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Stabilità. Anaao: "Con colpo di mano si erodono competenze mediche nella diagnosi e cura"

di C.Palermo e A.Ciofani

Il Ministero della Salute ha infilato nella stabilità il comma 566 che intenderebbe affidare alla competenza dei medici, in materia di prevenzione, diagnosi, cura e terapia, esclusivamente gli atti complessi e specialistici. Lo scopo è quello di trasferire gli atti medici di base ad altre professioni sanitarie trascurando che anche un atto semplice si può complicare e diventare complesso

07 GEN - Una parte del mondo sindacale dei medici dipendenti e di quelli convenzionati mentre è in spasmodica attesa delle modifiche legislative a tutela del ruolo e della professione del medico, promesse dall’articolo 22 del Patto della salute, preferisce lasciare in assoluto silenzio il colpo di mano con il quale il Ministero della Salute ha infilato nell’unico articolo della Legge di stabilità il comma 566, malgrado il suo contenuto ordinatorio, che intenderebbe affidare alla competenza dei laureati in medicina e chirurgia, in materia di prevenzione, diagnosi, cura e terapia, esclusivamente gli atti complessi e specialistici. Di fatto, gli atti medici vengono distinti in semplici e di base, da una parte, e complessi e specialistici dall’altra, allo scopo evidente di trasferire i primi ad altre professioni sanitarie, trascurando che in medicina anche un atto semplice si può complicare e diventare complesso. Il livello dove si posizionerà l’asticella che dovrebbe separare i due campi non verrà definito con una legge del Parlamento ma attraverso un accordo tra Stato e Regioni, previa concertazione, ovviamente non vincolante, con le rappresentanze scientifiche, professionali e sindacali (di quali categorie?).

Come spiega bene Saverio Proia, in un articolo su QS, “quali debbono essere queste competenze non può essere cristallizzato in una norma di legge bensì non può che essere il risultato di un articolato e partecipato processo dinamico e non statico di identificazione scientifico, professionale e giuridico che la stessa norma potrà avviare con il consenso ed il protagonismo in primis della stessa professione medica e degli altri dirigenti sanitari”.  Qui non stiamo parlando di riconoscimento delle competenze specialistiche degli infermieri, legittimo, ma dell’erosione più o meno consistente di competenze mediche nel campo della diagnosi e della cura. Tra l’altro, seguendo il ragionamento di Proia, sembra che il terreno maggiore di interesse per questa traslazione di competenze non sia tanto il settore dell’acuzie e quindi l’ospedale, ma piuttosto quello della cronicità e del territorio.

Nel ringraziare il Ministero della Salute per questo generoso e disinteressato intervento, potrebbe essere utile per tutti i medici chiedersi se sia necessaria una legge vera e propria o sia più appropriato lasciare le cose così come sono, e cioè che sia la giurisprudenza caso per caso a valutare i contenziosi sul modello del diritto anglosassone del “common law” e del “case law”, che è poi l’orientamento della maggior parte dei Paesi avanzati. La Corte Costituzionale (Sentenze 282/2002 e 338/2003) ha stabilito il principio dell’autonomia terapeutica del medico rispetto persino al legislatore: “Non è di norma il legislatore a dover stabilire quali sono le pratiche ammesse, con quali limiti e a quali condizioni poiché la pratica dell’arte medica si fonda sulle acquisizioni scientifiche e sperimentali che sono in continua evoluzione. La regola di fondo di questa materia è costituita dall’autonomia e dalla responsabilità del medico che con il consenso del paziente opera le scelte professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a sua disposizione”.

È riservata, quindi, al medico e solo ad esso la scelta diagnostica e terapeutica e la libera valutazione del singolo caso sottoposto al suo esame e l’adeguamento dei protocolli alle condizioni particolari del paziente che ha in cura, senza alcuna distinzione tra atti semplici o complessi ovvero tra quelli di base o specialistici. Infatti il suo rapporto con il paziente è tuttora l’asse centrale attorno a cui ruota tutto, e tutta l’organizzazione dei servizi e i rapporti multiprofessionali che vi si sviluppano servono a facilitare l’opera del medico e questo infastidisce ancora di più. Peraltro oggi sempre di più il paziente ricerca un medico che si faccia carico adeguatamente del suo problema.
 

Questi principi di autonomia e responsabilità sono stati ribaditi e rinforzati in numerose sentenze della Suprema Corte di Cassazione (Sentenze 1873/2010 - 2865/2011 - 11493/2013 - 26966/2013) di cui di seguito riportiamo alcuni stralci esplicativi:
“I principi fondamentali che regolano, nella vigente legislazione, l'esercizio della professione medica, richiamano da un lato il diritto fondamentale dell'ammalato di essere curato ed anche rispettato come persona, dall'altro, i principi dell'autonomia e della responsabilità del medico, che di quel diritto si pone quale garante nelle sue scelte professionali”;
“... la direttrice del medico non può che essere quella di rapportare le proprie decisioni solo alle condizioni del malato, del quale è, comunque, responsabile”;
“... l’arte medica, mancando per sua stessa natura, di protocolli a base matematica e cioè di pre-dimostrata rigorosa successione di eventi, spesso prospetta diverse pratiche o soluzioni che l’esperienza ha dimostrato efficaci, da scegliere oculatamente in relazione a una cospicua quantità di varianti che, legate al caso solo il medico, nella contingenza della terapia, specifico, può apprezzare”;
“... è doveroso attenersi a un complesso di esperienze che va solitamente sotto il nome di dottrina, quale compendio della pratica nella materia, sulla base della quale si formano le leges artis, cui il medico deve attenersi dopo attenta e completa disamina di tutte le circostanze del caso specifico, scegliendo, tra le varie condotte terapeutiche, quella che l’esperienza indica come la più appropriata””;
“... questo concetto non può essere compresso a nessun livello nè disperso per nessuna ragione, pena la degradazione del medico a livello di semplice burocrate, con gravi rischi per la salute di tutti”.
“… a nessuno è consentito di anteporre la logica economica alla logica della tutela della salute, né di diramare direttive che, nel rispetto della prima, pongano in secondo piano le esigenze dell’ammalato. Mentre il medico, che risponde anche ad un preciso codice deontologico, che ha in maniera più diretta e personale il dovere di anteporre la salute del malato a qualsiasi altra diversa esigenza e che si pone, rispetto a questo, in una chiara posizione di garanzia, non è tenuto al rispetto di quelle direttive, laddove esse siano in contrasto con le esigenze di cura del paziente e non può andare esente da colpa ove se ne lasci condizionare, rinunciando al proprio compito e degradando la propria professionalità e la propria missione a livello ragionieristico”;
“... Nel praticare la professione dunque, il medico deve, con scienza e coscienza, perseguire un unico fine: la cura del malato... ....senza farsi condizionare da esigenza di diversa natura, da disposizioni, considerazioni, valutazioni, direttive che non siano pertinenti rispetto ai compiti affidatigli dalla legge ed alle conseguenti relative responsabilità”;
“... le linee guida non devono essere ispirate a esclusive logiche di economicità della gestione, sotto il profilo del contenimento delle spese, in contrasto con le esigenze di cura del paziente”. “... il medico ha il dovere di disattendere indicazioni stringenti dal punto di vista economico che si risolvano in un pregiudizio del paziente”.
"... una volta effettuata la scelta, il medico deve restare vigile osservatore dell'evolversi della situazione in modo da poter subito intervenire ove dovessero emergere concreti sintomi e far ritenere non appropriata, nello specifico, la scelta operata e necessario un aggiustamento di rotta o proprio una inversione."
 
Se il problema è quello di una definizione, forzosa, per via legislativa dell’atto medico, non c’è bisogno di inventarsi furbescamente distinzioni che inseguono altri fini. L’Unione Europea dei Medici Specialisti nel 2013 ha redatto un’appropriata e completa definizione di atto medico che proponiamo come utile base di riferimento: “L’atto medico ricomprende tutte le attività professionali, ad esempio di carattere scientifico, di insegnamento, di formazione, educative, organizzative, cliniche e di tecnologia medica, svolte al fine di promuovere la salute, prevenire le malattie, effettuare diagnosi e prescrivere cure terapeutiche o riabilitative nei confronti di pazienti, individui, gruppi o comunità, nel quadro delle norme etiche e deontologiche. L’atto medico è una responsabilità del medico abilitato e deve essere eseguito dal medico o sotto la sua diretta supervisione e/o prescrizione”.

Se invece si tratta di individuare competenze specialistiche per le professioni sanitarie, i limiti entro cui muoversi sono già tracciati dalla normativa vigente. In positivo sono determinati dal contenuto del decreto ministeriale di riconoscimento (D.M. n° 739/1994); in negativo dalla necessità di far salve le competenze previste per la professione medica e per le altre professioni del ruolo sanitario (Legge n° 42/1999, art. 1). Anche nelle leggi di riferimento per le professioni sanitarie, esiste quindi un nucleo irriducibile di competenze riservate alla professione medica che debbono essere individuate nelle attività di diagnosi e di prescrizione terapeutica. Oltre alle quali, la Legge assegna ai medici e ai dirigenti sanitari ruoli organizzativi ben definiti e non surrogabili, previsti in modo chiaro nell’articolo 15 comma 6 del D.Lgs 502/92 e s.m.i., per quanto riguarda la direzione delle strutture complesse, e nell’articolo 17 bis dello stesso decreto per quanto riguarda la direzione di dipartimento, a garanzia della funzionalità dei servizi escludendo modelli organizzativi a canna d’organo.

Si prepara, in maniera irresponsabile, un ulteriore strappo nella tela già lacerata del carattere unitario del diritto alla salute dei cittadini, attraverso una balcanizzazione delle competenze professionali e della definizione degli atti medici, e dei relativi livelli di responsabilità, distinti in semplici e complessi a seconda della latitudine e dei rapporti di forza. Il rischio che gli apprendisti stregoni, ed i loro laudatori, sottovalutano è quello di smarrire il carattere unitario della persona malata non separabile in cellule da affidare ai medici e bisogni da delegare agli infermieri. La sanità italiana del terzo millennio avrà a simbolo, per dirla con Cavicchi, il malato segato in due, mezzo del medico, mezzo dell’infermiere , monadi autonome ed anarchiche.

Chiunque intenda concepire nuove e progressive sorti sulla rottura con i medici e sulla progressiva erosione dei loro ambiti e dei loro ruoli professionali , superando a colpi di arroganza e protervia un consistente corpo di leggi scritte e di “common law”, sappia che avrà le risposte politiche, sindacali e giuridiche adeguate al livello dello scontro che si vuole aprire.
 
Carlo Palermo 
Vicesegretario nazionale vicario Anaao Assomed

Antonio Ciofani
Consigliere Nazionale Anaao Assomed  

07 gennaio 2015
© Riproduzione riservata

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