Camera. De Filippo su amianto in Puglia, punti nascita in zone disagiate, ricerca su gangliosidosi GM1, pronto soccorso della Campania e vaccino tetravalente
Il Piano operativo della Puglia sull'amianto è in attesa di essere formalizzato. I Punti nascita che effettuano meno di 500 parti/anno sono previsti solo in caso di situazioni orografiche critiche. Non sono presenti bandi di ricerca sulla gangliosidosi GM1. Le violenze nei Pronto Soccorso rendono urgente una riforma del territorio che decongestioni i servizi di emergenza. Con mancata vaccinazione rischi di reintrodurre malattie infettive.
03 LUG - Il sottosegretario alla Salute,
Vito De Filippo, è intervenuto nel pomeriggio di ieri in commissione Affari Sociali alla Camera per rispondere a cinque interrogazioni. La prima, presentata da
Elisa Mariano (Pd) riguardava la
tutela dei lavoratori dal rischio amianto nella regione Puglia. De Filippo ha spiegato che il Piano operativo della Regione Puglia in materia di amianto è in attesa di essere formalizzato mediante provvedimento regionale. Sulla materia, ha spiegato il sottosegretario, non è mancato l'intervento del Ministero della salute, che fa perno sul nuovo Piano Nazionale Prevenzione (PNP). Il Piano detta obiettivi generali che devono essere acquisiti, però, nei piani regionali di prevenzione. Quello della Regione Puglia è stato deliberato, ma non è ancora pubblicato. L'obiettivo è quello di garantire compiti di prevenzione, controllo e assistenza sia in campo lavorativo che intervento nei confronti della popolazione su tutto il territorio regionale.
Questa la risposta integrale di De Filippo: "L'interrogazione in esame delinea una problematica di particolare rilievo, a cui il Ministero della salute deve rispondere nei limiti delle proprie competenze e delle conseguenti iniziative poste in atto.
Il Piano operativo della Regione Puglia in materia di amianto, ancorché pronto, è in attesa di essere formalizzato mediante provvedimento regionale.
Per quanto riguarda la raccolta delle informazioni relative alle esposizioni professionali a cancerogeni e mutageni, ex articolo 242 del decreto legislativo n. 81 del 2008, risultano operativi i Registri provinciali dei singoli Servizi di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro.
Tuttavia, non risulta ancora una raccolta regionale unitaria.
La stessa cosa vale per il registro dei lavoratori che risultano attualmente esposti ad amianto, ai sensi dell'articolo 259 del decreto legislativo n. 81 del 2008, a seguito di esposizioni di tipo infortunistico.
In particolare per l'amianto, rispetto all'attività di sorveglianza dei lavoratori ex-esposti, quest'ultima viene effettuata solo su base volontaria, a seguito della presentazione, da parte dell'ex-esposto, della richiesta dopo il ritiro dalla propria attività lavorativa.
Per quanto riguarda le iniziative del Ministero della salute, ricordo la prossima finalizzazione del progetto a cura del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie, mirato esplicitamente all'armonizzazione dei protocolli per la sorveglianza degli ex-esposti.
Concluso il progetto a fine aprile scorso, si è in attesa di ricevere in via formale la relazione definitiva.
Tuttavia, risulta conseguito il raggiungimento della condivisione di un «set» per l'armonizzazione dei protocolli regionali.
Una ulteriore iniziativa promossa dal Ministero della salute fa perno sul nuovo Piano Nazionale Prevenzione (PNP); il Piano detta obiettivi generali che devono essere acquisiti, però, nei piani regionali di prevenzione.
Quello della Regione Puglia è stato deliberato, ma non è ancora pubblicato: detto Piano è volto a garantire compiti di prevenzione, controllo e assistenza sia in campo lavorativo che intervento nei confronti della popolazione su tutto il territorio regionale.
Concludo informando gli Onorevoli interroganti che l'attenzione del Ministero della salute sulla tematica in esame è alta, in ragione della consapevolezza dell'indubbio danno sanitario arrecato ai lavoratori dall'esposizione all'amianto".
Mario Borghese (Misto) ha poi presentato la sua interrogazione inerente la
revisione degli standard fissati nell'accordo Stato-regioni del 2010 in relazione ai punti nascita nelle zone montane e disagiate. Il sottosegretario ha spiegato che la persistenza di punti nascita in deroga al volume minimo di 500 parti/anno, è stata prevista esclusivamente in caso di situazioni orografiche critiche, ovvero in presenza di aree geografiche notevolmente disagiate, a condizione che in tali strutture siano garantiti tutti gli standard organizzativi, tecnologici e di sicurezza previsti dall'Accordo per le UU.OO. ostetriche e neonatologico/pediatriche di I Livello. Le scelte programmatorie e organizzativo/gestionali sono in carico alle Regioni.
Questa la risposta integrale di De Filippo: "La riorganizzazione della rete dei punti nascita scaturisce dall'Accordo del 16 dicembre 2010 concernente le Linee di indirizzo per la sicurezza del percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo.
Tale Accordo prevede l'attuazione di 10 linee di azioni per la ridefinizione del percorso nascita.
Di particolare importanza è la definizione del volume minimo di parti, nonché la realizzazione di un Sistema di trasporto in emergenza rivolto alla madre e al neonato.
La prima di tali linee «misure di politica sanitaria e di accreditamento», ha previsto la chiusura dei punti nascita con un volume di attività inferiore a 500 parti/anno, in quanto non in grado di garantire sicurezza per la madre ed il neonato, ed è stata prevista l'adozione di stringenti criteri per la riorganizzazione della rete assistenziale, fissando il numero di almeno 1000 parti/anno quale parametro a cui tendere, al fine di garantire alla donna ed al neonato un'assistenza di livello elevato.
Tale garanzia può essere assicurata da adeguati standard strutturali e tecnologici dei punti nascita, e soprattutto dalla presenza, con livelli di operatività h. 24 intesa come guardia attiva, di personale qualificato.
L'Accordo identifica due livelli di complessità assistenziale delle UU.OO. di ostetricia/ginecologia e di neonatologia e terapia intensiva neonatale/pediatria e definisce gli standard operativi, di sicurezza e tecnologici a cui le regioni devono conformarsi nel percorso di ridefinizione dei punti nascita: standard a cui fa specifico riferimento il decreto ministeriale n. 70 del 2 aprile 2015, recante gli standard per l'assistenza ospedaliera.
Detto Regolamento avvia il processo di riassetto strutturale e di qualificazione della rete assistenziale ospedaliera.
Le linee di azione contenute nell'Accordo del 16 dicembre 2010, che si conformano al modello di rete dei punti nascita del tipo Hub e Spoke, vincolano le Regioni ad attivare il sistema di trasporto assistito materno (STAM) e il sistema di trasporto in emergenza del neonato (STEN).
L'Accordo ha previsto la persistenza di punti nascita in deroga al volume minimo di 500 parti/anno, esclusivamente in caso di situazioni orografiche critiche, ovvero in presenza di aree geografiche notevolmente disagiate, a condizione che in tali strutture siano garantiti tutti gli standard organizzativi, tecnologici e di sicurezza previsti dall'Accordo per le UU.OO. ostetriche e neonatologico/pediatriche di I Livello.
Le scelte programmatorie e organizzativo/gestionali in tema di sanità sono in carico alle Regioni.
Il Ministero della salute verifica che l'erogazione dei LEA avvenga nel rispetto delle condizioni di appropriatezza e di efficienza nell'utilizzo delle risorse, e accerta la congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione dal SSN; nonché che le strategie di riorganizzazione dei punti nascita siano coerenti con le politiche convenute nell'Accordo ed opera sulla sicurezza del percorso nascita una costante azione di affiancamento alle Regioni, attestata, tra l'altro, dal rinnovo, con decreto ministeriale del 19 dicembre 2014, del Comitato Percorso Nascita Nazionale, che supporta le Regioni e le Province Autonome nell'attuazione delle migliori soluzioni per la qualità e la sicurezza del percorso nascita.
La particolare attenzione verso tale problematica è attestata anche dall'inserimento, nella verifica LEA, di uno specifico punto dedicato al percorso nascita, con cui è possibile svolgere un'azione di monitoraggio sullo stato di attuazione delle citate 10 linee di azione.
La questione riguardante l'eventuale aggiornamento dei requisiti e degli standard organizzativi, tecnologici e di sicurezza che i punti nascita con volumi di attività inferiori a 500 parti/anno devono possedere, è stata più volte affrontata e dibattuta nell'ambito del continuo confronto tra Ministero della Salute e Regioni sulla sicurezza del percorso nascita.
All'esito di tale approfondimento, è emerso con ogni evidenza tecnico-scientifica che le modalità organizzative, seppur flessibili ed idonee, in particolare per strutture di zone disagiate con meno di 500 parti/anno, devono garantire gli standard qualitativi, di efficienza ed appropriatezza stabiliti dall'Accordo, che permettano il parto in condizioni di sicurezza".
E' stato poi il turno di
Nicola Ciariacì (Fi) e della sua interrogazione in tema di
finanziamento della ricerca sulla gangliosidosi GM1. De Filippo ha evidenziato come "purtroppo", tra i circa 3000 progetti sottoposti a valutazione, non vi sia nessun bando per la ricerca finalizzata sulla gagliosidosi. Su questa patologia, ha sottolineato il sottosegretario, "a livello mondiale si registrano solo due pubblicazioni nel corso del 2015, due nel 2014 e 5 nel 2013". La prevalenza in Italia è di dieci-dodici casi.
Questa la risposta integrale di De Filippo: "Preliminarmente, occorre rappresentare che il Ministero della Salute per il finanziamento dei progetti di ricerca finalizzata segue, ormai da anni, una politica fortemente selettiva, al fine di stimolare gli istituti di ricerca verso un innalzamento dei livelli di qualità della ricerca biomedica. Coerentemente con la scelta appena indicata, l'Amministrazione, in accordo con la Commissione per la Ricerca sanitaria, ha impostato il finanziamento della ricerca su basi competitive, adottando una metodologia di peer review.
Pertanto, il finanziamento della ricerca finalizzata non prevede la individuazione, da parte del Ministero, di tematiche specifiche, quanto, piuttosto, la presentazione da parte degli enti di ricerca (IRCCS, Regioni, IZS, ISS etc.) di progetti, che saranno valutati e eventualmente finanziati, come detto, sulla base di un sistema di referaggio affidato a valutatori internazionali.
Il Ministero della Salute, in altre parole, ha deciso di lasciar «libera» la comunità scientifica del SSN nella scelta dei progetti da presentare, e ciò nella convinzione che essa sia il miglior giudice delle tematiche scientifiche da sviluppare.
Accanto alla ricerca finalizzata, aperta, come detto a tutti gli enti del SSN, il Ministero destina una quota di finanziamenti agli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), che operano sulla base di linee di ricerca triennali, in cui annualmente, ed in piena autonomia, sviluppano progetti mirati.
Venendo al tema specifico dell'interrogazione, si rappresenta che sul tema delle malattie rare il Ministero della Salute agisce attraverso l'Istituto Superiore di Sanità, cui è affidato il Centro nazionale per le malattie rare. Contatti sono in corso anche tra la scrivente Direzione e l'Associazione UNIAMO, che riunisce gran parte della Associazioni dei pazienti affetti da malattie rare, al fine di acquisire utili elementi direttamente dai cittadini colpiti da tali patologie e dai loro familiari.
Inoltre, il Ministero cofinanzia a livello comunitario i progetti ERANET Malattie Rare, che quest'anno ha visto oltre 200 progetti presentati da consorzi di ricerca tra istituti delle diverse nazioni. Purtroppo, nessun progetto riguarda la Gangliosidosi GM1, così come nel Bando per la ricerca finalizzata non risulta presentata alcuna richiesta tra i circa 3000 progetti sottoposti a valutazione.
Si rileva, altresì, che a livello mondiale si registrano solo due pubblicazioni su questa malattia nel corso del 2015, due nel 2014 e 5 nel 2013.
Dai dati in possesso di questa Direzione, la prevalenza in Italia è di dieci-dodici casi, cinque dei quali sono regolarmente seguiti dall'IRCCS Ospedale Bambino Gesù. Gli altri casi sono seguiti dall'AOU Meyer di Firenze, dall'Università di Padova, dal Policlinico Umberto I di Roma, dal Policlinico di Bari e da quello di Catania. Tali pazienti sono attualmente sottoposti – sotto controllo del Comitato etico – a terapia a base di Miclustat, farmaco sviluppato per la malattia di Gaucher, che potrebbe fornire elementi utili per lo sviluppo di ricerche future. Inoltre, è da segnalare che l'utilizzo dello stesso trattamento sta favorendo l'aggregazione dei centri interessati in un network per coordinare l'assistenza ai pazienti affetti da tale patologia".
Raffaele Calabrò (Ap) ha poi illustrato la sua interrogazione situazione di
emergenza nelle strutture di pronto soccorso della regione Campania. De Fillippo ha spiegato come gli episodi di violenza che si sono registrati "mettono in evidenza possibili carenze organizzative". In particolare, le aggressioni possono essere causate da una scarsa vigilanza, da una sottovalutazione dei pazienti a rischio di compiere aggressioni fisiche, dalle difficoltà relazionali tra gli operatori e l'utenza. In questa ottica, a parere del sottosegretario, è di significativo interesse anche intervenire per decongestionare i servizi di emergenza urgenza per evitare accessi non appropriati, accelerando il processo, già avviato, di riforma del territorio.
Questa la risposta integrale di De Filippo: "Gli episodi di violenza sono particolarmente esecrabili e mettono in evidenza possibili carenze organizzative, indicando una insufficiente consapevolezza da parte dell'organizzazione del possibile pericolo di violenza all'interno delle strutture sanitarie.
In particolare, le aggressioni possono essere causate da una scarsa vigilanza, da una sottovalutazione dei pazienti a rischio di compiere aggressioni fisiche, dalle difficoltà relazionali tra gli operatori e l'utenza.
Il riconoscimento del fatto illecito è importante per procedere alla definizione di interventi sotto il profilo organizzativo e logistico, per la revisione dei protocolli in uso, per avviare un'attività di formazione del personale.
Il Ministero delle Salute è consapevole della gravità di tale condizione ed ha previsto la segnalazione di tale illecito come «evento sentinella», attraverso il flusso, ad hoc costituito, che fa capo alla Direzione generale della programmazione sanitaria di questo dicastero. È altresì necessario che le Aziende sanitarie e la Regione tengano sotto controllo tali eventi e traggano informazioni importanti dal loro monitoraggio per effettuare valutazioni e confronti sulle condizioni di rischio delle varie strutture sanitarie.
In questa ottica è di significativo interesse anche intervenire per decongestionare i servizi di emergenza urgenza per evitare accessi non appropriati, accelerando il processo, già avviato, di riforma del territorio.
Oltre alla segnalazione dell'evento sentinella, lo scrivente Ministero ha emanato, nel novembre del 2007, la specifica «Raccomandazione per prevenire gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari» che fornisce indicazioni sulle azioni da porre in atto ai vari livelli per fronteggiare e prevenire l'occorrenza di questi eventi. Le azioni proposte riguardano: l'analisi dei luoghi di lavoro per individuare i fattori di rischio, l'attuazione di soluzioni di tipo logistico-organizzative o tecnologiche e l'addestramento e formazione del personale.
Infine, con riguardo alla situazione del blocco automatico del turn over nella Regione Campania, si rappresenta che lo stesso è stato vigente dal 2010 fino al 31 dicembre 2014, ai sensi dell'articolo 1 comma 174, legge n. 311/2004 e successive modificazioni ed integrazioni, misura prevista per le Regioni in Piano di rientro per le quali si prospetti, in esito al monitoraggio, una situazione di squilibrio economico-finanziario del settore sanitario non tempestivamente ed adeguatamente corretto (accertato nelle riunioni di verifica del Piano di rientro del 19 maggio 2010, del 31 maggio 2011 e del 30 marzo 2012).
Nel periodo di vigenza automatico del blocco del turn over, sono state concesse deroghe ai sensi della normativa vigente, nella misura del 10 per cento del personale del Servizio sanitario e per un totale di 251 unità.
Dal 1o gennaio 2015, data di termine del blocco automatico del «turn over», la Regione Campania ha avviato l’iter per le assunzioni in conformità alle disposizioni vigenti".
Infine,
Marialucia Lorefice (M5S) ha presentato la sua interrogazione riguardante la
disponibilità del vaccino tetravalaente. De Filippo ha sottolineato come nessun Paese e nessuna area geografica, per quanto socialmente ed economicamente evoluto, si possa ritenere al sicuro dal rischio di reintroduzione di malattie infettive, anche eliminate o sotto controllo grazie alle vaccinazioni di massa. "La domanda da porre non è 'quanto costa vaccinare' ma è 'quanto costa non vaccinare'; gli studi di economia a riguardo riportano evidenze non ignorabili a favore del primo tipo di investimento".
Questa la risposta integrale di De Filippo: "Con riguardo alla questione in esame, ritengo necessario ricordare che il Ministero della salute opera nel contesto istituzionale sancito dalla riforma della Costituzione del 2001, in particolare dell'articolo 117, che ha introdotto la potestà di legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni e la potestà regolamentare delle Regioni, tra le altre, in materia di tutela della salute.
Dal 2001 gli accordi tra Stato e Regioni sono lo strumento con cui viene disegnata l'assistenza pubblica nel nostro Paese.
Fondamentale in questo ambito è l'Accordo dell'8 agosto 2001, con cui vengono concordate, per la prima volta, risorse economiche per un triennio ed è prevista la definizione dei Livelli essenziali di assistenza (LEA), entrati in vigore il 23 febbraio del 2002, cioè le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o con una partecipazione alla spesa, grazie alle risorse raccolte attraverso la fiscalità.
L'offerta delle vaccinazioni, in Italia, ha avuto un'evoluzione, di pari passo con l'evolversi delle conoscenze tecnico-scientifiche in merito, delle condizioni socio-economiche del Paese, del cambiamento culturale nel rapporto medico-paziente.
L'obbligatorietà delle vaccinazioni, primariamente, è stata intesa quale garanzia, ai massimi livelli possibili, di uniformità di offerta e di trattamento della popolazione, al fine di evitare situazioni di disparità di accesso ai servizi.
L'obbligo vaccinale si è rivelato anche un ottimo strumento per l'attuazione di alcune campagne vaccinali di massa che hanno consentito di raggiungere traguardi di indiscutibile valore, quale l'eradicazione globale del vaiolo e l'eliminazione della poliomielite dalle Regioni delle Americhe, del Pacifico Occidentale ed Europea (secondo la divisione geografica dell'Organizzazione Mondiale della Sanità – OMS).
In Italia, attraverso strategie vaccinali di massa, sono stati ottenuti ottimi risultati anche in termini di controllo di alcune malattie: il tetano colpisce solo gli anziani non vaccinati; il numero di casi di epatite virale B è in continuo declino, soprattutto nelle classi di età più giovani, target dal 1991 di una strategia vaccinale mirata, il cui successo, nel contenimento della malattia, ha valso all'Italia, primo Paese ad intraprendere tale strategia preventiva, l'apprezzamento dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.
Proprio in ragione di tali successi, in Italia, il Calendario Nazionale delle vaccinazioni per l'infanzia, oggi, prevede, accanto alle vaccinazioni obbligatorie, altre vaccinazioni fortemente raccomandate, perché ritenute altrettanto efficaci in termini di controllo delle malattie che prevengono e, quindi, della tutela della sanità collettiva.
Tra queste ultime, vi sono le vaccinazioni contro pertosse, infezioni da haemophilus influenzae b (Hib), morbillo, parotite, rosolia, la cui raccomandazione indica che esse sono ugualmente utili ed importanti quanto quelle obbligatorie, poiché contrastano complesse situazioni epidemiologiche delle malattie che prevengono, ma che non sono state imposte per legge, in quanto introdotte in un periodo storico estremamente diverso da quello che ha caratterizzato l'introduzione dell'obbligo. In particolare, dagli anni ’90, è stato intrapreso un percorso culturale per un nuovo approccio alle vaccinazioni. Rispetto ai tradizionali interventi di prevenzione, infatti, si è puntato non sull'obbligatorietà e sul controllo, ma sulla promozione ed adesione consapevole da parte del cittadino ad un intervento di sanità pubblica, qual è la vaccinazione universale.
Tali interventi sono stabiliti tramite Accordi nella Conferenza Stato-Regioni, «sede privilegiata» della negoziazione politica tra le Amministrazioni centrali e il sistema delle autonomie regionali.
A riprova che la programmazione nazionale dell'offerta vaccinale universale per l'infanzia non è finalizzata al solo compimento di un iter amministrativo, va considerato che ulteriori vaccini, pur se autorizzati all'immissione in commercio, nel corso degli anni, e disponibili anche in Italia, sono considerati facoltativi e non sono stati inseriti nel calendario nazionale delle vaccinazioni per l'infanzia, in base all'analisi della situazione epidemiologica e secondo una valutazione della scala di priorità individuate con le Regioni. Per questi vaccini, infatti, è discrezione del pediatra di fiducia o del medico dei servizi vaccinali proporli e facoltà del genitore/ tutore accettare di farli somministrare al proprio bambino, ai fini di una protezione individuale. Per i vaccini facoltativi, quindi, non sono previsti programmi nazionali di vaccinazione universale.
Tutte le vaccinazioni summenzionate (antidifterica, antipoliomielitica, antitetanica, antiepatite virale B, antipertosse, antimorbillo, antiparotite, antirosolia, contro le infezioni da haemophilus influenzae b) sono state incluse, pur venendo mantenuta la distinzione tra vaccinazioni obbligatorie e vaccinazioni raccomandate, nel Calendario delle vaccinazioni in età evolutiva, dal decreto ministeriale n. 5 del 7 aprile 1999 «Nuovo calendario per le vaccinazioni in età evolutiva». Anche il successivo Accordo Stato-Regioni del 18 giugno 1999 «Piano nazionale vaccini 1999-2000», ribadisce che, per tutte le vaccinazioni incluse nel Calendario per l'infanzia, pur mantenendo la distinzione tra obbligatorie e raccomandate, l'obiettivo di copertura vaccinale da perseguire è il 95 per cento, facendo propri gli Obiettivi raccomandati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità per la Regione Europea.
Per quanto riguarda le componenti antigeniche contro l’Haemophilus influenzae di tipo b (Hib) e la pertosse, contenute nel vaccino esavalente, si rappresenta quanto segue.
Ovunque siano stati condotti degli studi, l’Haemophilus influenzae di tipo b (Hib) si è dimostrato un'importante causa di meningite e polmonite batterica principalmente in bambini sotto i cinque anni d'età, soprattutto neonati. Attualmente vi sono sul mercato diversi vaccini contro l'Hib, tutti di tipo coniugato, altamente efficaci e virtualmente privi di seri effetti collaterali. Inoltre, poiché questi vaccini riducono sensibilmente anche i portatori nasofaringei del microrganismo, attraverso il raggiungimento di elevate coperture vaccinali si consegue anche la cosiddetta «immunità di gregge», cioè la protezione di quei soggetti che non possono essere vaccinati a causa di controindicazioni permanenti.
Il peso della malattia è più elevato tra i 4 e i 18 mesi d'età, raramente si verifica sotto i tre mesi e dopo i 6 anni d'età. Sia nei Paesi sviluppati, che in quelli in via di sviluppo, l'Hib è la causa principale di meningiti batteriche non epidemiche in questo gruppo d'età ed è spesso associato a gravi sequele neurologiche, nonostante tempestivi e adeguati trattamenti antibiotici.
A causa della difficoltà della diagnosi eziologica, soprattutto per la polmonite, il peso reale delle infezioni da Hib può essere evidenziato solo dalla riduzione delle incidenze di meningite e polmonite in seguito all'introduzione della vaccinazione.
Il vaccino viene normalmente somministrato in più dosi nel corso dell'infanzia insieme al vaccino contro difterite-tetano-pertosse (DTP) e ad altri vaccini del programma nazionale di vaccinazioni pediatriche. Negli adulti e nei bambini oltre i 18 mesi d'età una singola dose è sufficiente a indurre l'immunità. L'OMS incoraggia l'introduzione dei vaccini contro l'Hib in tutto il mondo e l'efficacia dei vaccini coniugati contro l'Hib è stata chiaramente dimostrata nei Paesi sviluppati, dove è stato registrato un rapido declino dell'incidenza della malattia in tutti i Paesi in cui il vaccino è stato introdotto di routine.
La pertosse (o tosse canina) è una malattia causata dal batterio Bordetella pertussis. È una delle malattie infettive più contagiose che si conoscano, tanto che un bambino con pertosse può contagiare fino al 90 per cento di bambini non immuni con cui viene a contatto.
Il successo dei programmi nazionali vaccinali si fonda sul raggiungimento ed il mantenimento delle coperture di cicli vaccinali completi, a livelli tali da prevenire e controllare efficacemente la diffusione delle malattie infettive prevenibili con vaccino.
Non è da tralasciare anche un altro importante effetto, ovvero quello che, paradossalmente, si stravolga l'epidemiologia della malattia che si voleva prevenire, con possibile aumento dei casi in fasce di età diverse da quelle classiche, in cui i quadri sono più gravi e con maggior ricorso all'ospedalizzazione.
Inoltre, nessun Paese e nessuna area geografica, per quanto socialmente ed economicamente evoluto, si può ritenere al sicuro dal rischio di reintroduzione di malattie infettive, anche eliminate o sotto controllo grazie alle vaccinazioni di massa.
In particolare, alcuni fattori, quali lo spostamento di grandi masse di popolazione, la velocità e la frequenza sempre maggiori degli spostamenti, l'uso eccessivo e spesso incongruo di antibiotici, si configurano come fattori favorenti. Ne consegue che, nella definizione di una strategia vaccinale nazionale, non si potrà prescindere dal contesto epidemiologico sovranazionale e dalle strategie concordate a livello internazionale.
Si tratta, in genere, di obiettivi raggiungibili, a condizione che vengano assicurate coperture vaccinali pari o superiori al 95 per cento, nelle popolazioni bersaglio, per le malattie prevenibili con tale intervento di sanità pubblica.
Anche l'Italia, che ha aderito al programma esteso di immunizzazione dell'OMS, condivide gli stessi obiettivi, per raggiungere i quali persegue l'intento di vaccinare tutti i bambini contro le malattie infettive per le quali siano stati fissati degli obiettivi comuni nell'area geografica europea.
Per quanto riguarda il costo del vaccino esavalente o delle singole vaccinazioni che lo compongono, questo non può e non deve essere considerato dall'unico punto di vista della «spesa», non tenendo affatto conto del risparmio in termini di guadagno di salute del soggetto e della collettività, oltre che del risparmio di risorse economiche per il Sistema Sanitario Nazionale. La domanda da porre non è «quanto costa vaccinare» ma è «quanto costa non vaccinare»; gli studi di economia a riguardo riportano evidenze non ignorabili a favore del primo tipo di investimento, cioè della vaccinazione.
Ferma restando la distinzione tra vaccinazioni obbligatorie e vaccinazioni raccomandate, ove si volesse consapevolmente aderire anche alle vaccinazioni raccomandate, è ragionevole ed opportuno che il vaccino esavalente possa essere considerato quale prima scelta per l'immunizzazione dei nuovi nati, per gli indubbi vantaggi che esso presenta, sia per il bambino candidato alla vaccinazione e i suoi genitori, sia per gli operatori dei Servizi vaccinali. Il vaccino esavalente, infatti, con una sola iniezione rende possibile somministrare contemporaneamente più antigeni, evitando, così, di dover sottoporre il bambino a più iniezioni nel corso della stessa seduta, o di dover fissare ulteriori appuntamenti con il servizio vaccinale, con il rischio di ritardi nella schedula vaccinale, se non di mancata adesione al suo completamento.
È, inoltre, indubbio l'effetto positivo anche sulla performance dei servizi vaccinali, in quanto vengono favorite esigenze di ordine logistico-organizzativo.
Al contrario, non vi è alcuna evidenza scientifica, nella letteratura accreditata, circa presunti effetti dannosi (sovraccarico e shock del sistema immunitario) conseguenti alla simultanea somministrazione di più vaccini.
I dati disponibili in letteratura indicano, infatti, l'assenza di effetti dannosi a carico del sistema immunitario dei bambini che vi si sottopongono.
Non da ultimo, se è vero che nella maggior parte dei Paesi europei non vi sono leggi che indicano l'obbligo per le vaccinazioni, negli stessi Paesi non si accede alle collettività scolastiche, di ogni ordine e grado, senza la certificazione delle vaccinazioni previste dai piani nazionali".
03 luglio 2015
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