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Il Ssn e la crisi dell’universalismo. Abbiamo fatto il possibile per salvaguardarlo? Assolutamente no

di Gabriele Pelissero

Il dibattito, e l’iniziativa politica, sul futuro del Servizio Sanitario Nazionale continuano ad essere appesi al filo (tenue) di un continuo negoziato fra Stato e Regioni, dove nell’uno e nelle altre è forte il contrasto interno fra i difensori del welfare sanitario e quanti, invece, vorrebbero uscire presto da questo sistema, per addentrarsi così, in “acque sconosciute”.

05 AGO - Il dibattito culturale sulla politica sanitaria in Italia ha conosciuto stagioni diverse. Soffermandoci solo agli ultimi anni, abbiamo assistito alla lunga stagione del federalismo nei primi dieci anni del 2000, a quella della spending review nel 2012-2013, e a quella della sostenibilità del Ssn nel 2014.
 
Il 2015 si sta contrassegnando per la constatazione, di fatto, della crisi dell’universalismo del Ssn. Un recentissimo studio di Confindustria – “Ticket, liste d’attesa, mobilità interregionale… fine dell’universalismo e dell’equità del Ssn?” – mette in evidenza il sempre maggior ricorso alle tasche del cittadino per pagare le prestazioni o lo stesso Ssn, l’incapacità di soddisfare i suoi bisogni e la necessità di prendere la valigia quando si tratta di un problema non procrastinabile. Nessuna novità! Sono dati che Aiop sta evidenziando da anni nel suo Rapporto annuale (Ospedali&Salute), e che fanno comprensibilmente pensare a modelli alternativi. D’altra parte, è del 2012 il titolo “Salviamo il Ssn” della mia introduzione al 10° Rapporto Aiop.
 
Ma poniamoci una domanda: è stato fatto il possibile per salvaguardare il sistema e i suoi principi di universalità ed equità? Assolutamente no.
 
Anzi, le scelte dei maggiori responsabili della politica sanitaria, le Regioni, sono spesso andate nella direzione opposta, e possiamo citarne almeno tre: quella di non intervenire sugli sprechi degli ospedali pubblici, il cui gap tra prestazioni erogate e risorse impiegate si aggira sui 6 miliardi di euro (12° Rapporto Aiop), che richiede un continuo finanziamento (con ticket e altre imposte, soprattutto poi nelle Regioni più in difficoltà con i Piani di rientro). La seconda, con il taglio di posti letto al privato accreditato, con la segreta speranza che molti cittadini si rivolgano così agli ospedali pubblici – speranza di cui è imbevuto il recente Regolamento sugli standard ospedalieri, con le soglie dimensionali per le case di cura – ha prodotto l’allungamento delle liste d’attesa. C’è poi la volontà di comprimere le potenzialità dell’ospedalità privata accreditata della propria Regione, con tetti sui budget e sulle prestazioni, favorendo la fuga dei cittadini verso la mobilità interregionale o verso il ricorso all’unica alternativa di pagare di tasca propria le prestazioni necessarie.
 
Sorprende, quindi, che al dibattito sulla presunta fine dell’universalismo e dell’equità del Ssn prendano parte quanti si sono invece adoperati, con le loro scelte, perché si giungesse (inconsapevolmente?) a questo risultato.
 
Ci sono ancora margini di intervento? Tecnicamente ancora si. Ma il dibattito, e l’iniziativa politica, sul futuro del Servizio Sanitario Nazionale continuano ad essere appesi al filo (tenue) di un continuo negoziato fra Stato e Regioni, dove nell’uno e nelle altre è forte il contrasto interno fra i difensori del welfare sanitario e quanti, invece, vorrebbero uscire presto da questo sistema, per addentrarsi così, in “acque sconosciute”.
 

Gabriele Pelissero 
Presidente nazionale Aiop

05 agosto 2015
© Riproduzione riservata

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