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Infermieri e nuove competenze. Una vera svolta o un coitus interruptus?

di Andrea Bottega

Ormai i ripetuti annunci dell’arrivo degli infermieri specialisti o con competenze evolute sono paragonabili a quella diffusa pratica anticoncezionale che si ferma giusto un attimo prima. Tutto si muove e tutto si ferma e tra una interruzione e l’altra non nasce mai niente

06 GEN - Dopo anni di discussione il dibattito sull’evoluzione delle competenze infermieristiche non ha ancora chiarito agli infermieri di quale evoluzione si stia parlando e quali siano le conseguenze sull’esercizio professionale, sul rapporto tra i professionisti e nell’organizzazione del lavoro. Un deficit informativo che non giova né a facilitare il percorso di condivisione tra le professioni né a scaldare il cuore degli infermieri e che forse è funzionale solo a chi gestisce lo sviluppo professionale tra pochi eletti. Rimane, infatti, ancora senza risposta l’appello da più parti giunto ad organizzare gli stati generali infermieristici.
 
Ormai i ripetuti annunci dell’arrivo degli infermieri specialisti o con competenze evolute (la bozza di Accordo Governo e Regioni parla di “ridefinizione implementazione e approfondimento delle competenze e delle responsabilità professionali dell’infermiere”) sono paragonabili a quella diffusa pratica anticoncezionale che si ferma giusto un attimo prima. Tutto si muove e tutto si ferma e tra una interruzione e l’altra non nasce mai niente. E’ dall’8 febbraio 2013 che la Commissione Salute delle regioni ha dato parere positivo e ha richiesto che la bozza di accordo sia inscritta alla prima Conferenza Stato-Regioni utile.
 
Sembrava fatta ma non era ancora tempo. A un anno di distanza anche il Ministro della Salute dava l’ok al documento firmandolo ma altri due ministeri interessati dovevano ancora dare il loro parere. Il MIUR è intervenuto con una nota il 3 luglio 2014 sottolineando la necessità di alcune modifiche perché il testo proposto sarebbe in contrasto con la normativa vigente che prevede l’autonomia delle Università per quanto riguarda i contenuti formativi dei Master di I e di II livello e ribadendo che “la formazione di livello universitario non è materia di legislazione concorrente e pertanto non va sottoposta ad accordi Stato-Regioni”. Il MEF ha sempre avuto il timore che un documento che prevede nuove competenze possa comportare nuove spese.
 
A fronte di queste non marginali obiezioni ho l’impressione che il comma 566 (paragonato alla legge 42/99) lo si stia caricando di significati e meriti che non vedo. Formalmente si vuole tranquillizzare il MEF e non a caso la cosa più chiara del comma 566 è l’ultima frase: “Dall’attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Non mi sembra un caso che il comma non appartenga a una legge disciplinante materie sanitarie (per es. il DDL di attuazione dell’art. 22 del Patto per la salute) bensì alla legge contenente “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”, legge che contiene, tra l’altro, il blocco del finanziamento della contrattazione del pubblico impiego. Rimangono quindi le obiezioni del MIUR che si spera resti isolato e non faccia storie dopo quest’ultimo passo legislativo.
 
Pare del resto ovvio ai più che chi ha investito e scommesso gran parte del suo lavoro canti ora vittoria. Sarebbe ipocrita negare quello che sanno tutti e cioè l’importanza che il comma 566 ha per la presidente IPASVI e senatrice Silvestro che senza di esso si presenterebbe a congresso, dopo circa 20 anni di dominio incontrastato, praticamente a mani vuote dopo 2 anni di mandato parlamentare e con una pesante accusa di non trasparenza - mi riferisco alla delibera Cantone - e per giunta con una rappresentanza più frantumata che in passato.
Vista tale enfasi, ho l’impressione che quando gli scopi sono altri da quelli veri degli infermieri di corsia, alla fine si corra il rischio di essere usati, lasciati soli nelle quotidiane contraddizioni.
 
Ma anche l’articolo di Andreula, Muttillo e Massai, tre importanti presidenti di collegio, ci dice giustamente che le priorità della categoria, come io stesso ho sostenuto in più occasioni, sono altre da quelle descritte dal comma 566. Alla luce di questo articolo non è secondario sapere quanti infermieri saranno coinvolti nel processo di specializzazione, quanti infermieri resteranno nella loro attuale condizione, quante sono le professioni coinvolte nel processo di redistribuzione delle competenze e soprattutto quali saranno gli effetti sul mercato del lavoro delle operazioni di demansionamento di alcune professioni e di rimansionamento di altre professioni. Con un buco di 25.000 infermieri nel sistema, dire che il nostro lavoro è flessibile è un eufemismo e le competenze avanzate sono quelle che ci restano da fare per coprire il personale mancante. A compendio della situazione drammatica che ci si prospetta, cito l’articolo dell’Anaao del 4 dicembre scorso che mette in luce una grave criticità sul personale la cui spesa non potrà superare fino al 2020 quella del 2004 meno l’1,4% secondo quanto previsto dal comma 584 della stessa legge di stabilità. Ciò significa che le assunzioni e i contratti (compresa la valorizzazione economica dei professionisti specialisti e generalisti) staranno al palo ancora per un po’.
 
Ho paura e sento il dovere di dirlo che stiamo andando fuori strada. Ma a parte le mie perplessità personali, che valgono quello che valgono, e offrendo al comma 566 tutta l’attenzione che merita, cioè senza fare opposizioni sterili e pregiudiziali, anch’io però sento forte il bisogno di sapere come cambierà l’intero mondo degli infermieri. In che misura? In che tempi e in che modi? Chiedo di non fare salti nel buio. Dobbiamo ancora portare a pieno compimento il percorso di autonomia previsto dalla legge 42/99 e la pianificazione dell’assistenza personalizzata prevista dal nostro profilo del ’94 e già stiamo pensando a ridefinire le competenze specialistiche per far piacere alle regioni.
Non lo so ... le cose sono talmente poco chiare che mi rimangono diversi dubbi su cosa possa comportare realmente questo accordo. Molti colleghi, me compreso, non hanno chiaro tale ricaduta perché il documento non è mai stato apertamente dibattuto all’interno della professione e lascia molti aspetti indeterminati.
 
Non dimentichiamo che a volerlo non è stata l’IPASVI ma le Regioni per scopi economicistici, cioè per risparmiare e poter decidere con libertà di come allocare le professioni, oltre che superare i conflitti nati tra le professioni sanitarie (see&treat, perimed per gli infermieri e il caso Marlia per i TSRM, guarda caso gli unici due documenti ad oggi prodotti) che avevano portato i medici a impugnare delibere regionali e a denunciare dirigenti delle ASL responsabili dell’organizzazione dei servizi (casi risolti dalla magistratura a favore di infermieri e tecnici e che fanno ben sperare anche per una legittimazione delle Unità di Degenza a Gestione Infermieristica). Ora, le Regioni vogliono l’Accordo per le competenze avanzate, l’IPASVI per le competenze specialistiche. Due cose completamente diverse che non trovano chiarezza nel documento emanando. L’esercizio di “epochè” del prof. Cavicchi in attesa di risposte alle numerose domande poste alla Silvestro e al Ministro Lorenzin è indicativo della prudenza necessaria per chiarire ciò che chiaro non è.
 
Leggendo la rassegna stampa del 2014 sarebbe il caso di avere le risposte anche da parte delle Regioni che, alla fine, decideranno quali competenze saranno richieste e dove si potranno applicare. Non essendo stato abolito il DM 739/94 rimangono in vita le 5 aree di pratica specialistica (sanità pubblica, pediatria, salute mentale-psichiatria, geriatria, area critica) a cui si aggiungono, secondo la bozza di Accordo, l’area cure primarie-servizi territoriali/distrettuali, area intensiva e dell’emergenza urgenza (forse diversa dizione dell’area critica), area medica, area chirurgica, area neonatologia e pediatrica (forse diversa dizione dell’area pediatria), area salute mentale e dipendenze (forse diversa dizione dell’area salute mentale-psichiatria).
 
Quindi non più 5 né 6 ma almeno 8 aree diverse saranno vigenti in questi due atti. Su cosa poi faranno di diverso gli infermieri specialisti dai generalisti non lo sappiamo ancora. Diverse, si dice, sono le esperienze già in atto a legislazione vigente (e allora a cosa serve una nuova legislazione?) si tratterebbe di dire che quello che viene fatto è fatto da un infermiere specialista perché ha un percorso di studio ulteriore (master) in un’area specialistica (dal 1994 ci sono già le 5 aree e da tempo le università offrono master clinici). Cosa manca allora? A mio parere manca il riconoscimento contrattuale ed economico che, stante la legge di stabilità, segnerà ancora il passo. Se invece si voleva intervenire nei contenuti delle professioni sanitarie forse sarebbe stato più semplice rivedere i decreti ministeriali dei profili delle professioni sanitarie. Un aggiornamento dopo 20 anni non sarebbe stato poi così assurdo.
Il comma 566 ci offre da una parte un negoziato di tipo normativo per permettere alle regioni di usarci a loro piacimento e dall’altra ci nega la contrattazione, cioè ci vuole consenzienti sulla flessibilità dei ruoli e ci fa fuori sulle questioni retributive. Ma non vi viene il sospetto che state esagerando? Che ci chiedete oggettivamente troppo? E che a lungo andare si rischia di esasperare una situazione che sarebbe meglio governare con ragionevolezza, prudenza e soprattutto con tanto tanto rispetto nei confronti degli infermieri, cioè di chi è al chiodo tutti i giorni dell’anno?
 
Dr. Andrea Bottega 
Segretario Nazionale Nursind


06 gennaio 2015
© Riproduzione riservata

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