Responsabilità professionale. Ecco perché Cittadinanzattiva sbaglia
di Nicola Surico
Le recenti posizioni di Cittadinanzattiva sulla responsabilità professionale del medico suscitano molte perplessità. Il documento registra ancora una volta una netta contrapposizione medico/paziente, impostazione strategicamente inaccettabile in quanto v’è una sintesi indissolubile fra l’operato del medico e le prestazioni fornite all’ammalato
30 OTT - Corre l’obbligo di fare alcune considerazioni sul
documento emanato da Cittadinanzattiva – Tribunale per i diritti del malato sul Disegno di Legge in discussione alla Commissione Affari Sociali della Camera sulla responsabilità professionale del medico chirurgo.
Il documento registra ancora una volta una netta contrapposizione medico/paziente, impostazione strategicamente inaccettabile in quanto v’è una sintesi indissolubile fra l’operato del medico e le prestazioni fornite all’ammalato: la salute del cittadino come diritto costituzionalmente garantito; ogni legge in materia deve comunque ispirarsi a questa sintesi e non a inutili e negative contrapposizioni.
Ben inteso, il documento del Tribunale per i diritti del Malato contiene proposte condivisibili; ad esempio:
- debbono essere sconfitte le lungaggini processuali
- deve essere apprezzato ed incentivato il dialogo medico/paziente (si vedano in tema le riflessioni del Prof. Veronesi)
- obblighi assicurativi e calmieramento “ex lege” dei premi
- definizione legale dei requisiti professionali per consulenti e periti
- opportunità di accertamento tecnico preventivo in sede penale e civile
Per altro verso il documento non è assolutamente condivisibile nel suo impianto strategico e nelle singole proposte, perché considerata la delicatezza e la difficoltà delle pratica medica era lecito attendersi che in tema di responsabilità vi fosse un trattamento migliore di quello che disciplina la responsabilità del comune cittadino.
Nel documento presentato accade invece l’esatto contrario:
- premettendo che la responsabilità del medico ha fondamento contrattuale, in totale distonia sistematica, si avanza la pretesa dell’inversione dell’onere della prova: ovvero è il medico che deve provare la totale correttezza del proprio agire e non invece chi ne deduce la colpa a provarne il fondamento. Insomma al cittadino medico,è riservato un trattamento processuale deteriore e diverso che a tutti gli altri cittadini.
Quest’impostazione inoltre appare in sede penale impraticabile sotto il profilo costituzionale e procedurale: è infatti il Pubblico Ministero che deve provare che un fatto illecito è stato commesso, chi l’abbia commesso e che sussistano dolo o colpa!
Se nel comportamento del medico v’è colpa (come definita dalla legge Balduzzi) la responsabilità è di tipo aquiliano e non certo contrattuale e pertanto si versa nella materia disciplinata dall’art. 2043 C.C. e per quanto attiene il diritto penale sostanziale dal libro XII° del Codice Penale (artt. 589 – 590 C.P.).
Da ciò discende anche, con automatismo giuridico, che la prescrizione è quella statuita dall’art. 2947 C.C. che recita: “Il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato”.
Diversamente opinando, come propone il documento del 16 ottobre di Cittadinanzattiva, si riserverebbe ai medici una collocazione extra ordinamento e punitiva; insomma si vorrebbe per i medici un trattamento peggiore di quello riservato ai peggiori delinquenti.
E’ di questi giorni un serrato dibattito sull’opportunità d’imporre ai medici una restrizione di esami strumentali diagnostici: sia chiaro, se in taluni casi si verificano questi eccessi, ciò è proprio dovuto alla necessità di affrontare indiscriminate aggressioni (giudiziali); la medicina difensiva non è un’ubbia della classe medica, è in tutto e per tutto “legittima difesa”.
Prof. Nicola Surico
Presidente Collegio Italiano Chirurghi
30 ottobre 2015
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