La crisi del medico. Una storia che inizia molti anni fa (prima parte)
di Ivan Cavicchi
La crisi del medico c’è da un bel po’ di tempo ma sino ad ora non è mai stata dichiarata. Per cui tutto - deontologia, formazione, prassi, contrattazione, organizzazione del lavoro, ecc. - è avvenuto come se essa non esistesse. Cioè come se tutto fosse normale
26 MAR - Ho letto con puntigliosa curiosità il focus sui medici (Qs
18 marzo e
24 marzo). Con tutte le opinioni espresse ho come ricomposto un ritratto del medico oggi, come nei quadri di Arcimbolbo. Ne è uscita un’immagine della professione non grottesca o burlesca come in genere è questo tipo di pittura, ma drammatica e per certi versi disperata, al punto da farmi venire in mente
Guernica di Picasso, cioè l’immagine di una città dopo un bombardamento aereo, il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde cioè l’ambivalenza conflittuale tra essere stati e essere diventati...e...infine la fotografia del medico americano accasciato che inconsolabile si dispera per non essere riuscito a salvare la vita al suo malato.
Non intendo confutare i giudizi che sono stati dati perché li condivido tutti ancorché caratterizzati negli ambiti a volte circoscritti di punti di vista soprattutto sindacali e per questo spesso appiattiti sulla problematiche professionali contingenti.
Quello che intendo fare è:
· spiegare il significato della parola sineddoche
· chiedermi “perché”
· raccontare un viaggio che è cominciato tanti anni fa.
Prima però vorrei rimarcare un dato di verità: tutti nessuno escluso hanno affermato che la crisi del medico pur spiegandola con cause, forme e modalità diverse, esiste. La crisi c’è. Ebbene quando a metà degli anni ‘80 ho cominciato a studiarla, essa era negata, cioè non era ammessa, per la semplice ragione che la condizione del medico in quegli anni non era così drammatica come ora anche se non mancavano vistosi segni precursori.
In sostanza la crisi del medico c’è da un bel po’ di tempo ma sino ad ora non è mai stata dichiarata… per cui tutto… deontologia, formazione, prassi, contrattazione, organizzazione del lavoro, ecc. è avvenuto come se essa non esistesse...cioè come se tutto fosse normale. Nessuno degli intervistati ha fatto cenno alle responsabilità dirette della professione sui ritardi e sulle sottovalutazioni che si sono accumulate nel tempo. Tutti hanno parlato di crisi come se i medici fossero solo delle vittime innocenti di politiche dissennate ...il che per certi versi è vero...ma se dobbiamo dire tutta la verità....va anche detto che il medico...con tutti i suoi numerosi e costosi apparati rappresentativi...quanto meno ha la responsabilità storica di non essere riuscito in tempo a capire quello che gli stava accadendo.
Quando si dichiara una crisi (i governi insegnano) ci si organizza prima di tutto per fare delle consultazioni (dibattiti, studi, ricerche ecc), con lo scopo di proporre delle soluzioni. La crisi del medico, che secondo me essendo strutturale cioè paradigmatica e non congiunturale come sostengono certi commenti, riguarda tutte le professioni, almeno tutte quelle che rientrano nell’area clinica, non è una questione corporativa ma è primariamente una questione politica perché i suoi effetti ricadono direttamente sulla collettività come l’inquinamento, il dissesto geologico, la disoccupazione, ecc.
Per questa ragione essa va dichiarata ufficialmente e unitariamente dagli ordini, dalle società scientifiche e dai sindacati. E’ inutile lamentarsi di Renzi che pensa solo alla scuola...se non spieghiamo la crisi come una questione a forte impatto sociale cioè se la responsabilità politica della crisi non è denunciata...come si può pretendere che essa diventi una questione prioritaria del governo ?
Nell’estate del 2008 la Fnomceo organizzò a Fiuggi la prima conferenza nazionale della professione medica, che si concluse con una
piattaforma unitaria orientata al futuro. Dopo la conferenza...l’inconseguenza. Recuperiamo questa piattaforma, dichiariamo la crisi ai quattro venti, e aggiorniamo la linea. Si torni a Fiuggi, la Fnomceo organizzi gli stati generali della professione...mettiamo su una bella manifestazione sui “
doveri impossibili “ (
QS 18 marzo 2015) ...e poi pancia a terra ...trovando le giuste interconnessioni e alleanze con le altre professioni... “
avanti Savoia”.
Quanto alla “
sineddoche” come tutti sanno è una figura retorica con la quale si usa la parte per indicare il tutto. La crisi del medico è una sineddoche della crisi della medicina e della sanità. A parte pochi accenni per altro generici alla formazione e all’università, nessuno dei commenti che ho letto, sembra consapevole dello stretto legame che esiste tra i problemi del medico e quelli della medicina, tra atto, opera e agente, tra agente e contesto, e tutte le loro spiegazioni si riferiscono prevalentemente alla sanità...perpetuando due gravi errori.
Gli stessi che, almeno negli ultimi 30 anni, hanno fatto in modo che i medici non capissero che nella loro miopia progressiva stavano imboccando proprio la strada della crisi:
· considerare la medicina una conoscenza paradigmatica invariante mentre a partire dal secondo dopo guerra essa è al centro di epocali mutamenti strutturali e sovrastrutturali di natura sociale e economica, che inevitabilmente si ripercuotono sul modo di essere medico
· considerare la medicina vale a dire il mondo dei contenuti, dei modi, dell’uso pratico delle conoscenze e quindi del modo di applicarle
(know-how) come implicitamente sussunto nella sanità vale a dire il mondo dei contenitori, dei mezzi, delle risorse ,dei servizi (
hardwere).
Medicina e sanità sono due mondi distinti con forti implicazioni complementari da sempre tutt’altro che culturalmente socialmente e economicamente invarianti. L’invarianza l’ho detto tante volte in realtà è dovuta alla nostra regressività difronte al mondo che cambia, cioè è quando per le nostre scarse capacità riformatrici, non riusciamo a rispondere ai mutamenti in corso. La crisi del medico, quella che da anni definisco “
questione medica” è in gran parte riconducibile a problemi diversi di regressività e a diversi problemi finanziari e economici.
Anche pensando di togliere tutti i condizionamenti economici di cui si lamentano gli operatori, la crisi professionale di tutte le professioni, resterebbe perché resterebbero insoluti tutti i problemi di regressività (contenzioso legale, medicina difensiva, fallibilità, delegittimazione, disumanizzazione, scientismo, eccesso di proceduralismo, nozionismo, fisicalismo, deontoligismo, ecc.)
Molti commenti del focus rimandano inequivocabilmente a quel rizoma complesso che configura la crisi del medico come una questione a molte questioni (la perdita di identità o di ruolo, la perdita del governo clinico, il deterioramento delle relazioni con il malato, la svalutazione del lavoro...ecc.). Lo sforzo che dobbiamo fare è evitare le spiegazioni troppo semplificate e porre soprattutto due domande “
perché” e “
come”.
A queste domande non si può rispondere seriamente senza partire:
· dai grandi mutamenti che hanno ridiscusso profondamente il primo explanandum della medicina e del medico...cioè il malato… le sue necessità. ..le sue filosofie dell’esistenza...quindi la società...perché la medicina è e resta soprattutto una impresa sociale
· dalle implicazioni strette che vi sono tra etica scienza economia e organizzazione cioè dalle contraddizioni crescenti che si sono create con la ridiscussione del welfarismo, tra questi sottoinsiemi di valori con la compromissione di storici equilibri di compossibilità.
La crisi del medico c’è, esiste, è innegabile come una matrioska essa probabilmente è il “
seme”, la crisi più piccola, dentro una “
madre” una crisi di crisi più grande. Nel prossimo articolo vi racconterò il mio viaggio in questa crisi cominciato esattamente 29 anni fa quando poco più che un ragazzo tra lo sconcerto dei più, appena approvata la riforma sanitaria, leggevo i mutamenti che mi sembrava di vedere convinto che avremmo dovuto ridiscutere il paradigma della tutela alla quale quella riforma si era ispirata.
(prima parte).
Ivan Cavicchi
26 marzo 2015
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