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Osteopati e chiropratici riconosciuti per via politica?

di Luca Benci

Sembra proprio di sì. Secondo quanto approvato in Commissione Affari Sociali, con il nuovo testo del ddl Lorenzin, osteopati e chiropratici diventano infatti a pieno titolo professioni sanitarie per via politica e la loro istituzione avviene con questo testo di legge, mentre gli adempimenti successivi sono solo applicativi della decisione che il Parlamento è chiamato a votare

04 OTT - Continua a tenere banco la questione del riconoscimento delle figure professionali dell’osteopata e del chiropratico all’interno del ddl Lorenzin.
 
Il riconoscimento di nuove figure professionali sanitarie è una tematica delicata in quanto coinvolge direttamente il diritto costituzionale alla salute e il suo soddisfacimento attraverso i professionisti che erogano direttamente le cure.
 
Solo nel campo dei profili professionali, da un ventennio, ci sono ben ventidue professioni riconosciute, alcune delle quali, potrebbero essere pacificamente riunite tra loro, vista l’omogeneità dell’agire professionale e della loro formazione.
 
Sarebbe una salutare opera di semplificazione di cui ci sarebbe un reale bisogno.
Il legislatore, invece, in controtendenza si adopera per istituirne due nuove. La questione è probabilmente inopportuna, ma senza dubbio legittima in quanto la normativa vigente – la legge 1 febbraio 2006, n. 43 – ne disciplina puntualmente l’iter.
 
Tutta la disciplina vigente si basa su un unico procedimento unitario, disciplinato dall’articolo 5 della legge 43/06, che prevede che per il riconoscimento delle nuove figure si passi attraverso l’individuazione che consiste:
a) nel recepimento di direttive comunitarie ovvero per iniziativa di Stato e Regioni “in considerazione dei fabbisogni connessi agli obiettivi di salute previsti nel Piano sanitario nazionale o nei Piani sanitari regionali, che non trovano rispondenza in professioni già riconosciute”;
 
b) in un accordo della Conferenza Stato Regioni che definisce il “titolo professionale e l’ambito di attività”;
 
c) nel parere tecnico scientifico del Consiglio superiore di sanità allargato agli esperti del ministero della salute, delle regioni e degli ordini professionali. La norma specifica che l’individuazione è subordinata al parere;
 
d) funzioni che non devono essere parcellizzate e sovrapporsi alle funzioni delle professioni già esistenti.
 
Per essere individuata, quindi, una professione deve avere il parere positivo del Consiglio superiore di sanità in una composizione particolarmente qualificata espresso da apposite commissioni istituite ad hoc. L’individuazione, lo ripetiamo, è subordinata al parere. In assenza del parere o in caso di parere negativo l’individuazione non avviene.
 
Questa procedura appare decisamente rigorosa in piena linea con le delicate decisioni che si intendono prendere.
 
Il ddl Lorenzin – secondo la modifica che è stata operata all’interno della Commissione Affari sociali della Camera - modifica la procedura di riconoscimento e introduce una distinzione, a prima vista incomprensibile, tra individuazione e istituzione delle figure professionali.
 
L’individuazione spetterebbe allo Stato o alle Regioni anche su istanza della associazioni rappresentative delle figure che aspirano a essere riconosciute, mentre l’istituzione sarebbe il passaggio successivo e avverrebbe previo parere (non quindi subordinata al parere) tecnico-scientifico del Consiglio superiore di sanità ma non più in composizione qualificata.
 
L’incompatibilità logica di questo procedimento appare lampante e senza senso. Quale può essere il motivo per suddividere un processo di riconoscimento in due fasi in cui la seconda deve logicamente precedere la prima? Se non vi sono i requisiti scientifici di una figura non la si individua! Nelle pieghe del ddl, così come modificato  dalla Commissione Affari sociali, se ne comprende in realtà la ratio: l’istituzione della nuova figura avviene soltanto previo parere e non è più subordinata al parere del Consiglio superiore di sanità.
 
La differenza è sostanziale: il parere non costituisce più il presupposto per l’esistenza del riconoscimento, ma viene declassato a mero  parere obbligatorio non vincolante. L’individuazione può avvenire per via politica prescindendo dal parere tecnico-scientifico.
 
Il ddl Lorenzin poi scopre le sue carte e all’articolo 4, deroga subito a se stesso, dettando una  disciplina ad hoc per l’osteopata e il chiropratico. Non a caso l’articolo è rubricato proprio come “individuazione e istituzione delle professioni sanitarie dell’osteopata e del chiropratico” laddove, invece, doveva limitarsi all’istituzione visto il richiamo alla nuova procedura che due articoli prima era stata disciplinata.
 
Il legislatore individuerebbe con la stessa legge la figura dell’osteopata e del chiropratico dettando al contempo una tempistica molto stringente: entro tre mesi la Conferenza Stato Regioni dovrebbe definire l’ambito di attività e le funzioni dell’osteopata e del chiropratico e i relativi titoli equipollenti e entro sei mesi si stabiliscono gli ordinamenti didattici. Questa tempistica non è presente nella normativa di riconoscimento ordinaria appena istituita e modificatrice della legge 43.
 
Non è presente, inoltre, la ratio dell’istituzione richiesta dalla normativa vigente e (forse) futura.  Una nuova figura trova la sua ragione di essere, lo abbiamo visto, “in considerazione dei fabbisogni connessi agli obiettivi di salute previsti dal piano sanitario nazionale e dai piani sanitari regionali”. Il legislatore omette i riferimenti perché non esistenti.
 
Ecco allora che non muta il codice genetico del ddl Lorenzin in relazione al riconoscimento delle figure dell’osteopata e del chiropratico. Lo avevamo definito, dopo il passaggio al Senato, una normativa ad professionem dettata solo dalla volontà di permettere al legislatore riconoscimenti di figure professionali per via politica.
 
Una sola sottile differenza: la norma del Senato era smaccatamente derogatoria per l’istituzione delle due nuove figure, mentre il testo uscito dalla Commissione Affari sociali della Camera, risulta decisamente più subdolo,  introducendo la distinzione che abbiamo sopra visto e che istituisce la figura dell’osteopata e del chiropratico non sottoponendoli alla reale verifica tecnico-scientifica preclusiva dell’istituzione.
 
Il previo parere viene espresso dal Consiglio superiore di sanità senza le integrazioni professionali previste dall’attuale normativa che ne facevano un’assise particolarmente qualificata per esprimere pareri  di tal fatta. Il depotenziamento dell’organo consultivo inficia direttamente la qualità del parere.
 
Curioso che il Parlamento, così solerte a invocare la scienza nel decreto governativo sui vaccini se ne discosti avocando a sé la decisione dell’istituzione di figure professionali sanitarie senza la disamina della scientificità dell’agire professionale.
 
Non si comprende come possa essere garantito il diritto costituzionale alla salute, ex art. 32 Costituzione, nel momento in cui si prescinde dalla scientificità dell’agire della neo figura sanitaria.
 
Un altro punto da segnalare è relativo alle conseguenze del riconoscimento con la revisione dei Lea, l’assunzione delle nuove figure presso le strutture del servizio sanitario nazionale e, conseguentemente, la modifica della normativa concorsuale. Per tacere, infine, sulla problematica relativa alla pigra formuletta legislativa “senza o nuovi oneri a carico della finanza pubblica” che non è presente nel testo della novella ma ancora presente nel testo novellato della legge 43/2006.
 
E’ chiaro a tutti, a questo punto, che con questo testo osteopati e chiropratici diventano a pieno titolo professioni sanitarie per via politica, che la loro istituzione avviene con questo testo di legge e gli adempimenti successivi sono solo applicativi della decisione che il Parlamento è chiamato a votare.
 
I deputati che, dalla prossima settimana, saranno nell’aula a votare la legge saranno chiamati anche ad avallare questa decisione.
 
Luca Benci
Giurista

04 ottobre 2017
© Riproduzione riservata

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