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Il futuro dei Distretti in Italia. Dal XX Congresso Nazionale la visione proposta da CARD

di P. Da Col, A. Trimarchi

Nuova strutturazione organizzativa, solida architettura gestionale, giusto incremento delle risorse e qualità motivazionale degli operatori: questa le linee di indirizzo per i Distretti della nuova assistenza territoriale post epidemia (post Pnrr e Dm 77). Una visione emersa da analisi e proposte che hanno ampliato, per la platea di oltre trecento partecipanti, la relazione introduttiva del Convegno del Presidente della CARD Gennaro Volpe

17 OTT -

Desideriamo innanzitutto ricordare che il valore del potenziamento dell’assistenza territoriale (“la riforma”) è oggi alla ribalta, anche mediatica, a seguito della pandemia, dunque per una serie di eventi acuti-acutissimi, dopo che per anni noi avevamo insistito sulla competenza primaria del “territorio” di offrire risposte (allora percepite come emergenti) ai milioni di persone portatrici di malattie croniche. L’epidemia COVID-19 ha scardinato quindi l’assioma / slogan in voga allora: Distretto= cronicità; Ospedale= acuzie.  Così come l’altro assunto, peraltro sostenuto dall’OMS: sono le malattie non-diffusive ormai a doverci preoccupare, cessata la minaccia di quelle infettive.  

Tutto quindi è cambiato. Da oggi (ieri) il “territorio”, i Distretti, dovranno quindi (pre)occuparsi anche delle situazioni legate ad eventi acuti. L’epidemia ha riportato l’attenzione anche su altre questioni che attendono risposte: se vogliamo più sanità pubblica o privata; più Stato e meno Regioni; se i MMG devono passare o meno ad un rapporto a dipendenza; ed altre ancora.

È caduto perfino il dogma dell’austerità; si è dato spazio di crescita al debito pubblico per fronteggiare le nuove emergenze; è ammeso il “debito buono”, quando serve per le giuste cause (per noi, qui: tutelare diritti alla salute). È importante ricordare che le cose cambiano quando se ne avverte la necessità. Forse – diciamo noi – troppo tardi. In ogni caso, è bene imparare dagli errori, e cogliere le occasioni per avviare un progresso atteso da anni, trasformando un gigantesco problema (tragico) in opportunità, un rischio (perfino di dissolvenza del Ssn) in occasione di miglioramento.   

Insomma, un mondo totalmente in evoluzione. Cambieranno anche i Distretti? La risposta è affermativa. Ed è oggi inevitabile partire dai contenuti del PNRR e dal DM 77, che ben se ne occupano, dopo anni di “distrazioni” di decisori politici e tecnici.

Nel DM viene subito esplicitato che la nuova assistenza nel territorio è legata all’affermazione della “assistenza primaria”. Siamo molto d’accordo; lo dice anche l’Oms. A pagina 14 (dell’Allegato 1 -cui faremo sempre riferimento) viene citata la definizione della Commissione Europea (in omaggio al Piano europeo, immaginiamo) e postulato poco dopo un corollario che vale per noi come introduzione a questa analisi: “Il Ssn persegue, pertanto, questa visione (di assistenza primaria – nd AA) mediante le attività distrettuali, la pianificazione, il rafforzamento e la valorizzazione dei servizi territoriali...”.  

CARD non può che compiacersi: se nel Ssn devono esistere “attività distrettuali” - pensiamo -  l’esistenza dei Distretti a noi pare ineludibile. Tuttavia, questa deduzione appare infondata, in quanto il Distretto non ha riferimento nell’Allegato 2, che fornisce vere prescrizioni (Lea), non solo descrizioni. Sfuma così l’occasione che anche i Distretti siano da considerarsi un Lea, fatto che annullerebbe l’eterogeneità degli attuali 570 (circa) Distretti del Paese, e ridurrebbe i rischi per le loro Comunità di vivere disuguaglianze di salute.   

Chiarito questo punto di debolezza del Decreto, nelle pagine successive troviamo molti aspetti in linea con le idee della CARD, utili per una visione futura: il valore della multiprofessionalità (ben evidenziate per medici, infermieri, farmacisti, psicologo, assistente sociale nella tabella di pag. 18) e del lavoro in team (attività quotidiana nei Distretti). Nelle pagine immediatamente successive vengono poi illustrati, a nostro parere con lodevole precisione, la stratificazione dei rischi sulla base dei bisogni socioassistenziali (sei livelli), i correlati Progetti di salute (semplici e complessi) e viene espressamente menzionato il budget di salute (ultima riga della tabella di pag. 20). A seguire è trattata la sanità di iniziativa per la personalizzazione dell’assistenza. Un insieme che ci pare coerente ed organico.  

Il futuro dei Distretti può davvero partire da qui: dalla conoscenza dei bisogni si costruiscono e realizzano risposte personalizzate con un’offerta proattiva retta da modalità di intervento pluriprofessionale e multiistituzionale, in cui spicca, ovviamente, la partecipazione integrata della componente socioassistenziale. Tutto questo richiama secondo noi la necessaria presenza di un Distretto forte, a forte capacità integrante e coordinante, posto in grado (per risorse, poteri, strumenti) di divenire soggetto che realizza e governa tutti questi passaggi.

In questa prospettiva pensiamo si potrebbe arrivare ad una nuova programmazione dal basso dei finanziamenti. Ad esempio, la sommatoria delle risorse da investire per queste risposte tarate sui bisogni potrebbe costituire il budget integrato annuale dei distretti, e dalla loro sommatoria programmare quello prima aziendale e poi regionale, con esito finale nella definizione del fabbisogno del fondo sanitario nazionale, che con coerente metodologia potrebbe poi essere ripartito tra le regioni in modo equo ed efficiente (stessa metodologia potrebbe riguardare le regioni e province autonome che si autofinanziano).  In un sistema maturo, ciò sarebbe l’espressione coerente della “person/community centred care”, con risorse in campo commisurate ai bisogni rilevati, superando la logica dei vincoli del pareggio di bilancio e della “inevitabile” austerità (leggi: sottofinanziamenti, che si è ben visto uccidono i diritti, le persone e il SSN/SSR).

Il Distretto è poi ben presentato nel box di pagina 23: è riferito ad una dimensione-tipo di 100.000 abitanti (con variabilità secondo contesto locale) e vi è scritto “La programmazione deve prevedere i seguenti standard” (sic ! non si parla però di obbligo di realizzazione): case delle comunità hub e spoke, ospedale di comunità, COT, ecc.  A noi sembra che la descrizione degli elementi così lì descritti e ripresi nell’allegato 2 (Lea) crei una situazione in cui sono obbligatori i “contenuti” ma non il “contenitore”, ovvero il distretto.   In metafora, è come se di programmasse l’acquisto di un computer con “tante cose per poter fare tante belle cose” (hardware) senza acquisire obbligatoriamente anche i relativi software, ovvero strumenti gestionale ed operativi per ottenere “le tante belle cose”.   

Il Presidente Volpe in apertura del Convegno si era riferito ad un’altra efficace similitudine: senza la presenza del Distretto che dirige, è come se un’orchestra sinfonica avesse ottimi strumentisti, ma suonasse priva di una partitura musicale unica, e senza il direttore che ne guida l’interpretazione e l’esecuzione armonica. CARD ritiene che siano asimmetrie cui serve porre rapidamente rimedio.

Nel PNRR ed il DM ricorre spesso alla parola “Comunità”. Per noi la nuova assistenza territoriale andrà svolta “con” le Comunità, non solamente “per le Comunità”, da considerare sempre al plurale perché tante sono, tutte diverse tra loro, nei territori del Paese (anche questi al plurale), riconoscendone e rispettandone le diversità. Le esigenze di servizi sanitari di un territorio-comunità di un ambito urbano-metropolitano sono necessariamente differenti da quelli di ambienti rurale-montani; vi è diffusa percezione che la vitalità- forza delle Comunità sia maggiore nei Comuni medio-piccoli.  Ancora, tenere conto quindi del “fattore Comunità” significa per CARD però in primis stare vicino alla sua parte più svantaggiata. Quindi una prossimità cercata non tanto per soddisfare “comodità” di servizi fisicamente vicini a casa propria, quanto una “vicinanza” intesa ed espressa come responsabilità di conoscere e sostenere i bisogni dei soggetti più vulnerabili, con proattività. Per questo i servizi di prossimità devono essere a bassa soglia e pronta fruibilità, alta capacità di ascolto, tangibile disponibilità ad offrire risposte tempestive, personalizzate.

Per CARD è quindi tempo di fare i Distretti delle comunità, con sguardo prioritario alla loro componente di persone con fragilità, vulnerabilità, longevità, cronicità, disabilità ed a coloro che vivono gravi difficoltà di vita in generale. Una prossimità per avviare relazioni di cura personalizzate, rispettose, sobrie.

Questa è la nostra visione del lungo termine, in un percorso che richiederà evidentemente anni, ma che può iniziare subito, con obiettivi del breve e medio termine già fissati nel PNRR e nel DM. Un esempio per tutti: la riforma per un nuovo approccio alla nonautosufficienza.

CARD, che incontra il problema ogni giorno, in questo spirito positivo ha aderito al “Patto per la riforma” che, insieme ad altri  50 soggetti del settore, ha offerto al Governo proposte, che in parte ritroviamo nel Decreto Legge di riforma appena approvato (....).   

Il nostro sguardo va diretto anche verso le Comunità dei professionisti. Pensiamo ad esempio a quella, grande ed importante, dei medici di famiglia (MMG). Se si pensa che in un Distretto di 100.000 abitanti ci saranno almeno 60-70 medici, chiamati ad operare sia nelle Case hub che spoke, quali meccanismi di governo immaginiamo, oltre a quelli di auto-governo di cui conosciamo ormai l’insufficiente efficaci ? Pensiamoci, insieme, per trovare soluzioni che diano soddisfazione a tutti. 

Nel PNRR c’è grande enfasi sulla digitalizzazione e l’uso delle tecnologie. Bene, anche noi ne vediamo i vantaggi per la continuità assistenziale, per il governo complessivo e clinico, ma occorre aver chiaro che: primo, le tecnologie devono essere uno strumento e non un fine; sono al servizio della persona, senza mai prevalere su di esse.  Secondo, la relazione di cura su cui si fonda la buona assistenza territoriale non può essere sostituita dalle “macchine”: queste sono complementari e non alternative o sostitutive della vicinanza degli operatori (sia consentito dire che nell’assistenza territoriale oggi serve molta più intelligenza umana che artificiale).  Terzo, il primo strumento ICT oggi a noi più necessario è la cartella elettronica individuale (cosa ben diversa dal FSE), unico per assicurare vera continuità, alimentabile e consultabile da tutti gli attori di cura e dalla stessa persona assistita (ovviamente, come per lei possibile, ma senza sottovalutazioni o pregiudizi di un suo uso, come ben provato anche in caso di persone anziane o con scarsa alfabetizzazione informatica).

Nel breve termine, bisogna evitare alcuni errori che già si intravedono: quello di identificare la casa della comunità coincidente con il Distretto e sostitutivo delle sue funzioni. Peggio ancora, di pensare alla COT come entità di coordinamento-regia generale (alternativo al Distretto). La COT sarà verosimilmente usata più dagli operatori (case e care manager, innanzitutto per la home care) che dai cittadini (parte delle loro esigenze saranno coperte dal numero 116117). Le Case della Comunità (al plurale) e la COT vanno incluse nella cornice del Distretto, che agisce come struttura operativa irrinunciabile per le sue caratteristiche multi-funzione, multi-ruolo: di produzione (noi diciamo innanzitutto di home care), di committenza, che serve per completare l’offerta in grado di soddisfare i LEA – ed ecco qui gli spazi per un “sano” privato accreditato; di integrazione tra tutti gli attori di cura e con le Comunità .Preme sottolineare il punto 13 del DM, dedicato ai “servizi per la salute dei minori, delle donne, delle coppie e delle famiglie”. È  fondamentale: i bambini, gli adolescenti hanno patito e patiscono i danni più gravi derivati  dall’epidemia COVID e dagli errori della sua gestione.  Mai più dovranno ripetersi le scelte che hanno generato il loro isolamento e la de-socializzazione. Il futuro Distretto di Comunità dovrà avere una nuova Pediatria di Comunità, in cui saranno riposizionate le attività dei PLS e necessariamente va potenziato la neuropsichiatria infantile territoriale. Infine, il Distretto “a venire” terrà conto del punto successivo, dedicato alla prevenzione. La preparedness certamente riguarda i Dipartimenti di Prevenzione, ma molte esperienze indicano che dove si sono unite quelle forze con quelle dei Distretti le cose sono andate meglio. Dunque i “nuovi” DIP e Distretti saranno protagonisti ed alleati di nuovi progetti, che per brevità citiamo come ispirati alle logiche di one health.    

Consideriamo tutti questi ragionamenti come premesse a quattro azioni prioritarie attuali e future: primo, sciogliere il nodo delle risorse umane nel distretto. Ne servono di più, e di alta qualità. Ci vogliono nuovi Direttori di Distretto; CARD ha già avviato proposte di formazione e la costituzione di una sorta di Albo nazionale dei candidabili idonei cui attingere per concorsi trasparenti. Secondo, occorre che subito si creino per tutti gli operatori contesti di attività in cui il clima sia di gioia e orgoglio di appartenenza, premessa fondamentale per diffondere stili di “relazioni gentili di cura” (Finding Joy in Medicine: A Remedy for Challenging Times. Heather M. Gilmartin, PhD, NP, Sanjay Saint, MD, MPH. NEJM Catalyst- DOI: 10.1056/CAT.22.0215), sobrie e rispettose, che richiedono giusti tempi. Perché è il tempo che dà senso all’assistenza territoriale.

Infine, riteniamo indispensabile che negli atti aziendali il Distretto sia qualificato come struttura operativa di elevata complessità, equiparata quantomeno al Dipartimento, con al suo interno strutture complesse e semplici, ed ogni altra articolazione coerente con i molteplici livelli di offerta e di responsabilità.

Per noi questa nuova visione di assistenza territoriale fondata sui Distretti, e tramite loro sulla conoscenza dei bisogni, il lavoro in team multiprofessionale, la valutazione e la presa in carico integrata, la strutturazione organica e coerente, le risorse proporzionate ai bisogni, i giusti tempi di cura, potrà realizzare la ripresa, da tutti attesa, centrata su una nuova assistenza primaria a baricentro nel distretto, e generare un sistema resiliente. Il grado di soddisfazione dei Lea sarà l’indicatore della qualità degli esiti del nostro operare. il distretto diventa quindi struttura specializzata, specialista in lea, garante dei diritti dei cittadini e responsabile dei doveri dell’istituzione.

Paolo Da Col, Antonino Trimarchi

Centro studi CARD

 

 



17 ottobre 2022
© Riproduzione riservata

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