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Cassazione: “Non c’è reato di abuso della professione per il farmacista che effettua test antigenici Covid in parafarmacia”


Lo ha stabilito una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso di un farmacista condannato per abuso della professione per aver eseguito test antigenici Covid nella sua parafarmacia. Per i giudici non c’è abuso della professione in quanto un farmacista è comunque un farmacista indipendentemente da dove opera, anche se tale attività potrebbe essere “potenzialmente rilevante ad altri fini e se del caso idonea a configurare profili di responsabilità connessi a conseguenze non volute del test praticato”. LA SENTENZA.

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Un farmacista che effettua test antigenici in una parafarmacia non può essere perseguito per il reato di abuso della professione di cui all'art. 348 del codice penale. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 22434/2022 con la quale ha accolto il ricorso di un farmacista al quale era stato contestato tale reato per aver effettuato test antigenici per il Covid nella sua parafarmacia.

Per la Corte se è vero che la legge attuale prevede che tali test “possono essere eseguiti presso farmacie aperte al pubblico dotate di spazi idonei sotto il profilo igienico sanitario e atti a garantire la tutela della riservatezza, con disciplina delle modalità organizzative e delle condizioni economiche rimessa ad apposite convenzioni”, è altresì vero che “le farmacie devono essere evidentemente riconducibili a soggetti abilitati allo svolgimento della professione di farmacista, per la quale occorre un particolare titolo abilitativo e l'iscrizione al relativo albo”.

Ma va anche “rimarcato che nell'esercizio della professione di farmacista …è rilevante il profilo della preparazione garantita dall'iscrizione all'albo, ai fini dell'erogazione della prestazione professionale con rilevanza esterna, nella quale assume un rilievo cruciale il rapporto tra il professionista e il destinatario dell'attività” e che “d'altro canto, l'art. 348 cod. pen. è volto ad assicurare la tutela di un interesse pubblico in relazione allo svolgimento di attività che possano dirsi esclusive o comunque qualificanti nell'ambito di una determinata professione”.

“Senonché – rileva ancora la Corte - nel caso dei testi antigenici è previsto dal legislatore che gli stessi possano essere effettuati da operatori sanitari o da altri soggetti reputati idonei dal Ministro della Salute…Ed allora deve ritenersi che l'attività non solo non possa dirsi preclusa ai farmacisti ma sia specificamente anche ad essi riferibile”.

“A fronte di ciò – si legge ancora nella sentenza - la disposizione dettata dall'art. 1, commi 488 e 489, legge 178 del 2020, non introduce una limitazione inerente allo svolgimento della professione in sé, ma contempla una disciplina che ha una duplice finalità, esulante dall'ambito delle garanzie specificamente riconducibili all'abilitazione e alla connessa all'iscrizione all'albo, cioè da un lato quella di assicurare le migliori condizioni di sicurezza e riservatezza sotto il profilo del contesto operativo e dall'altro quella di garantire determinati equilibri di tipo economico, con riguardo agli esborsi richiesti alla platea dei fruitori del servizio”.

“Ne discende che la violazione in concreto ascrivibile al ricorrente, potenzialmente rilevante ad altri fini e se del caso idonea a configurare profili di responsabilità connessi a conseguenze non volute del test praticato, non è tuttavia rilevante ai fini dell'integrazione del delitto di cui all'art. 348 cod. pen., di cui il Tribunale ha ravvisato il fumus, posto a fondamento del sequestro preventivo, residualmente confermato”, conclude la Corte.



10 giugno 2022
© Riproduzione riservata

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