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Non è un problema di “no vax”. Vaccinazioni sacrosante ma questo decreto non è lo strumento giusto

di Luca Benci

Il Governo ci consegna un decreto pasticciato, non finanziato, frettoloso e dai risultati incerti il cui demerito principale è proprio quello di inasprire il confronto sociale senza alcuna certezza che in questo modo si possano ottenere risultati migliori di altre misure di comunicazione credibile e ricerca del consenso. La questione quindi non è scientifica, bensì giuridica con forti riflessi di opportunità politica

08 GIU - E’ stato pubblicato, dopo una lunga gestazione, il discusso decreto legge 7 giugno 2017, n. 73 “Disposizioni urgenti in materia vaccinale”. La questione che si pone in merito al decreto vaccini e al suo dibattito non è, quanto meno per chi scrive, relativa al merito sulla scientificità della pratica vaccinale, che diamo per scontata, quanto sulla idoneità di un decreto impositivo dell’obbligo e sulla sua capacità a produrre gli sperati effetti legati all’aumento della copertura vaccinale.
 
La questione quindi non è scientifica, bensì giuridica con forti riflessi di opportunità politica. Nel dibattito pubblico sui vaccini e sul loro regime di obbligatorietà si è posto in queste settimane più volte il problema se siano lecite alcune misure di coercizione e di obbligo e se esse siano compatibili con il dettato costituzionale. Come è noto l’articolo 32 della Costituzione stabilisce, dopo avere precisato che la “Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario obbligatorio se non per disposizione di legge”.

La tutela della salute presuppone quindi il perseguimento del diritto del singolo e dell’interesse della collettività senza porre in essere una particolare gerarchia tra le due condizioni da tutelare. La Corte costituzionale ha avuto modo più volte di approfondire il concetto precisando che il disposto dell’articolo 32 deve essere bilanciato tra “il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo con il coesistente e reciproco diritto di ciascun individuo e con la salute della collettività”.
 
Sulla base di questi presupposti la Corte costituzionale con giurisprudenza costante ha ulteriormente precisato che una legge “impositiva” di un trattamento sanitario non è incompatibile con la Costituzione se risponde a tre requisiti:
a) se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute della collettività;

b) se vi sia "la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili";
 
c) se nell'ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio - ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica - sia prevista comunque la corresponsione di una "equa indennità" in favore del danneggiato.
 
Lo Stato quindi – o più correttamente il legislatore – può imporre trattamenti sanitari obbligatori negli ambiti e nei limiti precisati. L’imposizione, abbiamo visto, abbisogna di una legge. Tutte le storiche leggi sulle vaccinazioni erano leggi ordinarie. L’operazione che si mette in campo adesso utilizza, per la prima volta, lo strumento del decreto legge che deve avere, come caratteristica, di essere adottato in casi “straordinari di necessità e urgenza”. E’ chiaro il disposto costituzionale: il Governo può sottrarre al Parlamento la potestà legislativa – salva poi la conversione – solo in limitati casi.

Per la prima volta un trattamento sanitario obbligatorio – anzi dodici trattamenti insieme! - viene sottratto alla discussione parlamentare e alle diverse sensibilità. E’ curioso come in Parlamento ci sia, praticamente da inizio legislatura, il disegno di legge su “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” e prima alla Camera e poi al Senato siano state fatte decine di audizioni con esperti, società scientifiche, ordini professionali ecc.

Questo processo partecipativo, o quanto meno di ascolto, viene meno (o quanto meno fortemente ridotto) con la decretazione d’urgenza. Si mette in piedi frettolosamente il più grande piano collettivo di trattamento sanitario obbligatorio con l’improprio strumento del decreto legge in materia dell’unico diritto dichiarato come “fondamentale” dalla Costituzione: il diritto alla salute. Il decreto vaccini non riguarda però il solo diritto costituzionale alla salute ma interferisce con l’altro fondamentale diritto all’istruzione sempre costituzionalmente tutelato. Come abbiamo precisato non è in discussione la necessità di una efficace strategia vaccinale. Quella che è in seria discussione è la politica messa in atto con questo decreto legge e la sua attitudine a risolvere problemi.

La strategia ventennale del superamento dell’obbligo vaccinale
La legislazione sui vaccini non è cambiata in questi ultimi decenni perché le strategie di politica vaccinale si erano orientate sul “superamento dell’obbligo vaccinale”. Sin dal 1995 dietro un parere del Consiglio superiore di sanità – che ricordiamo essere l’organismo “consultivo tecnico” del Ministero della salute ed espressione della comunità scientifica e delle rappresentanze istituzionali delle professioni sanitarie - aveva auspicato “lo spostamento delle vaccinazioni dagli interventi impositivi a quelli della partecipazione consapevoli della comunità”.

I successivi piani sanitari vaccini avevano seguito quelle indicazioni. E’ chiaro che il superamento era da considerarsi una strategia di lungo periodo che implicava varie azioni: investimento sul personale addetto ai servizi vaccinali, investimento sui pediatri di libera scelta e sui medici di medicina generale, investimento sui servizi vaccinali, investimento sulle campagne sanitarie.

Se questa strategia ventennale è stata fallimentare – i dati sarebbero evidentemente a dimostrarlo – è lecito domandarsi se la politica tesa all’adesione consapevole alla pratica vaccinale sia stata attuata oppure no. In altri termini lo straordinario impegno di sensibilizzazione e formazione di centri, personale e popolazione è stato perseguito oppure è addirittura diminuito con le varie spending review variamente denominate? Le istituzioni preposte non possono esimersi dal rendere pubblico quanto è stato attuato dagli altrimenti inutili piani sanitari vaccini. La stessa relazione tecnica di accompagnamento al decreto legge ammette il calo delle coperture vaccinali in modo drastico a partire dal 2013 (la Spending review è del 2012).

In assenza di questi dati ecco che la scelta del legislatore delegato di oggi appare semplicistica e miope: mettere indietro le lancette dell’orologio agli anni novanta dello scorso secolo e attuare il più grande piano di trattamenti sanitari obbligatori addirittura con decreto legge. E’ lecito domandarsi se la prova muscolare del Governo possa essere efficace nel raggiungimento degli auspicati obiettivi di maggiore copertura vaccinale e a quale costo sociale. Inoltre è lecito domandarsi se tale politica possa financo arrivare ad aumentare la sfiducia nelle istituzioni e nell’adesione alle pratiche consapevoli.

Dagli anni novanta ad oggi si è diffusa, nonostante la totale assenza della politica e della legislazione, la pratica del “consenso informato”. Meritoriamente giurisprudenza e deontologia hanno anticipato e consolidato il fondamentale principio dell’autodeterminazione pur in assenza di una legge di regolamentazione. Prescindere da una corretta e ampia informazione e rinunciare a convincere una parte dei genitori dubbiosi o contrari è la sconfitta di un principio ormai immanente nel nostro ordinamento e da cui non si può prescindere.

La prova muscolare del decreto si articola su quattro livelli:
a) la preclusione del diritto alla frequenza agli istituti educativi entro i sei anni di età;
b) un severo regime sanzionatorio dai sei ai sedici anni con ammende che arrivano a 7500 euro;
c) la segnalazione alla Procura della Repubblica del Tribunale dei minorenni;
d) la prefigurazione di imprecisati interventi di emergenza da parte dell’autorità sanitaria.

Il contrasto tra il diritto alla salute (collettivo) e il diritto all’istruzione
Il decreto legge del Governo impone un regime di obbligatorietà con più risvolti. Per quanto riguarda la prima delle misure – l’obbligo di certificazione per l’iscrizione agli istituti educativi entro i sei anni di età – siamo in una condizione in cui l’inadempimento agli obblighi vaccinali comporta la compressione di un diritto costituzionalmente garantito come quello all’istruzione, indipendentemente dagli anni previsti per lo stretto obbligo scolastico. Il disposto del primo comma dell’articolo 34 della Costituzione – “La scuola è aperta a tutti” – soccomberebbe a fronte all’inadempimento vaccinale.

Le condizioni poste dal decreto per questioni preclusive all’iscrizione scolastica porta in se il rischio – già dichiarato in molti settori – di canali paralleli di istruzione a quella ufficiale. Tali rischi si corrono anche per il regime di ammende previste nel periodo dell’obbligo scolastico.

Sarebbe interessante capire se il legislatore delegato (il Governo) abbia valutato a fondo le conseguenze del regime sanzionatorio: l’esclusione dal percorso scolastico di una certa percentuale di bambini e ragazzi con genitori fortemente motivati a continuare a sostenere la “renitenza all’obbligo vaccinale”. La conseguenza è chiara: l’aumento del fenomeno degli “homeschooler” e delle “homeschooling” intendendosi per tali quei percorsi educativi alternativi alla frequenza a una scuola strutturata e che presuppongono il ruolo attivo dei genitori (anche se non esclusivo).
 
Il fenomeno, ben raccontato da Matt Ross nel film Captain Fantastic , è già presente in Italia e, rischia di avere una forte spinta dal decreto vaccini espellendo nei fatti migliaia di bambini i cui genitori hanno avuto la radicalizzazione delle proprie convinzioni proprio dal decreto vaccini stesso. L’adesione alle homeschooling sarebbe la faccia migliore del fenomeno perché presuppone comunque un progetto educativo, famiglie consapevoli ed economicamente in grado di gestire tale scelta e genitori capaci (o convinti di esserlo) di educare in autonomia i propri figli.

Nei settori meno avvertiti della popolazione il rischio è di spingere verso l’abbandono scolastico una parte della popolazione infantile e adolescenziale in cui non solo è in gioco solo l’istruzione, ma anche la perdita della possibilità della mera frequenza all’istituzione scolastica che, come è noto, rappresenta comunque un valore di per sé. E’ del tutto irrilevante il fatto che si possa distinguere l’impossibilità di iscrizione nella fascia 0-6 anni dalla possibilità di frequenza ma con multe elevate. Il rischio di abbandono è identico.
 
E’ configurabile l’obiezione di coscienza alle pratiche vaccinali?
Può essere utile domandarsi se l’auspicata (da taluni) obiezione di coscienza possa essere ammissibile proprio per le pratiche vaccinali. Ricordiamo che per obiezione di coscienza si intende il possibile riconoscimento dell’atteggiamento di rifiuto (o di astensione) per pratiche generalmente obbligatorie per la totalità dei consociati, motivata da ragione di carattere etico, religioso, politico. E’ esistita l’obiezione di coscienza al servizio militare, esiste, ad oggi, l’obiezione di coscienza alle procedure abortive, alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita e alla sperimentazione animale. Nel nostro ordinamento l’obiezione di coscienza è costruita come un istituto a fattispecie determinata, dove la stessa legge impositiva dell’obbligo prevede al suo interno la possibilità del non adempimento.

In questo caso l’obiezione di coscienza si collocherebbe all’interno del possibile (lecito) rifiuto alle pratiche vaccinali motivato sostanzialmente – anche se non esclusivamente – da istanze “politiche” (in tale categoria possono essere ricondotte le diverse visioni della medicina e dei suoi asseriti pluralistici orientamenti). In altre parole: la cultura dell’autodeterminazione può spingersi a scegliere la propria medicina tra le opzioni che il panorama attuale delle “medicine” offre e di conseguenza a perseguire gli obiettivi di salute che si ritengono più consoni ai propri convincimenti oppure se sia obbligatorio a conformarsi ai dettami della medicina scientifica (che i detrattori chiamano medicina di stato o medicina ufficiale)?

Nel caso dei trattamenti sanitari obbligatori la Costituzione prevede, nei limiti che abbiamo precisato, la riserva di legge per i trattamenti impositivi. L’obiezione di coscienza nei trattamenti vaccinali incontra numerosi problemi di “ordine logico” (e vanificherebbe la stessa finalità della vaccinoprofilassi obbligatoria.  Non possiamo che concludere con l’inammissibilità dell’obiezione di coscienza alle pratiche vaccinali.
 
Proprio perché è da escludersi l’ammissibilità del discusso istituto dell’obiezione di coscienza – si veda la disastrosa situazione della sua applicazione per l’interruzione volontaria della gravidanza – è da circondare con cautela l’obbligo imposto dalle norme di diritto positivo.  Il problema dell’accettabilità sociale emerge con forza proprio dall’inammissibilità dell’istituto dell’obiezione di coscienza che nasce per mitigare l’impatto sociale di un obbligo generalizzato e a riconoscere le sensibilità di minoranza.
 
L’intervento degli ordini dei medici
Eravamo già intervenuti sulle politiche vaccinali nei giorni in cui sembrava che la strada dovesse essere quella delle (inutili) legislazioni regionali e indicavamo le linee di intervento legislativo possibili per la maggiore obbligatorietà:
a) la trasformazione in obbligatorie di gran parte delle vaccinazioni raccomandate;
b) la previsione di leggi regionali;
c) il cambiamento del sistema ordinistico che permettesse di sanzionare con la massima delle sanzioni – la radiazione – i medici non allineati.

Eravamo stati facili profeti evidentemente. Il punto sub a) si è verificato pur mancando il largo consenso politico. Certo non potevamo immaginare l’inimmaginabile decreto legge per regolamentare la materia. Proprio quando il problema si caratterizza per la ricerca del consenso il Governo agisce con lo strumento che crea il minor consenso possibile. Le leggi regionali sono state giustamente accantonate, mentre il cambiamento ordinistico non vi è stato ma egualmente vi sono state le sanzioni espulsive. In attesa di leggere le motivazioni di tali gravi provvedimenti rimaniamo scettici sull’utilizzo così radicale della giustizia disciplinare ordinistica che non ha mai dato, soprattutto negli ultimi tempi, grande prova di se.

La “giustizia ordinistica”, se così la vogliamo chiamare, ha recentemente consegnato alle cronache tre decisioni clamorose:
a) la sospensione di soli sei mesi dall’albo del c.d. “dottor Mimetica” operata dall’Ordine provinciale di Genova per i gravi fatti che lo hanno visto coinvolto al G8 di Genova. Il comportamento contestato e appurato era relativo a numerosi casi che solo la carenza nel nostro ordinamento del reato di tortura impedisce di chiamare tali. L’Ordine genovese si è sempre rifiutato di rendere note le motivazioni di una sanzione così mite;
 
b) l’eguale sanzione comminata dall’Ordine provinciale di Bologna a ben nove medici dell’azienda sanitaria rei di avere stilato dei protocolli professionali. In questo caso la sproporzione tra il fatto e la sanzione sono evidenti (https://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=44638)
 
c) le sanzioni della radiazione dall’albo operate dagli Ordini di Treviso e di Milano a due medici rei, a quanto si comprende (motivazioni non rese note) di essere in dissenso sulla linea politica sui vaccini.

Avevamo già osservato che dei “procedimenti disciplinari ordinistici non esistono massimari, commentari, raccolte. Le decisioni non vengono pubblicate, commentate analizzate” e di molti non vengono neanche sotto richiesta rese note le motivazioni. Segnaliamo che per la giustizia disciplinare partecipare a tavoli di redazione di protocolli può essere sanzionato al pari di partecipazione ad atti di violenza contro pazienti, mentre la manifestazione del pensiero – ancorché critico e, forse, non abbiamo elementi per dirlo vista l’assenza della motivazione, non in linea con i dettami della medicina scientifica - può portare alla radiazione dall’albo.

E’ curioso che una decisione così grave, fortemente richiesta dalla politica, vedi le ripetute dichiarazioni dell’onorevole Gelli (e non solo da lui) venga fatta propria dall’istituzione ordinistica che dalla politica dovrebbe essere baluardo di autonomia. Tutta la questione è improntata dalla polemica politica tra i due maggiori partiti come è stato autorevolmente notato da due commentatori come Gavino Maciocco e Ivan Cavicchi. Vista l’imminenza delle elezioni politiche anticipate il decreto vaccini rischia di diventare propaganda elettorale. Gli Ordini dimostrino l’autonomia dalla politica che talvolta rivendicano e spesso non praticano.
 
Oltre la forza vi è spazio per l’adesione consapevole e l’informazione?
Era lecito aspettarsi un decreto a due facce: obbligo e iniziative tese a recuperare il consenso. Troviamo in realtà solo la prova di forza. Il decreto prevede iniziative di formazione del personale docente, degli studenti e con il coinvolgimento delle associazioni dei genitori a cura del Ministero della salute e del Ministero dell’istruzione.

I motivi di perplessità sono di due ordini. Le risorse stanziate sono sostanzialmente ridicole. Sono previsti duecentomila euro per l’anno in corso. Se non siamo male informati la scuole in Italia sono circa 8500. Lo stanziamento per singola scuola ammonta quindi a circa 23 euro!
L’altro ordine di motivi è storico. Sia il ministero della salute che quello dell’istruzione non hanno mai dato buona prova in queste campagne: il ministero della salute con il c.d. “fertility day” ci ha consegnato un doppio infortunio di cui non si sentiva il bisogno, mentre chi ha buona memoria ricorda ancora le polemiche scatenate dal fumetto anti Aids con Lupo Alberto nel 1992.
 
Conclusioni
Il Governo ci consegna un decreto pasticciato, non finanziato, frettoloso e dai risultati incerti il cui demerito principale è proprio quello di inasprire il confronto sociale senza alcuna certezza “che la coercizione ottenga risultati migliori di altre misure di informazione credibile e ricerca del consenso e responsabilizzazione sociale”. C’è da augurarsi un sussulto di dignità del Parlamento in questo fine legislatura e da auspicare che non si arrivi a una conversione in legge con voto di fiducia che non farebbe che aumentare l’opposizione alle pratiche vaccinali.
 
Luca Benci
Giurista  


08 giugno 2017
© Riproduzione riservata

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