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Fnomceo. Intervista a Roberta Chersevani: “Non serve una legge sull’atto medico. Basta il Codice. Pronta a incontrare Mangiacavalli”

di Eva Antoniotti

“Credo che gli articoli 3 e 13 del codice deontologico possano essere sufficientemente completi e che possano essere un utile punto di riferimento, anche perché i percorsi legislativi sui temi professionali rischiano di essere molto lunghi e confusi”. Svolta nei rapporti con l’Ipasvi?: “Conosco Mangiacavalli e ci sentiremo presto”. E poi, “vorrei che gli Ordini diventassero dei luoghi di incontro per i colleghi, per scambiare pareri e informazioni, come accade già in altri Paesi del Nord Europa”

29 MAR - Da venerdì scorso è la presidente del più grande ordine sanitario italiano, quello dei medici e degli odontoiatri. La prima volta di una donna in un mondo da sempre molto “maschile” per cultura e gerarchie ma che ormai da anni vede crescere la presenza femminile che ha ormai superato quella maschile tra gli studenti e i neo laureati e che ora trova finalmente un riconoscimento in Roberta Chersevani.
 
Chersevani non è comunque una new entry nel mondo ordinistico. Da dieci anni è presidente dell’Ordine di Gorizia e ha avuto ruoli importanti anche nella federazione nazionale: coordinatrice dell’Osservatorio della professione medica al femminile dal 2007 al 2012 e soprattutto coordinatrice della Consulta di Deontologia Medica che ha varato la nuova stesura del Codice Deontologico e “uditrice” nel Comitato Centrale Fnomceo.
 
Presidente Chersevani, venerdì scorso il nuovo Comitato Centrale della Fnomceo si è riunito a lungo. È stato un incontro difficile?
È andata bene, ma avevamo tante cose da fare. Innanzitutto abbiamo dovuto definire gli incarichi dell’esecutivo, con i tempi necessari per un passaggio così importante per la vita della Federazione, ma abbiamo anche dedicato alcune ore ad un confronto aperto estremamente interessante, per conoscerci ulteriormente e capire come articolare il contenuto del nostro programma in contenitori adeguati e con responsabilità specifiche, che non abbiamo ancora definito.
 
Che impostazione darà al governo della Federazione?
Non vorrei accentrare su di me, ma vorrei che fossimo in tanti a condividere il lavoro, grande, che c’è da fare. Voglio costruire una vera squadra. E cercare risorse anche nel Consiglio nazionale.
 
Tra i nodi centrali del dibattito elettorale per la Federazione c’è stata la questione dell’atto medico, un tema introdotto anche nel nuovo Codice di Deontologia Medica e che nei giorni scorsi è stato oggetto di un progetto di legge presentato dal PD. Come pensa di affrontarlo?
Abbiamo molto discusso intorno alla nozione di atto medico nella fase di revisione del Codice, perché qualcuno avrebbe voluto definirlo in modo estremamente preciso, mentre altri sostenevano la necessità di avere una definizione più aperta che tenesse conto di tutte le realtà mediche, che sono estremamente varie e che difficilmente possono rientrare in una definizione rigida. La conclusione è stata la stesura degli articoli 3 e 13, che definiscono il valore della professione medica nelle sue diverse espressioni. Credo che quei due articoli,  ulteriormente perfezionabili, siano sufficientemente completi e che possano essere un utile punto di riferimento, anche perché i percorsi legislativi sui temi professionali rischiano di essere molto lunghi e confusi.
 
La richiesta di una definizione dell’atto medico nasce anche da un difficile confronto con altri profili sanitari e in particolare con gli infermieri. Pensa di poterne discutere con la neo presidente Ipasvi, Barbara Mangiacavalli?
Non ho ancora avuto modo di sentirla, ma l’ho conosciuta un paio di anni fa in un Convegno sulle professioni sanitarie ad Imperia. Mi era piaciuta la sua relazione, concreta e precisa, che fissava regole chiare. Ci scambiammo le rispettive relazioni e questo è un segnale positivo, perché non sempre si accetta di consegnare ad altri il proprio lavoro. Ora, neopresidenti entrambe, ci sentiremo presto e sono pronta a incontrarla.
 
Lei è la prima donna a capo della Fnomceo. Lo considera un fatto importante?
Ricordo che, al Convegno di Caserta del 2007, cominciavamo a registrare il sorpasso delle ragazze nell’ingresso alla professione. Oggi il dato è ancora più evidente e tra i laureati in Medicina le donne sono intorno al 60%.
 
Tuttavia nelle rappresentanze ordinistiche le donne sono ancora pochissime.
In questa tornata elettorale è andata un po’ meglio: fino alla volta scorsa eravamo solo due presidenti donna, Anna Maria Calcagni di Fermo ed io; oggi le presidenti sono sei. Un cambiamento lento, ma visibile anche negli altri incarichi degli Ordini.
 
Pensa che potrebbe essere utile inserire delle norme di equilibrio tra i generi nelle elezioni degli Ordini?
Io credo che le cose potrebbero cambiare già ora, poiché le donne medico sono sempre più numerose. L’importante è che siano attratte dal mondo ordinistico: non vorrei essere presuntuosa, ma forse la mia elezione può essere uno stimolo alla partecipazione delle colleghe.
 
Ha un suo personale obiettivo come presidente Fnomceo?
Vorrei che gli Ordini diventassero dei luoghi di incontro, degli spazi in cui i colleghi si incontrano per discutere, per scambiare pareri e informazioni, come accade già in altri Paesi del Nord Europa. Gli Ordini fanno già molto per la professione, ma mi piacerebbe che fossero anche sentiti più vicini da tutti i medici.
 
Eva Antoniotti

29 marzo 2015
© Riproduzione riservata

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