Lo scorso 13 febbraio la Corte d'Appello di Ancona ha riconosciuto la responsabilità indiretta dell'Azienda Sanitaria Territoriale (AST) di Ascoli Piceno per l'aggressione subita da un'infermiera nel 2017. L'operatrice sanitaria, aggredita durante il turno pomeridiano al triage del pronto soccorso dell’Ospedale Mazzoni, riceverà un risarcimento di 22mila euro per danno morale soggettivo e danno biologico. L'aggressione era avvenuta alle 19:15, un'ora prima dell'inizio del servizio di vigilanza notturna, e dunque mentre l'infermiera era senza protezione.
La decisione stabilisce che l'azienda non ha predisposto adeguate misure di sicurezza, nonostante le indicazioni della raccomandazione ministeriale del 2007 sulla prevenzione della violenza contro il personale sanitario. La Corte ha evidenziato “specifiche omissioni datoriali”, sottolineando che l'azienda avrebbe dovuto adottare misure preventive basate sulla particolarità del lavoro e sulle esperienze pregresse.
I sindacati infermieristici hanno sottolineato l’importanza della sentenza, in quanto il legislatore non ha più rivolto lo sguardo solo verso l’aggressore della vittima, ma ha anche sottolineato le negligenze del luogo di lavoro e quindi dell’Azienda Sanitaria.
Aggressioni al personale sanitario: un fenomeno in crescita
“Le aggressioni al personale sanitario stanno diventando davvero un fenomeno preoccupante. Gli infermieri, soprattutto quelli che lavorano nei Pronto Soccorso, sono sempre più esposti a episodi di violenza”, conferma Francesco Del Rio, legale di Consulcesi. I numeri parlano chiaro: nel 2024 si sono registrati più di 25.000 casi e, al Nord, le aggressioni sono aumentate del 20% rispetto all'anno precedente. “Non si tratta più di episodi isolati – aggiunge Del Rio – ma di un fenomeno che richiede interventi concreti e immediati”.
La risposta del legislatore
Sul piano normativo, qualcosa si sta muovendo. “Già con la legge del 2020 si erano introdotte pene più severe per chi aggredisce medici e infermieri, ma evidentemente non bastava”, spiega l'avvocato. Di recente, il D.L. 34/2023 e il D. Lgs. 31/2024 hanno stabilito che non è più necessaria la querela per avviare un processo, anche se la prognosi delle lesioni è inferiore ai 40 giorni. Inoltre, il D.L. 137/2024 ha introdotto l'arresto in flagranza per chi passa dalle minacce ai fatti, aumentando anche le pene per chi danneggia strumenti e ambienti sanitari. “Sono passi avanti importanti – afferma Del Rio – ma non sufficienti se non accompagnati da azioni preventive sul campo”.
Responsabilità delle Aziende sanitarie
Il vero nodo, secondo Del Rio, è la sicurezza nei luoghi di lavoro: “Non basta inasprire le pene, le aziende sanitarie devono continuare a fare la loro parte, incrementando le attività di mappatura dei potenziali rischi e garantendo ambienti protetti. La legge parla chiaro: se un datore di lavoro non adotta le misure di prevenzione necessarie, può essere ritenuto responsabile”. In realtà, non si tratta del primo caso di questo tipo: “In una sentenza analoga della Corte d'Appello di Palermo del 2019 - spiega l’avvocato -, un infermiere aggredito durante il triage ottenne giustizia perché il giudice riconobbe l'assenza di misure di sicurezza, nonostante il sovraffollamento e la carenza di personale fossero ben noti”.
Prevenzione e segnalazione delle inefficienze delle Aziende
Infine, Del Rio sottolinea l'importanza della segnalazione da parte degli operatori sanitari: “Devono continuare a segnalare le inefficienze delle loro strutture. Solo così si possono attivare quei presidi amministrativi utili a garantire un'efficace prevenzione e individuare le situazioni di potenziale rischio”. L'obiettivo è evitare che l'inerzia delle aziende sanitarie possa tradursi in nuove aggressioni, tutelando chi ogni giorno lavora per la salute di tutti.
Arnaldo Iodice