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Osteopatia e Chiropratica. Le norme ad professionem del Senato

di Luca Benci

Siamo di fronte a un caso di “economia legislativa” più che di volontà riformatrice e il legislatore agisce con un disegno non coerente e di dubbia legittimazione costituzionale. Si è voluto saltare il percorso “scientifico” sulla utilità e necessità del riconoscimento delle discipline con una valutazione tutta politica che prescinde da ogni altra considerazione

10 MAG - Premessa
Nei convulsi anni novanta dello scorso secolo sono proliferate una serie numerosa di professioni sanitarie molte delle quali, del tutto verosimilmente, potevano essere ricondotte a processi unitari.
 
Qualcuno, all’epoca, definì un ufficio del ministero della sanità  una sorta di “profilificio”: in pochissimi anni furono definite, come è noto, ben 22 professioni sanitarie.
Dal 1994 in poi, in relazione alla previsione normativa che attribuiva al ministero il compito di individuare “con proprio decreto le figure da formare e i relativi profili”, furono approvate le relative professioni.
 
Furono sostanzialmente “fotografate” le figure esistenti e strutturate con profilo e formazione universitaria e furono riconosciuti i percorsi precedenti. Si trattava – e si tratta – di professioni “storiche” dei servizi sanitari e presenti nei servizi. Il percorso è stato poi lineare: individuazione del profilo, omogeneizzazione del percorso attraverso la formazione universitaria e successivo loro inquadramento all’interno della  “legge quadro” 42/99.
 
Le “professioni sanitarie” oggi sono decisamente ipernormate e hanno visto un quadro normativo complessivo ormai copioso: la già ricordata legge 42/99, la legge 251/00, la legge 43/06 e il comma 566 della legge di stabilità 2015.
 
Il sistema già prevedeva l’eventuale istituzionalizzazione di nuove figure professionali attraverso un meccanismo previsto dalla legge 43/2006 che possiamo così sintetizzare:
a) recepimento di direttive comunitarie ovvero per iniziativa di Stato e Regioni “in considerazione dei fabbisogni connessi agli obiettivi di salute previsti nel Piano sanitario nazionale o nei Piani sanitari regionali, che non trovano rispondenza in professioni già riconosciute”;
b) accordo della Conferenza Stato Regioni che definisce il “titolo professionale e l’ambito di attività”;
c) parere tecnico scientifico del Consiglio superiore di sanità allargato agi esperti del ministero della salute, delle regioni e degli ordini professionali;
d) funzioni che non devono essere parcellizzate e sovrapporsi alle funzioni delle professioni già esistenti.
 
L’istituzionalizzazione della “professione dell’osteopata”
Dopo quanto abbiamo riassunto in premessa il legislatore, alla prima occasione di riconoscimento di nuove figure professionali, smentisce se stesso e opera una immediata frattura ad professionem per l’istituzione della professione dell’osteopata e del chiropratico con modalità addirittura diverse tra le due figure.
 
Procediamo per gradi e riportiamo integralmente l’articolo 3 bis del ddl Lorenzin approvato in Commissione Sanità del Senato:
 
Art. 3-bis (Istituzione e definizione della professione dell'osteopata)
1. Nell'ambito delle professioni sanitarie è istituita la professione dell'osteopata. Per l'esercizio della professione sanitaria di cui al presente comma, è necessario il possesso della laurea abilitante o titolo equipollente. Sono fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 5, commi 1, 2, 4 e 5 della legge 1 febbraio 2006, n.43, ai fini dell'individuazione delle competenze riconducibili alla professione dell'osteopata.
2. Con Accordo Stato-Regioni, da adottarsi entro 3 mesi dall'entrata in vigore della presente legge, sono stabiliti i criteri per il riconoscimento dei titoli equipollenti ai fini dell'esercizio della professione sanitaria di cui al comma 1. Con decreto del Ministro dell'Istruzione, università e ricerca, di concerto con il Ministro della Salute, sentite le competenti Commissioni parlamentari e acquisito il parere del Consiglio Universitario nazionale e del Consiglio superiore di sanità, da adottarsi entro 6 mesi dall'entrata in vigore della presente legge, è definito l'ordinamento didattico della formazione universitaria in osteopatia.
3. È istituito senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, presso l'Ordine dei Tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, l'albo per la professione sanitaria di osteopata. Possono iscriversi all'albo, istituito ai sensi del presente comma, i soggetti che hanno conseguito la formazione universitaria in osteopatia, ai sensi del decreto di cui al comma 2, e i soggetti in possesso dei titoli di cui al medesimo comma 2.
 
Con una forzatura di sistema il legislatore istituisce – al momento tenta di istituire – la professione dell’osteopata. Non opera secondo le regole che lui stesso si è dato nel 2006 e che abbiamo precedentemente ricordato. Dunque l’osteopata viene prima riconosciuto per legge ordinaria senza pareri tecnici, senza un precedente fabbisogno riconosciuto dai piani sanitari e senza neanche la necessità di dovere dare un abito giuridico a figure che operano nel Servizio sanitario nazionale in quanto totalmente assente dalle strutture. Lo fa a prescindere proprio dalle regole – “L’individuazione è subordinata a un parere tecnico scientifico…” – poste dalla legge 43/2006.  Curiosamente la norma rimane in vigore ma non vale per questa occasione!
 
Le successive fasi sono un atto normativo della Conferenza Stato Regioni in cui stabilire i criteri del riconoscimento dei titoli e il solito decreto interministeriale per l’individuazione degli ordinamenti didattici. Infine viene disposta la costituzione dell’albo professionale all’interno dell’onnicomprensivo neonato ordine professionale dei “tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni tecniche, della riabilitazione della prevenzione”. Non si specifica se debba rientrare in qualcuna di queste categorie – della riabilitazione? – o costituisca, più verosimilmente, una figura a se stante non riconducibile alle professioni caratterizzanti quell’ordine professionale (tecnico sanitarie, della prevenzione e della riabilitazione).
 
Il pasticcio normativo a questo punto diventa evidente. La professione di osteopata viene riconosciuta con metodo derogatorio, viene costituito il relativo albo professionale tenuto dal un ordine professionale al cui interno sono presenti figure professionali  il cui esercizio è basato sulla nota individuazione di competenze attraverso il profilo professionale, gli ordinamenti didattici e la formazione ricevuta con il limite delle competenze previste per la professione medica ex legge 42/99.
 
Stante il richiamo, ancorché parziale, alla legge 43/2006, anche l’ambito di attività (profilo?) della professione anche se non precisato direttamente nella legge di istituzione verrà approvato dalla Conferenza Stato-Regioni. Infine non dovranno essere previste sovrapposizioni con le professioni esistenti.
 
Bisogna inoltre tenere conto che è ancora in vigore, nonostante le ripetute richieste di abrogazione, il comma 566 della legge di stabilità 2015che prevederebbe l’ulteriore approvazione di altri atti della Conferenza Stato Regioni su “compiti, funzioni e obiettivi” delle professioni infermieristiche, ostetriche, tecniche e della riabilitazione. Il comma 566 è applicabile anche alla neo riconosciuta figura dell’osteopata? La legge 42/99 vera e propria norma quadro delle professioni riconosciute negli stessi albi dell’osteopata è applicabile anche alla neo figura?
 
Non sono interrogativi leziosi in quanto l’inquadramento determina l’asse giuridico professionale e la stessa determinazione delle competenze. I profili professionali degli anni novanta dello scorso secolo erano e sono costruiti – quasi tutti – attraverso il duplice livello di intervento di autonomia e di collaborazione all’attività medica. Impostazione anacronistica ma è quella esistente.
 
Se si applica la legge 42/99 anche agli osteopati – e al momento l’articolato approvato dalla Commissione Sanità del Senato non ce lo dice – anche per loro il neoprofilo (sarà il primo a essere approvato dalla Conferenza Stato-Regioni) dovrà seguire questo schema di impostazione. Inoltre dovrà dimostrare di non interferire con le professioni esistenti altrimenti presenterà immediati profili di illegittimità che saranno censurati dal giudice amministrativo. Preliminare a tutto è capire se è applicabile anche a loro la legge 42/99 altrimenti la figura dell’osteopata si presenterebbe del tutto anomala all’interno del novero delle professioni sanitarie pur appartenendo all’albo professionale tenuto da un Ordine comune a altre figure.
 
Gli altri aspetti sono di conseguenza. Verranno introdotti anche nelle strutture del Servizio sanitario nazionale? Si modificheranno le normative concorsuali? Si stanzieranno le relative risorse per le assunzioni su scala nazionale? Le prestazioni osteopatiche verranno riconosciute nei livelli essenziali di assistenza? Verrà modificata la normativa sull’Educazione continua in medicina e permessi i corsi ECM anche per la figura dell’osteopata oggi vietati?
Le troppe domande poste derivano proprio dall’inusualità del percorso scelto per la istituzionalizzazione, per la prima volta, di una figura che non appartiene al novero della medicina scientifica ma a quello delle terapie non convenzionali.
 
L’istituzione della figura del chiropratico
Il DDL approvato dalla Commissione riconosce però anche la figura del chiropratico.
 
Riportiamo per esteso l’articolo 8 bis:
Art. 8-bis (Figura e profilo della professione sanitaria del chiropratico)
1. Nell'ambito delle professioni sanitarie è istituita la professione del chiropratico. Per l'esercizio della professione sanitaria di cui al presente comma, è necessario il possesso della laurea abilitante o titolo equipollente e l'iscrizione al registro istituito presso il Ministero della salute. Sono fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 5, commi 1, 2, 4 e 5 della legge 1 febbraio 2006, n.43, ai fini dell'individuazione delle competenze riconducibili alla professione del chiropratico.
2. Con Accordo Stato-Regioni, da adottarsi entro 3 mesi dall'entrata in vigore della presente legge, sono stabiliti i criteri per il riconoscimento dei titoli equipollenti ai fini dell'esercizio della professione sanitaria di cui al comma 4. Con decreto del Ministro dell'Istruzione, università e ricerca, di concerto con il Ministro della Salute, sentite le competenti Commissioni parlamentari e acquisito il parere del Consiglio Universitario nazionale e del Consiglio superiore di sanità, da adottarsi entro 6 mesi dall'entrata in vigore della presente legge, è definito l'ordinamento didattico della formazione universitaria in chiropratica.
3. All'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, è abrogato il comma 355.
 
Anche in questo caso il legislatore opta per una norma ad professionem svincolandola dalla metodologia imposta dalla legge 43/2006. Per il chiropratico intervenne in realtà la legge finanziaria 2008 del secondo governo Prodi dove si istituì – più precisamente si tentò di istituire – un fantomatico “registro” dei “dottori in chiropratica” presso il Ministero della salute. Avrebbe avuto titolo di esercitare “liberamente come professionista sanitario di grado primario nel campo del diritto alla salute”. Il legislatore del 2007 superò se stesso per cripticità, incomprensibilità e inapplicabilità della norma.
 
Nessuno ha capito cosa intendesse per “professionista sanitario di grado primario”, cosa intendesse per “liberamente” e non ha stupito credo nessuno il fatto che tale norma sia rimasta completamente inattuata.
 
Adesso il DDL Lorenzin abroga questa norma e ne fissa un’altra in cui richiama sempre, come per gli osteopati,  la legge 43/2006 – anche questa volta per non applicarla nella parte della previsione della necessità della commissione scientifica –  in modo esplicito però per “l’individuazione delle competenze riconducibili alla professione del chiropratico”. Richiama quindi la legge 43/2006, istituisce il chiropratico come “professione sanitaria” ma non lo inserisce nelle “professioni sanitarie profilate” e non istituisce il relativo albo.
 
L’inquadramento del chiropratico è ancora più anomalo dell’inquadramento dell’osteopatae nel momento in cui si riconosce una figura professionale si abolisce anche il mai nato registro presso il Ministero della salute senza la sua sostituzione con l’albo professionale. Il chiropratico sarebbe quindi l’unica figura italiana a non avere l’albo e viene regolamentato  con la legge che, però, riconosce a tutti il diritto all’albo.
 
Le stesse domande che ci eravamo posti per l’osteopata relative all’inserimento nei Lea, all’inserimento della figura nelle strutture del Servizio sanitario nazionale e altro valgono ovviamente anche per la figura del chiropratico.
 
 
Conclusioni
Con la solita tecnica legata alle esigenze di “economia legislativa” più che di volontà riformatrice il legislatore – al momento – agisce con un disegno non coerente e di dubbia legittimazione costituzionale.
 
Si è voluto saltare il percorso “scientifico” sulla utilità, necessità del riconoscimento delle discipline con una valutazione tutta politica che prescinde da ogni altra considerazione. Vi è da domandarsi se la decisione “politica” che prescinde dalle considerazioni di altra natura sia in linea con l’articolo 32 della Costituzione che deve sovraintendere a ogni riconoscimento di qualsivoglia figura professionale legata alla tutela della salute.
 
Le problematiche sono di duplice natura: a) il riconoscimento della scientificità delle discipline dell’osteopatia e della chiropratica; b)  il loro eventuale corretto inquadramento nel novero delle professioni sanitarie una volta riconosciuto il punto sub a).
 
E’ proprio il primo punto che desta le maggiori preoccupazioni. Lo ripetiamo la decisione tutta politica di riconoscimento prescinde volutamente dalla scientificità saltando proprio il passaggio previsto dalla legge 43/06.
 
Ricordiamo inoltre che il Consiglio nazionale della Fnomceo nel lontano 2002 (18 maggio, Terni) ne chiese il riconoscimento come “atto medico”e di conseguenza discipline esercitabili solo da medici. Di quel lungo elenco (agopuntura, fitoterapia, medicina ayurvedica, medicina antroposofica, medicina omeopatica, medicina tradizionale cinese, omotossicologia, osteopatia e chiropratica) il legislatore ne riconosce solo due e non in chiave medica ma come professioni autonome e classificandole nelle “professioni sanitarie profilate”. Non si è scelta la strada di una “legge quadro” per il riconoscimento e la valorizzazione delle medicine non convenzionali ma si è utilizzata un’altra legge quadro ancorché non richiamata che inquadra le professioni sanitarie diverse da quella medica per l’osteopata; mistero invece per il chiropratico.
 
Dubbi di costituzionalità possono venire proprio per la violazione del combinato disposto dell’articolo 3 – principio di uguaglianza -  e 32 Costituzione. Per costante giurisprudenza costituzionale il principio di uguaglianza impone di trattare in modo eguale fattispecie eguali ma lo si viola nel momento in cui si tratta in modo eguale fattispecie diverse.
Questo sta accadendo con il riconoscimento dell’osteopata in particolare.
 
Problemi invece con l’articolo 32 Costituzione nel momento in cui il legislatore prescinde volutamente dall’accertamento della scientificità della disciplina nel momento in cui, fino a oggi, si è dubitato – ne è prova il divieto di corsi ECM sul punto – proprio della scientificità. Viene meno la certezza del diritto alla salute nel momento in cui si istituzionalizzano nuove professioni sanitarie senza i percorsi previsti.
 
Si spera, vista la fortuna di avere ancora il “bicameralismo perfetto”, che l’altro ramo del Parlamento, qualora l’Aula del Senato dovesse ratificare il lavoro della Commissione, modifichi questa non bella pagina del DDL Lorenzin.
 
Luca Benci
Giurista

10 maggio 2016
© Riproduzione riservata

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