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L'ospedale il luogo più a "rischio" per chi ci lavora. Qui il 55% degli infortuni tra gli operatori. I risultati della Ricerca Anmil


26 FEB - Andamento degli infortuni sul lavoro
Nel quinquennio 2009 – 2013, a fronte di una flessione generale del 25% circa, nel settore della Sanità il calo è risultato più contenuto: in particolare per le donne gli infortuni sono scesi dai circa 37.000 del 2009 ai 31.900 del 2013 per una riduzione pari al 13,7%. C’è da ritenere che la Sanità rappresenti uno di quei settori in cui la base occupazionale, data anche la consistente componente di natura pubblica, ha risentito meno degli altri degli effetti negativi della grave crisi economica.
Va segnalato, comunque, che la Sanità è uno di quei settori (pochissimi) in cui l’incidenza infortunistica femminile è superiore a quella maschile sia in termini assoluti che relativi.
 
I comparti lavorativi
La maggior parte degli infortuni sul lavoro, 17.500 circa nel 2013 pari al 55% del totale, si verificano nelle Strutture ospedaliere o nelle Case di cura, veri e propri microcosmi in cuila natura estremamente eterogenea degli ambienti di lavoro, delle lavorazioni, dei ruoli e delle mansioni, presenta una potenziale ed ampia varietà di rischi sul piano infortunistico. Molti infortuni si verificano anche nelle strutture di Assistenza sociale per anziani e disabili (28%).
 
Le professioni a rischio
È l’Infermiera l’operatrice più colpita in assoluto da infortuni tra tutte le innumerevoli figure professionali che operano nella sanità o nell’ambito dell’assistenza sociale: ogni anno le Infermiere subiscono infatti oltre 10.000 infortuni, pari al 32% del totale. In pratica, su tre operatrici sanitarie infortunate una è Infermiera.
Tra lealtre figure professionali, incidenze infortunistiche di rilievo si riscontrano per le Operatrice socio-sanitarie(con il 10% del totale), le Ausiliarie ospedaliere (5,3%) e le Portantine (4,1%).
 
Le cause degli infortuni
La prima causa di infortunio per le donne che operano nella Sanità è rappresentata dalla “Caduta di persona” che conta nel 2013 circa 5.500 infortuni, pari al 23% del totale. Si tratta di eventi di natura “generica” dovuti a scivolamenti, urti, perdita di equilibrio, ecc. connessi alle innumerevoli “barriere architettoniche” che si incontrano in ambienti e strutture così complessi e spesso precari.
Una causa “specifica”, connessa al sollevamento o lo spostamento di pazienti, è alla base di gran parte dei circa 4.000 infortuni (17% del totale) dovuti a “Movimenti sotto sforzo fisico”.
Ma esiste anche un altro rischio di natura molto particolare e diffuso soprattutto tra le operatrici di questo settore: “Aggressione o violenza da parte di estranei”. Dei circa 4.000 infortuni indennizzati complessivamente dall’INAIL nel 2013 per questa particolarissima tipologia di eventi, circa 1.200 (quasi un terzo del totale) sono avvenuti nella Sanità e di questi ben il 71% (851 casi) ha interessato la componente femminile. Si tratta in genere di aggressioni da parte di pazienti (per lo più psicolabili), di parenti o di altri utenti per motivi vari o di casi similari.
 
Le conseguenze degli infortuni
Il settore della Sanità presenta una incidenza infortunistica molto diffusa ma, allo stesso tempo, di gravità fortunatamente moderata (alta frequenza – bassa gravità).
Dei 23.530 infortuni indennizzati nel 2013 alle operatrici sanitarie la stragrande maggioranza, ben 22.712 pari al 96,6% del totale, si è risolta con esiti di inabilità temporanea al lavoro; la quota di infortuni con esiti permanenti, pari al 3,4% del totale, è notevolmente inferiore a quella media nazionale (8%) e a quella di settori ad “alto rischio” come le Costruzioni (12%).
Tenendo conto della durata media delle inabilità temporanee indennizzate rilevata dall’INAIL (24 giorni) e dei giorni non indennizzati per i casi in franchigia, si può stimare che ogni anno le operatrici della sanità perdono circa 600.000 giornate di lavoro a causa degli infortuni.
 
La natura e la sede delle lesioni
Le lesioni fisiche di gran lunga più frequenti in caso di infortunio sono Lussazioni, Distorsioni e Distrazioni con 10.000 casi nel 2013 (pari al 43% del totale), diretta conseguenza evidentemente delle frequenti cadute. Tipici e specifici delle attività proprie del personale sanitario sono le Lesioni da sforzo (3,7% del totale) connesse al sollevamento, spostamento di pazienti o di carichi pesanti.
Conseguentemente, la sede anatomica più interessata da questi traumi è la Colonna vertebrale con circa 5.200 infortuni nel 2013, pari quasi a un quarto del totale, seguita dalla Mano (12%).
 
Le operatrici straniere
Anche per le operatrici sanitarie di origine straniera si registra un calo infortunistico di rilievo: da 4.500 infortuni del 2009 ai 4.000 del 2013 per una riduzione del 9,1%. La quota di straniere infortunate si attesta stabilmente intorno al 13% del totale.
La comunità straniera di gran lunga più rappresentata è quella della Romania con oltre 650 infortuni nel 2013, pari al 16,1% del totale. Molto nutrita anche la rappresentanza sudamericana, in particolare del Perù, (12,3% degli infortuni) e Ecuador (5,3%). Seguono, con quote minori, altre comunità dell’est europeo (Albania, Polonia, Ucraina, Moldova), e dell’America centro-meridionale(Brasile, Repubblica Dominicana, Colombia, Argentina).
 
Le malattie professionali
Il 90% di tutte le malattie professionali denunciate dalle operatrici sanitarie riguarda l’Apparato muscolo-scheletrico ed osteo-articolare, ed è dovuto a sovraccarico biomeccanico, posture incongrue, movimenti scoordinati o ripetuti, ecc.
Queste patologie hanno conosciuto una crescita notevolissima a seguito dell’emanazione delle nuove“Tabelle delle malattie professionali” (D.M. 9 aprile 2008) che hanno esteso l’elenco di quelle tecnopatie che godono della cosiddetta “presunzione legale d’origine professionale”, inserendo in “tabella”, appunto, le Patologie muscolo-scheletriche.
Lo status di “tabellate”, esonerando il lavoratore dall’onere della prova del nesso causale, ha certamente favorito un ricorso più massiccio allo strumento assicurativo per il riconoscimento e l’eventuale indennizzo di queste patologie, divenute ormai una vera e propria “emergenza”.
Nell’ultimo quinquennio le patologie muscolo-scheletriche delle operatrici sanitarie sono cresciute di ben il 73%, passando dai 762 casi del 2009 ai 1.319 del 2013. Proprio la "movimentazione" dei pazienti e dei carichi è, secondo i dati dell'INAIL, una delle principali cause oltre che di infortuni anche di malattie professionali: nel 2013 oltre la metà delle patologie muscolo-scheletriche rilevate ha riguardato problemi legati ai dischi intervertebrali; per il resto, per il 30% si tratta di Tendiniti e per il 12% di Sindromi del tunnel carpale.
Per le altre malattie professionali si registrano, invece, numeri molto più ridotti (poche decine di casi l’anno) sia per quelle “tradizionali” (Malattie respiratorie, Malattie cutanee, ecc.) che per quelle “emergenti” come i Disturbi psichici e comportamentali, tra i quali vanno segnalati lo “stress lavoro correlato” e il“burnout”, un malessere lavorativo di natura psico-fisica che colpisce in modo particolare proprio gli operatori della sanità.
Queste tipologie di disturbi di natura psichicasi vanno sempre più diffondendo nella nostra società ma, per una serie di fattori legati alle difficoltà di accertamento della causa lavorativa, risultano ampiamente sottostimate nelle statistiche ufficiali.
 
Stress lavoro-correlato e burnout
Rispetto ai rischi psicosociali riscontriamo oggi una forte disomogeneità nel quadro delle tutele esistenti.
Infatti, mentre l’obbligo di valutazione dello stress lavoro-correlato è disciplinato espressamente dall’art. 28 del d.lgs. n. 81/2008 e la metodologia per la valutazione e la gestione dello stress sul luogo di lavoro è stata dettagliatamente disciplinata la Lettera circolare contenente le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio stress lavoro correlato, emanata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il 18 novembre 2010, ancora incompleto è il quadro delle tutele rispetto al fenomeno del burnout che caratterizza in modo del tutto peculiare proprio le professioni sanitarie, a tutti i livelli.
Il burnout, infatti, è ingenerato soprattutto dal contatto prolungato con la sofferenza e la malattia altrui; ciò specie nel caso di coloro che operano nei reparti psichiatrici, nei pronto soccorso, nei reparti di terapia intensiva, nei reparti oncologici o con malati di AIDS e ancora nei reparti e ambulatori per patologie croniche e invalidanti. Da un punto di vista giuridico il burnout non è stato ancora espressamente regolamentato a livello normativo, né tanto meno acquisito espressamente da un punto di vista giurisprudenziale.
Anche da un punto di vista giurisprudenziale la situazione sembra essere ancora controversa. Invero, se in sede di giudizio nei confronti del datore di lavoro la Cassazione tende oggi a riconoscere all’operatore sanitario il risarcimento del danno biologico, del danno morale, del danno esistenziale e di quello patrimoniale, più incerte sembrano essere la prassi amministrativa INAIL e la giurisprudenza rispetto ai profili indennitari ove a questi fenomeni non sia riconducibile causalmente una vera e propria malattia di origine lavorativa.
 
Violenza e aggressioni da parte di soggetti terzi (clienti o pazienti)
Altrettanto in fieri e tutto da definire è il quadro delle tutele cogenti per le donne in Sanità vittime di violenza o aggressioni da parte di soggetti terzi. Questi fenomeni, distinti dalle forme di violenza fisica e morale provenienti da colleghi o superiori, consistono proprio in quelle forme di violenza, perpetrate in danno delle operatrici da parte di terzi, quali pazienti ed utenti del servizio e delle prestazioni sanitarie. Tali comportamenti costituiscono rischi esogeni rispetto all’attività produttiva, ma vanno gestiti e valutati nei contesti lavorativi in cui siano frequenti e prevedibili; di conseguenza il settore sanitario non pare sfuggire all’obbligo di valutazione del rischio riconducibile all’aggressione di un terzo, anche a scopo sessuale, ed ai correlati doveri di informazione e formazione dei lavoratori esposti, ferma restando la necessità di verificare caso per caso le circostanze fattuali in cui la violenza si verifica.
Nell’attesa di una regolamentazione normativa specifica, ad oggi ancora assente, di tale evidenza ha preso atto il Ministero della Salute con la raccomandazione n. 8 del 2007, Raccomandazione per prevenire gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari.
 
I disturbi muscolo-scheletrici
I disturbi a carico dell’apparato muscolo-scheletrico sono da tempo oggetto di regolamentazione a livello comunitario e nazionale. Nonostante ciò si rileva ad oggi la carenza di prescrizioni normative specifiche e di dettaglio, di livello nazionale ed unitario, sulle modalità di gestione e prevenzione dei rischi per i singoli settori produttivi (oltre alle più ampie e generali previsioni già presenti nel d.lgs. n. 81/2008) e con specifico riferimento al comparto Sanità. Né può dirsi che tale vuoto possa essere effettivamente colmato dalle cosiddette “linee-guida” o “linee di indirizzo”, elaborate a livello istituzionale, anche per il settore sanitario. In relazione a questa tipologia di rischi, poi, un altro problema è rappresentato dalla disomogeneità delle attività ispettive e di vigilanza, nell’ambito del territorio nazionale, per cui a seconda della Regione si riscontrano prassi diverse di valutazione del rischio e parametri sanzionatori molto differenti tra loro.
E ancora, dal punto di vista prevenzionale le tecniche di valutazione del rischio, risentono della discutibilità sotto il profilo scientifico di molte metodologie di valutazione dei rischi per l’apparato muscolo-scheletrico ad oggi impiegate e degli studi sulle stesse basate.
 
Fonte: Anmil

26 febbraio 2015
© Riproduzione riservata
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