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Dl Calabria. Anaao: “Non si tocchi la possibilità di assumere specializzandi”


Il sindacato della dirigenza medica e sanitaria difende la misura contenuta nel provvedimento ora in discussione al Senato e replica alla presa di posizione delle Università. “I baroni universitari alzano le barricate contro ogni tentativo di cambiare un sistema di formazione medica post laurea del cui fallimento sono i principali responsabili e gli unici a non accorgersi”.

06 GIU - L’Anaao Assomed considera “razionale ed immodificabile la via di uscita dall’attuale carenza di specialisti indicata dalla Camera in sede di conversione del Decreto Calabria e sostenuta dal Ministero della salute, Giulia Grillo in un recente intervento. La possibilità di assumere, prima a tempo determinato e poi indeterminato, i medici specializzandi alla fine del loro percorso formativo, anticipa la loro età di ingresso nel mondo del lavoro, con evidenti benefici sul turnover, sul ricambio generazionale del sistema e sul loro conto previdenziale”.
 
“Ma, si sa - commenta Carlo Palermo, Segretario Nazionale Anaao Assomed - gli specializzandi sono “proprietà” dell’Università, forza lavoro a basso costo necessaria per giustificare le migliaia di primariati universitari. Così, un mondo che si sente, ed è stato autorizzato da tutti i governi, regionali e nazionali, di qualunque colore politico, a sentirsi altro rispetto all’interesse nazionale, variabile indipendente tenuta al riparo da riorganizzazioni e ristrutturazioni, spending review e tagli di strutture, oggi scende in campo per porre veti e minacciare ricorsi, non si capisce a che titolo. Mentre ieri ha assistito muto, e interessato, allo scempio dei LEA e dell’articolo 32 della Costituzione, perpetrato in molte Regioni”.
 
“I baroni universitari alzano le barricate contro ogni tentativo di cambiare un sistema di formazione medica post laurea del cui fallimento sono i principali responsabili e gli unici a non accorgersi. Incuranti del ridicolo, gridano alla violazione costituzionale in relazione alla disparità di trattamento con i medici già specialisti, ignorando che le due popolazioni professionali vengono inserite in due distinte graduatorie e che quella degli specializzandi si attiva solo dopo l’esaurimento della prima. Gridano alla compromissione della qualità dell’assistenza, nell’ipocrisia del si fa ma non si dice che omette di rivelare che già oggi nei loro policlinici usano i medici in formazione per l’attività assistenziale, da soli, di giorno e di notte. Gridano all’assenza di urgenza, come se non fosse urgente intervenire per rimediare alla carenza di specialisti che sta mettendo in ginocchio il servizio sanitario nazionale”.
 
“E fingono di non vedere la sanità da tempo di guerra evocata dal caos normativo prodotto dalla creatività delle Regioni,  nel tentativo affannoso di evitare sulla porta degli ospedali il cartello “chiuso per ferie”. Medici militari precettati, medici pensionati richiamati come “riservisti”, medici presi in affitto come un bilocale, medici a gettone come un jukebox, medici neo-laureati in Pronto Soccorso con inutili contratti biennali, medici stranieri reclutati a Timisoara ma scarsamente allettati dai nostri magri stipendi, mentre in omaggio al “prima gli italiani” i nostri giovani sono i primi ad andare via. Offerti come un sacrificio rituale non solo all’Europa, ma anche ai Paesi arabi, dopo che i contribuenti italiani hanno pagato fior di tasse per la loro formazione”.
 
“Una condizione emergenziale – prosegue Palermo - che viene affrontata conformandosi a modalità di formazione post laurea presenti nel resto d’Europa, mettendo a disposizione degli specializzandi, peraltro su base volontaria, un percorso professionalizzante che la ristretta casistica delle cliniche universitarie non riesce ad assicurare, come dimostra il mancato accreditamento di molte scuole di specializzazione. È da irresponsabili tentare di affossare l’unica strada percorribile a fronte della babele in cui le autonomie regionali stanno precipitando la più grande infrastruttura sociale del Paese, con la pretesa di mantenere nel chiuso di pochi Policlinici universitari più di 30.000 medici, e non studenti, laureati, abilitati e pagati dalla collettività”.
 
“La sanità pubblica – conclude - è a rischio, anche per i ventilati tagli al Fsn. Ma i poteri forti e le élites universitarie non ne percepiscono la gravità, impegnate come sono nella difesa di anacronistici privilegi. Ma il Parlamento non può certo lasciarsi intimidire da organismi autoreferenziali che antepongono le proprie convenienze al bene generale”.

06 giugno 2019
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