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Camera. De Filippo su indennizzi danneggiati da vaccinazioni, interruzioni di gravidanza e stabilizzazione precari PS


Per gli indennizzi è stato istituito un contributo di di 100 milioni di euro per l'anno 2015, di 200 milioni di euro per l'anno 2016, di 289 milioni di euro per l'anno 2017 e di 146 milioni di euro per l'anno 2018. Il numero di non obiettori risulta congruo rispetto alle IVG effettuate. Si sta valutando un nuovo intervento per la stabilizzazione di quei professionisti già operanti nell'emergenza-urgenza, indipendentemente dal possesso della specializzazione.

11 NOV - Il sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo, è intervenuto ieri in commissione Affari Sociali per rispondere a tre interrogazioni. La prima, presentata da Marialucia Lorefice (M5s), riguardava gli indennizzi in favore dei soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie e da trasfusioni. Il sottosegretario ha ricordato che, per tali fini, è stato istituito un contributo di di 100 milioni di euro per l'anno 2015, di 200 milioni di euro per l'anno 2016, di 289 milioni di euro per l'anno 2017 e di 146 milioni di euro per l'anno 2018, ripartito dalle regioni.

Questa la risposta integrale di De Filippo: “In merito alle risorse finanziarie da destinare alle finalità disciplinate dalla legge 25 febbraio 1992, n. 210 «Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati», il comma 1, dell'articolo 186, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato», ha previsto che «agli oneri finanziari derivati dalla corresponsione degli indennizzi di cui alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, erogati dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 maggio 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 238 dell'11 ottobre 2000, a decorrere dal 1o gennaio 2012 fino al 31 dicembre 2014 e degli oneri derivanti dal pagamento degli arretrati della rivalutazione dell'indennità integrativa speciale di cui al citato indennizzo fino al 31 dicembre 2011, si provvede mediante l'attribuzione alle medesime regioni e province autonome, di un contributo di 100 milioni di euro per l'anno 2015, di 200 milioni di euro per l'anno 2016, di 289 milioni di euro per l'anno 2017 e di 146 milioni di euro per l'anno 2018. Tale contributo è ripartito tra le regioni e le province autonome interessate con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della salute, da adottare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, in proporzione al fabbisogno derivante dal numero degli indennizzi corrisposti dalle regioni e dalle province autonome, come comunicati dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome entro il 31 gennaio 2015, previo riscontro del Ministero della salute». Con tale norma si è provveduto a coprire gli oneri sostenuti dalle regioni per l'applicazione della legge 25 febbraio 1992, n. 210, per il periodo 1o gennaio 2012-31 dicembre 2014, e a mettere a disposizione delle stesse i finanziamenti necessari a garantire il pagamento degli arretrati per la rivalutazione della indennità integrativa speciale. Il decreto 27 maggio 2015 del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della salute, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 167 del 21 luglio 2015, in attuazione della previsione di cui al comma 1, dell'articolo 186, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, ha ripartito il contributo in percentuale al fabbisogno di ciascuna regione e provincia autonoma, che è stato determinato in base al numero degli indennizzati comunicato dalla Conferenza delle regioni e province autonome.

La ripartizione è operata in proporzione al fabbisogno relativo alle due componenti dell'indennizzo, e quindi in misura pari al 70 per cento per le anticipazioni relative al periodo 2012/2014, e al 30 per cento per gli arretrati della rivalutazione della indennità integrativa speciale. Inoltre, al fine di garantire l'esecuzione della sentenza della Corte europea dei diritti dell'Uomo del 3 settembre 2013, nel decreto si precisa che le regioni «utilizzano annualmente il contributo di cui al comma 1, prioritariamente, almeno per una quota non inferiore al 50 per cento, per il pagamento degli arretrati della rivalutazione della indennità integrativa speciale di cui agli indennizzi previsti dalla legge 25 febbraio 1992, n. 210». In ordine alla richiesta in tema di decreti attuativi per l'indennizzo della regione Sicilia, si rappresenta che detta regione non ha mai assunto le funzioni di competenza riguardo alla legge n. 210/1992, in quanto è necessaria una modifica dello Statuto regionale (regione a statuto speciale) e, pertanto, il Ministero della salute provvede direttamente ai pagamenti dei residenti nella stessa regione. Allo stato attuale, tutti i danneggiati titolari dell'indennizzo e residenti nella regione Sicilia ricevono il beneficio dell'indennizzo integralmente rivalutato, e sono stati liquidati loro gli arretrati a titolo di rivalutazione dell'indennità integrativa speciale”.

Lorefice, replicando, si è dichiarata parzialmente soddisfatta, auspicando un impegno del Governo per il conseguimento di un risultato definitivo valido per tutto il territorio nazionale in sede di approvazione della legge di stabilità.
 
È stato poi il turno di Vega Colonnese (M5s) e della sua interrogazione sugli interventi per garantire la corretta applicazione della normativa sulle interruzioni volontarie di gravidanza. Il sottosegretario ha spiegato che i tempi di attesa delle donne continuano a diminuire, e il 90,8 per cento delle IVG viene effettuata nella regione di residenza, di cui l'87,1 per cento nella provincia di residenza. A livello nazionale, ogni 5 strutture in cui si fa una IVG, ce ne sono 7 in cui si partorisce. “Il numero di non obiettori risulta quindi congruo rispetto alle IVG effettuate, e il carico di lavoro richiesto non dovrebbe impedire ai non obiettori di svolgere anche altre attività oltre le IVG, e non dovrebbe creare problemi nel soddisfare la domanda di IVG”.

Questa la risposta integrale di De Filippo: “La situazione descritta nell'interrogazione in esame, circa l'attuazione della legge n. 194/1978 sulle Interruzioni Volontarie di Gravidanza (IVG), non corrisponde in effetti a quella esistente, come evidenziata dai dati raccolti nel monitoraggio «ad hoc» istituito dal Ministro Lorenzin nel 2013, i cui risultati sono contenuti nelle relazioni trasmesse annualmente al Parlamento. Con riferimento ai dati più recenti, riportati nella relazione sull'attuazione della legge n. 194/1978, trasmessa al Parlamento lo scorso 28 ottobre, contenente i dati preliminari del 2014 e quelli definitivi del 2013, ricordo che tale relazione conferma la situazione già descritta l'anno precedente, arricchita dai dati sul carico di lavoro per ogni ginecologo non obiettore, raccolti per la prima volta a livello subregionale, cioè per ciascuna singola Asl/distretto: da questi dati non emergono criticità nell'applicazione della legge n. 194/1978. In particolare, i tempi di attesa delle donne continuano a diminuire, e il 90,8 per cento delle IVG viene effettuata nella regione di residenza, di cui l'87,1 per cento nella provincia di residenza. Le IVG vengono effettuate nel 60 per cento delle strutture disponibili, con una copertura soddisfacente, tranne che in Molise e nella provincia autonoma di Bolzano. Il numero dei punti IVG, paragonato a quello dei punti nascita, mostra che mentre il numero di IVG è pari a circa il 20 per cento del numero di nascite, il numero di punti IVG è pari al 74 per cento del numero di punti nascita, superiore, cioè, a quello che sarebbe potuto essere rispettando le proporzioni fra IVG e nascite. Confrontando poi punti nascita e punti IVG non in valore assoluto, ma rispetto alla popolazione femminile in età fertile, a livello nazionale, ogni 5 strutture in cui si fa una IVG, ce ne sono 7 in cui si partorisce. Considerando le IVG settimanali a carico di ciascun ginecologo non obiettore, considerando 44 settimane lavorative in un anno, a livello nazionale ogni non obiettore ne effettua 1,6 a settimana, un valore medio fra il minimo di 0,5 della Sardegna e il massimo di 4,7 del Molise. Questo stesso parametro, valutato a livello sub-regionale, mostra che anche nelle regioni in cui si rileva una variabilità maggiore, cioè in cui si rilevano ambiti locali con valori di carico di lavoro che si discostano molto dalla media regionale, si tratta comunque di un numero di IVG settimanali sempre inferiore a dieci: in particolare, i valori più elevati (9,6 e 9,4), sono, rispettivamente, in una Asl della Sicilia e in una del Lazio. Tutti gli altri valori sono inferiori.

Il numero di non obiettori risulta quindi congruo, anche a livello subregionale, rispetto alle IVG effettuate, e il carico di lavoro richiesto non dovrebbe impedire ai non obiettori di svolgere anche altre attività oltre le IVG, e non dovrebbe creare problemi nel soddisfare la domanda di IVG. Al fine di consolidare la qualità dei dati raccolti dal sistema di sorveglianza IVG utili a monitorare l'applicazione della legge n. 194/1978, il Ministero della salute ha finanziato un progetto del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie, della durata di 12 mesi, coordinato dal Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell'Istituto superiore di sanità. In particolare, verranno esaminate, insieme ai referenti regionali, le criticità presenti a livello locale per quanto riguarda la raccolta dati e l'applicazione della legge n. 194/1978, e verranno realizzati incontri formativi per i referenti regionali sulle tecniche di controllo dei dati, sulla stima del bisogno a livello locale e sulle principali criticità emerse. Tale attività si svolgerà entro la prossima primavera, mentre la prima riunione organizzativa si è svolta in data 21 maggio 2015, a Roma, presso il Ministero della salute, e ha visto il coinvolgimento di tutte le regioni italiane e delle province autonome di Trento e Bolzano”.
 
Colonnese, replicando, si è dichiarata insoddisfatta, osservando che i dati forniti appaiono divergenti da quelli in suo possesso e rilevando che occorre prestare maggiore attenzione alla recrudescenza del fenomeno degli aborti clandestini, con i rischi sanitari ad esso connessi, che interessa in primo luogo donne immigrate a basso reddito, e alle vessazioni psicologiche alle quali sono sottoposte molte donne quando richiedono un intervento per l'interruzione volontaria di gravidanza presso le strutture sanitarie.

Infine, Salvatore Capone (Pd) ha presentato la sua interrogazione riguardante l’accesso alle procedure concorsuali per medici operanti nelle strutture di pronto soccorso. Il sottosegretario ha spiegato che nel Dpcm precari il personale medico con almeno cinque anni di prestazione continuativa antecedenti alla scadenza del bando, è ammesso a partecipare ai concorsi di cui al presente decreto, ancorché non in possesso del diploma di specializzazione in medicina e chirurgia d'accettazione e d'urgenza. Tuttavia, “sono stati avviati approfondimenti, anche di natura politica, al fine di valutare la possibilità di un nuovo intervento normativo, volto a stabilizzare, in particolare, i professionisti già operanti a vario titolo nell'ambito dei servizi di emergenza-urgenza indipendentemente dal possesso del diploma di specializzazione”.
 
Questa la risposta integrale di De Filippo: “L'articolo 4, comma 6 e seguenti, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 30 ottobre 2013, n. 125, prevede apposite procedure concorsuali riservate, da destinare al personale titolare di contratto a tempo determinato nelle Amministrazioni centrali. Per gli enti del Servizio sanitario nazionale il legislatore, nella consapevolezza della peculiarità del settore, nell'ambito del quale la permanenza del blocco del «turnover» ha portato al reiterarsi del ricorso a forme di lavoro flessibile di tutto il personale, ha demandato ad un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la disciplina delle procedure speciali di reclutamento destinate al personale con contratto a tempo determinato in sanità, e delle connesse proroghe dei contratti in essere. Al citato decreto si demandano, altresì, apposite disposizioni per il personale dedicato alla ricerca in sanità, «nonché per il personale medico in servizio presso il pronto soccorso delle aziende sanitarie locali, con almeno 5 anni di prestazione continuativa, ancorché non in possesso della specializzazione in medicina e chirurgia d'accettazione e d'urgenza». Nell'ambito dei lavori di predisposizione del decreto è stata approfondita, in particolare, la possibilità di far accedere alle procedure concorsuali riservate tutto il personale medico in servizio presso il pronto soccorso delle aziende sanitarie locali, indipendentemente dal possesso della specializzazione. Tale possibilità si è tuttavia ritenuta preclusa, anche alla luce del confronto con le Amministrazioni concertanti, dalla stessa lettera della legge, che fa riferimento al personale medico in servizio presso il pronto soccorso delle aziende sanitarie locali, «con almeno 5 anni di prestazione continuativa, ancorché non in possesso della specializzazione in medicina e chirurgia d'accettazione e d'urgenza». Posto che la regola generale sancita dal decreto legislativo n. 502/1992, e dai successivi regolamenti attuativi per l'accesso al Servizio sanitario nazionale è quella del possesso della specializzazione nella disciplina oggetto del concorso, la normativa non consente di derogare, in generale, al possesso di tale requisito, ma esclusivamente al possesso della specializzazione in medicina e chirurgia d'accettazione e d'urgenza.

In tal senso l'articolo 6 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 marzo 2015, in conformità a quanto previsto dal legislatore, prevede che: «Il personale medico con almeno cinque anni di prestazione continuativa antecedenti alla scadenza del bando, fatti salvi i periodi di interruzione previsti dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, presso i servizi di emergenza e urgenza degli enti di cui all'articolo 1, è ammesso a partecipare ai concorsi di cui al presente decreto, ancorché non in possesso del diploma di specializzazione in medicina e chirurgia d'accettazione e d'urgenza». Ne deriva che le linee guida adottate dalla Conferenza delle regioni in data 9 settembre 2015 sono in linea con il dettato del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 marzo 2015. Fatte salve le informazioni sopra rese, anticipo che nella consapevolezza della portata non completamente esaustiva della normativa sopra riferita, sono stati avviati approfondimenti, anche di natura politica, al fine di valutare la possibilità di un nuovo intervento normativo, volto a stabilizzare, in particolare, i professionisti già operanti a vario titolo nell'ambito dei servizi di emergenza-urgenza indipendentemente dal possesso del diploma di specializzazione”.
 
Capone, replicando, si è dichiarato non soddisfatto della risposta nonostante l'apertura presente nella parte finale della risposta fornita dal Governo. A suo avviso, è indispensabile che il Governo adotti le iniziative opportune al fine di garantire l'accesso alle procedure concorsuali a quei medici operanti nelle strutture di pronto soccorso, con una adeguata continuità di servizio, che hanno dato prova di professionalità. 

11 novembre 2015
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