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Violenza sugli operatori: infermieri chiedono tolleranza zero, maggiore formazione e informazione. Audizione Fnopi al Senato 


Secondo la Fnopi si stanno affermando messaggi culturali che inducono la popolazione a coltivare una rabbia crescente verso gli operatori delle strutture. A questo concorrono le notizie spesso scandalistiche sui servizi sanitari, che creano a priori un’aspettativa negativa nei confronti dei servizi, che a sua volta fomenta la frustrazione e la rabbia e mina il rapporto di fiducia tra cittadini e operatori. IL TESTO DELL'AUDIZIONE

09 GEN - Violenza sugli operatori sanitari: si dia il via a una formazione continua degli operatori sugli aspetti della comunicazione e della relazione di aiuto nei confronti degli assistiti perché i professionisti devono saper comunicare con fermezza che gli atti di violenza non sono permessi o tollerati.

La Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI), è stata ascolta oggi in  audizione alla Commissione Igiene e Sanità del Senato sul Ddl 867  “Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni”.

Secondo la Federazione si stanno affermando messaggi culturali che inducono la popolazione a coltivare una rabbia crescente verso gli operatori delle strutture. A questo concorrono le notizie spesso scandalistiche sui servizi sanitari, che creano a priori un’aspettativa negativa nei confronti dei servizi, che a sua volta fomenta la frustrazione e la rabbia e mina il rapporto di fiducia tra cittadini e operatori.

“Non è creando allarme sociale o incertezza nei cittadini – ha detto Franco Vallicella, componente del Comitato centrale FNOPI all’audizione - che si risolvono i problemi del Ssn e non si riduce la violenza rimettendo il medico o un’altra figura professionale al centro: al centro si deve rimettere il paziente.
Non è possibile scindere il problema rispetto a una professionalità, ma ad affrontarlo deve essere l’équipe e medici, infermieri e le stesse aziende devono costruire sinergie in questo senso perché non è il solo ministero della Salute o le sole Regioni a poter risolvere in problema: è un problema di contesto”.

Si deve anche stare attenti a far passare messaggi distorti come ad esempio quelli recenti sull’emergenza e le relative competenze che mettono ansia e generano paure nei cittadini, inasprendo il loro rapporto con gli operatori.

Nel settore sanitario, sociosanitario e in modo particolare proprio nei servizi di emergenza-urgenza e nelle strutture psichiatriche, le aggressioni fisiche hanno raggiunto rispettivamente il 48% e il 27% degli operatori; gli insulti sono risultati invece praticamente ubiquitari, avendo coinvolto rispettivamente l'82 e il 64% degli operatori, e percentuali più o meno simili si trovano per le minacce. E dei professionisti della Sanità gli infermieri sono quasi il 50 per cento.

“Solo l’impegno comune di tutti però (direzioni aziendali, dirigenza infermieristica e medica, coordinatori, professionisti e loro rappresentanti, organizzazioni sindacali, rappresentanti dei cittadini, organi di informazione) può migliorare – ha proseguito - l’approccio al problema e assicurare un ambiente di lavoro sicuro. Tanto più che gli atti di violenza possono ripercuotersi negativamente anche sulla qualità dell’assistenza offerta ai cittadini”.

Bisogna aumentare non solo la formazione degli operatori quindi, ma anche l’informazione, perché secondo la FNOPI è necessario siano denunciate da tutti e in modo chiaro anche altre forme di violenza nell’ambito lavorativo, come le azioni di ricatto e le persecuzioni rispetto alla posizione e ai compiti svolti.

Un mobbing spesso sommerso che colpisce in prevalenza il sesso femminile (gli infermieri sono donne quasi al 78% della forza lavoro) e che alla fine indebolisce anche il rapporto tra professionista e cittadino.

Non si può più “lasciar fare” ha sottolineato la Federazione e in questo vanno sensibilizzati i datori di lavoro e i responsabili dei servizi: la violenza va rifiutata ed evitata e per questo si devono prevedere sanzioni anche per chi non è in grado di garantire la sicurezza dei suoi dipendenti.
Tra le cause che forse è possibile attenuare c’è, secondo la FNOPI,  sicuramente l’eccesso di attesa per una prestazione sanitaria, soprattutto nei pronto soccorso dove si assumono a volte tempistiche davvero stressanti.

“Esistono in questo senso – ha spiegato Vallicella - meccanismi già collaudati in alcune Regioni benchmark con sistemi di smistamento alternativi (ad esempio il See&Treat, ambulatori di fatto di primo soccorso infermieristico) per alleggerire le file dagli interventi a bassa intensità di cura e ridurre la tensione e la reattività dei pazienti. Ma anche in questo senso, oltre a un’organizzazione da regolamentare a livello nazionale, occorre una sinergia totale dal punto di vista dei rapporti tra professioni che eviti momenti di tensione che poi si ripercuotono sui rapporti con i cittadini”.

C’è sicuramente da risolvere il problema di non lasciare soli gli operatori e quello degli organici sempre più ridotti. Il cittadino non ha chiaro chi si prende cura di lui: deve capirlo che a farlo è l’équipe secondo la FNOPI.

E questo anche rispetto all’assistenza domiciliare, altro terreno di rischio per la violenza sugli operatori, spesso modelli organizzativi sono decisi da pochi mentre il sistema di rischio clinico deve avere modalità diffuse, interconnesse e condivise da tutti. Lo sviluppo tecnologico ad esempio, che non riesce a decollare per colpa di scarsi investimenti, è una risorsa per aiutare gli operatori in remoto e a distanza: non si può pensare a un’assistenza domiciliare fatta sempre in almeno due, ma si può immaginare così un controllo continuo su chi la eroga.

09 gennaio 2019
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