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Ambulatori a bassa complessità. Snami scrive a Donini: “Sanare la ‘babele’ per i codici bianchi” 


Gli ambulatori affidati ai medici della continuità assistenziale all’interno dei maggiori Ps, che le varie Ausl “in ordine sparso stanno tentando di organizzare” e la mancanza di un coordinamento regionale sulla materia, sta generando non poche criticità, denuncia il sindacato che chiede una cornice regionale e la riforma formazione medica

05 OTT -

Gli ambulatori per i cosiddetti “codici bianchi”, quelli a bassa complessità, affidati ai medici della continuità assistenziale all’interno dei maggiori Pronto soccorso, sono una ‘cura’ ai problemi della rete di emergenza-urgenza (che soffre i troppi accessi ai Ps e la mancanza di professionisti). La Regione li ha annunciati ad agosto dicendo che da settembre sarebbero stati operativi ‘sul campo’. Ma lo Snami, sindacato dei medici, fa sapere che non tutto sta filando liscio.

Con una lettera all’assessore regionale alla Sanità, Raffaele Donini, il presidente dello Snami Emilia-Romagna, Roberto Pieralli, avvisa infatti che per gli ambulatori a bassa complessità, che le varie Ausl “in ordine sparso stanno tentando di organizzare con una molteplicità di tavoli, la mancanza di un coordinamento regionale sulla materia sta generando non poche criticità per via delle differenti organizzazioni, retribuzioni, posizionamenti proposti, compiti e funzioni specifici, eccetera eccetera”.

Per cui sarebbe “fondamentale operare con celerità una cornice regionale che consenta a tutte le aziende di muoversi in maniera omogenea, come già avviene per tanti altri temi, tra cui le ex Usca ora Uca, i vaccini, l’emergenza territoriale e così via”.

Gli ambulatori a bassa complessità servono a ridurre la pressione degli accessi al Pronto soccorso. E Pieralli segnala che il sovraccarico dovuto ai “tanti accessi che pur non appropriati per questo setting, non trovano dal sistema sanitario risposta alternativa, va oggi necessariamente gestito con una progettualità da Piano Marshall per garantire che tanto i Pronto soccorso quanto le cure primarie possano operare al meglio possibile senza essere sommersi da carichi non di rispettiva pertinenza”.

Così lo Snami chiede “una cornice che definisca chiaramente, nel rispetto del normativo esistente” varie questioni. In cima alla lista c’è la “parametrazione ottimale delle sedi ambulatorio e degli orari: o di continuità assistenziale o ambulatori diurni presso le case della salute o nelle adiacenze dei Pronto soccorso. poii serve un “sistema di risposta telefonica di indizzo tramite 116-117”, come pure un “collegamento telefonico e telematico con i Nuclei di cure primarie e con medici e infermieri territoriali”.

Da strutturare, continua lo Snami, è anche un “sistema di relazione con gli ambiti specialistici, con il sistema 118 e con il pronto soccorso”. Utile sarebbe poi una “Carta dei servizi erogabili ed eventuali tariffari per prestazioni specifiche”. La lista dello Snami indica anche una “check list e standard per materiali e attrezzature necessari per gli ambulatori e per le attività domiciliari”, “requisiti formativi di ingresso e formazione continua del personale”, “definizione delle graduatorie di incarico”, aspetti retributivi e assicurativi del personale medico.

Nei tavoli e nei testi di intesa “finora circolanti in alcune aziende, spesso abbiamo - senza successo - tentato di integrare percorsi formativi che rappresentano lo standard, particolarmente in alcuni setting come gli ambulatori punti di primo intervento delle aree remote, purtroppo ricevendo svariati dinieghi che hanno comportato per molti professionisti una rinuncia ad operare in tali sedi”, segnala poi Pieralli ricordando come “le scelte politiche nazionali di questi ultimi anni abbiano voluto mantenere separazione formativa tra diversi ambiti clinici, limitando e anzi vietando in alcuni casi agli uni, l’acquisizione di certe competenze formative attraverso una miriade di insensati limiti burocratici ed incompatibilità. Nemmeno l’enorme carenza ha indotto a superare questo discutibile sistema di regole”.

E ora questo “imbuto formativo”, crea “un gap macroscopico che rende molti professionisti titubanti dall’accettare determinate funzioni per le quali ritiene che il sistema nell’ultimo decennio non lo abbia preparato sufficientemente. Fortunatamente - conclude Pieralli lanciando ‘la palla’ alla Regione - il tema formativo è pienamente risolvibile se affrontato con gli strumenti che un grande sistema sanitario regionale come quello emiliano-romagnolo ha, consentendo il superamento di tali timori e accrescendo contestualmente la clinical competence e sicurezza delle cure dando a molti giovani professionisti di oggi, che saranno i nostri medici di famiglia di domani, un pacchetto di competenze ancora più ampio”.

 



05 ottobre 2022
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