comunità”, larifondazione  e non solo la riorganizzazione del modello di ospedale pubblico, l’accrescimento  dei  diritti dei cittadini, ecc. Tutte cose che dimostrano che diritti salute risorse possono essere compossibili e che la senatrice e i suoi sodali di partito hanno torto.
 
Nella proposta di riforma francese mi ha colpito anche l’articolo di sopprimere gli ordini degli infermieri che per quello che capisco non ha grandi possibilità di passare dal momento che ha il governo contro ma che comunque, in quanto tale, ha significati politici premonitori che sarebbe sbagliato sottovalutare. Ho trovato, a questo proposito, eloquente il silenzio dei collegi italiani, che di solito sono molto attenti a cogliere qualsiasi sollecitazione li riguardi.
 
Che la federazione Ipasvi ormai si proponga con una governance a doppia presidenza è sotto gli occhi di tutti...ma che nessuna delle due presidenti abbia sentito il bisogno di riflettere sulla proposta francese mi pare una omissione doppiamente significativa.
 
Quello che io penso di ordini e di collegi, l’ho scritto su questo giornale (Qs 24 marzo 201418 luglio 201426 agosto 2014). In linea generale sono contrario ad abolire gli ordini ma non sono neanche per lasciare le cose come stanno e meno che mai per accontentarci di blandi “riordini” che non cambiano sostanzialmente niente. Questi strani enti parastatali finanziariamente garantiti dai contributi obbligatori degli operatori siano essi occupati o meno, nel tempo sono molto decaduti allontanandosi, per tante ragioni (ampiamente descritte in letteratura), dai problemi delle professioni e sempre più delegittimati dalle stesse professioni che non vanno più a votare, che hanno sempre meno fiducia nei loro dirigenti visti spesso come dei comuni opportunisti.
 
Ebbene la cosa che mi ha colpito della proposta francese, (a parte non capire perché limitarla solo agli infermieri dal momento che il problema è comune anche agli ordini dei medici), è che i problemi che intende risolvere sono del tutti identici a quelli nostri (vi invito a leggere le dichiarazioni diAnnie Le Houeroula deputata socialista che ha presentato la proposta, su QS 10 aprile 2015).
 
Per mestiere studio i problemi della sanità, “pro bonopublico” tento di dare una mano, nel mio piccolo, per valorizzare tra l’altro l’immenso patrimonio delle professioni e restituire al lavoro il suo valore perduto. Se da osservatore esterno rifletto sui comportamenti socialmente percepibili dell’Ipasvi, non ho problemi a dire che se le cose non cambiassero non mi sorprenderebbe se gli infermieri stessi, una volta andati fino in fondo alla loro deriva professionale, (soglia del dolore), reagissero fino al rifiuto dei collegi.
 
Oggi, nell’Ipasvi  delle due presidenti,  intanto vedo due presidenti ,il che non è privo ne di significato ne di conseguenze, quindi vedo un pensiero chiuso  arroccato, senza respiro strategico ,vedo sussistere  troppi veti e troppe preclusioni troppe pregiudiziali soprattutto a scapito di chi non è in linea con  la linea, vedo  poco rispetto  nei confronti delle proposte degli altri  e poca voglia di mettersi in discussione, ma a parte questo  vedo  anche un sistema elettorale sempre più  inconsistente come  rappresentatività, un gruppo dirigente ormai legittimato sempre di più con il minimo formale  e che  si pone quasi come un proprietario privato del sistema dei collegi, vedo una deontologia ampiamente regressiva ... e una crescente disaffezione degli iscritti  e infine... vedo soprattutto  attraverso la difesa aprioristica   del comma 566  la difficoltà  anche culturale  di  assumere la professione  quale principale soggetto della propria  autoriforma. In fin dei conti se il nuovo infermiere è rimasto sulla carta qualche responsabilità dei collegi ci deve pur essere. O è tutta colpa degli altri?
 
Allora, in attesa che qualche bisonte mi venga addosso a testa bassa carico di intolleranza e di rabbia, dico che forse vale la pena di riflettere sui significati della proposta francese per evitare che si arrivi a cancellare per disperazione ciò che invece andrebbe rilanciato se non altro per  spirito di servizio. Tutto qui.
 
Ivan Cavicchi

20 aprile 2015
© Riproduzione riservata

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